“So che hai dato un’occhiata al Festival di Sanremo, però hai detto che non ti sei mai vestito in maniera eccentrica per cantare. Cioè, ti hanno un po’ stupito i look dei cantanti.”
“La frase mia è leggermente diversa…”
“Cioé?”
“Non mi son mai infilato una piuma di struzzo nel culo”
“Non la ricordavo esattamente così… Può darsi che aiuti a cantare…”
Risate.
Non guardo Che tempo che fa di Fabio Fazio.
Non guardo in genere programmi che siano condotti da Fabio Fazio.
Potrei indicare come principale motivo il fatto che sia sampdoriano, ieri poi, figuriamoci, che si parlava del film di Marco Ponti dedicato allo scudetto dei doriani nel 1991, La bella stagione, collegati con lo studio Gianluca Vialli e Roberto Mancini, che ha anche l’aggravante di essere jesino, già autori del libro omonimo oltre che di quel miracolo, letteralmente. Ma in realtà, massima stima per Marco Ponti, e anche per Vialli, toh, non guardo Che tempo che fa di Fabio Fazio e in genere non guardo programmi che siano condotti da Fabio Fazio perché Fabio Fazio rappresenta esattamente l’opposto di tutto ciò che io ritengo un intervistatore dovrebbe fare. Non è mia intenzione addentrarmi in disamine che lascerebbero il tempo che trova, ma sono uso pensare che chi sta di fronte a un intervistato debba farlo stando ritto sui due arti inferiori, non a quattro zampe, e che non debba procedere per tesi, quindi chiamando a sé solo chi porta avanti il proprio pensiero o quello della parte che si decide di rappresentare, escludendo voci di dissenso.
Non guardo quindi Che tempo che fa, e non l’ho vista neanche ieri che c’era un parterre di quelli che mettono i brividi. No, non sto parlando di Nek, sia chiaro, intendo Bono, arrivato in Italia per promuovere la sua autobiografia, parlo dei due di cui sopra, della Presidente del Parlamento Europeo, Roberto Metsola, e parlo di Francesco Guccini, da poco fuori con un disco, parola in questo caso appropriata proprio perché uscito solo in fisico, Canzoni da intorno, che raccoglie canzoni folkloriche di grandissimo rilievo, musicale e politico, e protagonista dello scambio di battute da cui siamo partiti. Sue le parole riguardo le piume di struzzo, con chiaro riferimento ai look estrosi di un Achille Lauro, immagino, di Rkomi, di Irama o di chi per loro.
Ora, premesso che la stima nei confronti di Guccini è ovviamente tantissima, nonostante sia andato lì a promuovere il suo lavoro e lo abbia fatto con una certa generosità anche in giro, come un Tiziano Ferro meno piagnucolone, vorrei soffermarmi proprio sulla faccenda delle piume di struzzo.
Credo non sia un segreto che non ho grande stima di Achille Lauro e degli altri nomi citati. E credo che non sia un segreto che dovendo io scegliere, aprioristicamente, da che parte schierarmi in una ipotetica tenzone tra chi fa pop effimero e chi rappresenta la musica d’autore è dalla parte di quest’ultimo che mi porrei senza tema, seppur nella vita io mi trovi molto spesso a scrivere proprio di pop effimero (o forse proprio per questo, vallo a sapere). Ma ho trovato lo scambio tra Fazio e Guccini, a partire dalla democristianità tipica del primo, su cui spesso gioca, anche nei malinconici siparietti con la Littizzetto, che credo abbia smesso di far ridere ai tempi di “Minchia Sabbri”, ma soprattutto sul concetto espresso, devo dire con sagacia, da Guccini (il giorno in cui, visto mai, dovessi chiamarlo Maestrone, come chi ostenta una confidenza che evidentemente non ha, vi prego, abbattetemi con un colpo secco alla nuca, o sparandomi in fronte, come fanno certi macellaia, letterali e letterari, con le mucche). L’idea, infatti, che chi faccia musica non possa o non debba vestire estroso fa veramente sorridere, da poco era passato su quella stessa poltrona Bono, appunto, che per anni si è presentato a torso nudo con un gillet di pelle, un cappello da cowboy in testa, salvo poi tingersi la faccia col cerone bianco, un paio di cornetti maliziosi in testa, McPhisto, da poco riposti sul comodino giganeschi occhialoni da mosca neri.
Ma siamo seri?
Cioè, battute a parte, era forse intenzione di Guccini, tramite l’asservito doriano al suo fianco, far passare il messaggio che le canzoni debbano essere necessariamente scevre di estetica?
