Aftersun, un delicato rapporto padre-figlia: su Mubi c’è il film d’autore dell’anno

L’esordio della regista scozzese Charlotte Wells racconta una vacanza estiva apparentemente qualunque. Ma sotto c’è molto di più, come suggerisce uno stile toccante e allusivo. Dal 6 gennaio sulla piattaforma

Aftersun

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In una lettera aperta indirizzata agli spettatori americani per presentare il suo film d’esordio Aftersun, la 35enne regista scozzese Charlotte Wells ricorda che in turco esiste una parola, hasret, che indica una combinazione di “desiderio, amore e perdita”.

Probabilmente è il modo migliore per descrivere il sottile, sorprendente equilibrio emotivo (e stilistico) del film dal 6 gennaio disponibili sulla piattaforma del cinema d’autore Mubi. Il quale, ecco il perché del turco, si svolge in un resort a buon mercato della Turchia in cui, sul finire degli anni Novanta, il giovane padre separato Calum (Paul Mescal, visto in Normal People) e la figlia undicenne Sophie (Frankie Corio), passano le vacanze per festeggiare il suo 31esimo compleanno.

A una visione superficiale non accade moltissimo: Aftersun mantiene uno spartito visivo minimalista – senza però l’ormai stucchevole pulizia formale del film “medio” indie e da festival –, con brevi sequenze autoconclusive che seguono i due protagonisti (entrambi bravissimi), ritratti nel loro bighellonare impigrito, godendosi il riposo e il caldo sole orientale, tra bagni al mare e in piscina, le modeste attrazioni degli spettacolini serali, cene e incontri casuali.

Calum e Sophie portano spesso con loro una videocamera, con cui in particolare la ragazzina ama ritrarre i momenti insieme, filmati con quel tipico stile sghembo e la grana sporca dell’immagine da operatori della domenica. Talvolta però da quelle riprese frammentarie emergono dettagli che incrinano l’apparente tranquillità vacanziera: come quando Calum afferma “non riesco a immaginarmi a quarant’anni, mi sorprendo di essere arrivato a trenta”. In un altro paio di occasioni Sophie, scherzando sul compleanno in arrivo, dice al padre che compirà 131 anni, come presentisse la pesantezza dell’età e la vecchiaia incipiente del genitore, forse la sua fine.

È in quel forse che sussiste la principale qualità di Aftersun: ossia in quel sovrappiù di senso che si nasconde nei tanti impercettibili particolari – mai però completamente chiarificatori o didascalicamente esplicativi – che suggeriscono allo spettatore, in modo subliminale, l’esistenza di un’altra vicenda sotto quella ordinaria e priva di picchi melodrammatici di superficie. Subliminale come quelle immagini in cui si vede Calum ballare a perdifiato mentre le luci della discoteca si spengono e accendono a intermittenza, con una frequenza velocissima, così che tutto ciò che riusciamo a percepire sono brandelli di una sagoma di cui cerchiamo di intuire i trasalimenti che gli scorrono sul volto, in un continuo tentativo di ricostruzione dei fatti e delle emozioni loro connesse.

Perché Aftersun lascia una così forte sensazione di malinconia? Eppure il film descrive momenti almeno moderatamente felici, grazie soprattutto alla vivacità di Sophie. Che accetta la sfida del karaoke da sola (cantando Losing My Religion!), gioca a biliardo meglio dei maschi e comincia a indagare la sfera della sessualità, sbirciando incuriosita i comportamenti dei ragazzi un po’ più grandi di lei.

Qualcosa però non torna: il braccio ingessato del padre, il Tai Chi e i manuali di autoaiuto usati per lenire chissà cosa, anche apprensioni legate a una condizione economica non particolarmente florida – quando Sophie perde una maschera subacquea costosa, il padre non fa una piega, ma è evidentemente contrariato; o quando riflette a lungo se comprare o meno un costoso tappeto che gli piace moltissimo. La natura e soprattutto il destino della relazione padre-figlia lasciano profondi interrogativi: fino a quel saluto all’aeroporto al termine della vacanza che ha un sapore definitivo, da ultima volta.

L’elusivo, sensibile stile narrativo di Aftersun ha ottenuto un apprezzamento generalizzato, che dopo l’anteprima alla Settimana della Critica a Cannes 2022 ha condotto la pellicola in cima a molte delle più accreditate liste dei migliori film dell’anno, da Sight & Sound al Guardian. Proprio l’autorevole critico del quotidiano britannico, Peter Bradshaw, ne ha dato una lettura perspicace: “È un film sullo strapotere del passato e sulla sua terribile, tragica inaccessibilità; un film su una relazione padre-figlia che raggiunge una nuova struggente intimità proprio nel momento in cui deve essere abbandonata”.

L’inaccessibilità da un lato riguarda, da spettatori, il significato autentico della vicenda cui stiamo assistendo; dall’altro, nella prospettiva anche di chi filma, consiste nella fragilità della memoria, che nemmeno l’archivio di immagini registrate dalla videocamera può restituire affidabilmente, composto comunque di pezzi irrelati d’una messinscena dalla quale emozioni e verità restano inattingibili.

E sapere che Aftersun ha un sapore marcatamente autobiografico – “questo film è indiscutibilmente di finzione, ma dentro c’è una verità che è la mia; un amore che è il mio”, ha scritto Wells – invita ancor più a leggere il film come un tentativo di scavo in ricordi lacunosi, alla ricerca della tonalità affettiva del passato, per riannodare la propria storia personale a quella delle radici paterne, allo stesso modo in cui sono inestricabilmente annodati i fili che dànno vita alla trama dai bellissimi disegni del tappeto che Calum vorrebbe tanto regalare alla sua adorata bambina.  

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