Ora, ripeto, grande stima per quanto fatto in passato, forse anche più per aver pubblicato un album oggi solo in fisico, in culo a Spotify, album che inizia con Per i morti di Reggio Emilia, via Dio, e prosegue, tra le altre, con quel capolavoro assoluto di Addio Lugano bella, se lo volete ascoltare, pensa te, dovete comprarvelo, e magari anche comprarvi un lettore CD, perché non lo trovate in rete, del resto è arrangiato Fabio Ilaqua, che neanche ha il cellulare, ma il concetto espresso è davvero ridicolo, oltre che vagamente ipocrita. Giustificabile, vista l’età del nostro, meno per Fazio, ma sempre ridicolo e ipocrita. Anche rappresentativo di un certo modo di pensare, temo, dei motivi reali per cui la nostra musica, anche quella di grande valore, rimane dentro i confini patrii, nulla a che vedere con la lingua, figuriamoci, la possibilità di arrivare alle nuove generazioni ferma ai blocchi di partenza assai più che per la faccenda del fisico vs streaming. Ma è più sull’aspetto peloso, che vorrei concentrarmi. Cioè, vogliamo davvero dare per buona la faccenda che Guccini non abbia mai dato peso al look? All’estetica? E con lui gli altri grandi della canzone d’autore, penso a Vecchioni, in jeans e scarpe da tennis, stesso look del suo amico Guccini, appunto, o Venditti, con i suoi Rayban? Il look di Guccini non è praticamente mai cambiato negli anni, vestito in borghese, usiamo un termine novecentesco, la barba e i baffi, i capelli con il ciuffo che cade sulla fronte. Talmente simile a se stesso da rimanere ancorato all’immaginario del 1976, la copertina di Via Paolo Fabbri 43, il suo indirizzo di casa ai tempi di Bologna, usata come manifesto per i concerti fino al suo ultimo tour, sempre la stessa foto, un primo piano sgranato. Un vezzo? Certo. Un ostentare la possibilità di andare a suonare in giro, accolto da un pubblico fedele, senza dover neanche aggiornare il book fotografico. Più di un vezzo, una rivendicazione, lo spostare con forza l’attenzione sulla statura, parlo di quella artistica, decisamente più alta di quella fisica, già parecchio alta di suo. Un gesto, quello, che apparentemente è l’opposto del presentarsi sul palco agghindato da Michele Alessandro come se si fosse una istallazione artistica, o il protagonista di un numero da circo, certo, ma a suo modo un interpretare quella medesima modalità in altra maniera, minimalismo laddove dall’altra parte c’è il massimalismo. O vogliamo pensare che chi sale su un palco vestito in maniera casual lo faccia senza star lì a pensarci? Dai, non scherziamo.
Certo, dovendo indicare le dosi dei rispettivi piatti, come fossimo su Giallozafferano, evidentemente Guccini ha messo sulla tavola assai pochi grammi di immagine, puntando di più sul repertorio, ma come chiunque non ha potuto esimersi dal farci i conti, sarebbe come cucinare in assenza di sale. Certo, azzardare che la foto di Via Paolo Fabbri 43, o il fiasco di vino, lui ha recentemente dichiarato non fosse Lambrusco ma un rosè, anche se molti hanno ipotizzato si trattasse in realtà di the, lì proprio per far scena, appunto, sia la piuma di struzzo che Guccini si è costantemente infilato in culo per tutti questi anni potrebbe risultare forzato, e magari quella era solo una battuta, anche riuscita, al pari di quella in cui, secondo in classifica sotto Ernia, ha detto che ha scelto come nome d’arte Rutto, ma credo che se per qualcosa uno come Achille Lauro, o gli altri di cui sopra, vanno lasciati in pubblica piazza coperti di piume e pece e lasciati in pasto alla folla non è certo per il look, il mondo dello spettacolo è anche quello, quanto piuttosto per la musica. Confondere arte e intrattenimento è faccenda che chi l’arte ha praticato non dovrebbe mai fare. Stigmatizzare il look, per chi è cresciuto ascoltando rock ‘n’ roll, non è esercizio praticabile, Elvis non aveva un look? Little Richard? Anche Bob Dylan o Augusto Daolio, a dirla tutta? Lo stesso Francesco Bianconi, che a Canzoni da intorno ha partecipato, non è che esca di casa vestito come fossimo a San Francisco negli anni Settanta per caso, perché qualcuno gli ha rubato i vestiti ordinari dall’armadio sostituendoli con quelli lì, calzoni a zampa d’elefante come non ci fosse un domani, passare da Gucci a Guccini, per lui, deve essere stato davvero uno shock.
Del resto, il look da prete, ora con questa barba bianca esibita come un vessillo, di Fazio, non è forse esattamente la medesima cosa?Poi, questo è altro discorso, mi auguro di cuore di non dover mai sentire Irama intonare un brano di Ivan Della Mea o dei Cantacronache. Molto meglio concentrare l’attenzione sulle piume di struzzo che gli escono dal culo, ognuno in fondo ci si infila quelle che meglio ritiene, Guccini compreso, una piumina, magari, ma sempre qualcosa. A Fazio, lì a quattro zampe, non deve mai essere neanche risultato troppo complicato.
Oh, si scherza, eh. Andatevi a ascoltare Canzoni da intorto, e se anche voi praticate il feticismo delle piume di struzzo, ascoltatevelo da in piedi.