Ticket To Paradise, con Clooney e Roberts alla ricerca del rimatrimonio perfetto

Nella commedia di Ol Parker le due star sono una coppia separata che s’allea per impedire le nozze della figlia. Ma lo scenario esotico di Bali è galeotto. Il modello, irraggiungibile, è la commedia del rimatrimonio della Hollywood classica

Ticket To Paradise

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Sono in molti ad aver staccato in questi giorni il Ticket To Paradise, il biglietto per il paradiso promesso dalla commedia firmata da Ol Parker, ambientata nella luminosa meta esotica di Bali, protagonisti George Clooney e Julia Roberts. Circa sessanta i milioni di dollari d’incasso globali fino a oggi. In Italia nel primo weekend un cifra di poco inferiore al milione, su altre piazze, Australia Gran Bretagna e Germania, numeri decisamente più interessanti (oltre 7 milioni), in attesa dello sbarco del film dal 21 ottobre sul più appetitoso mercato nordamericano (Usa e Canada).

Un box office non da poco, soprattutto in una fase ancora discretamente incerta per il mercato cinematografico, che premia una commedia scacciapensieri – e di pensieri, tra guerra e crisi economica ce ne sono tanti – che punta esplicitamente tutto sul fascino delle navigate star globali Clooney e Roberts e sulla loro rodata intesa (il ciclo di Ocean’s Eleven, Money Monster).

In Ticket To Paradise sono David e Georgia, coppia di mezza età separata dopo una lunga e burrascosa storia sentimentale, obbligati a reincontrarsi per amore dell’adorata figlia Lily (Kaitlyn Dever), fresca neolaureata con ambizioni che si sciolgono immediatamente al tepore del sole di Bali, dove la ragazza incontra Gede (Maxime Bouttier), coltivatore di alghe balinese con tutte le caratteristiche dell’uomo da sposare – cosa che subito decide di fare la ragazza – tranne quella, agli occhi degli apprensivi genitori, di offrire a Lily un futuro all’altezza delle aspettative di carriera legittimamente attese. Senza contare che, scottati dalla loro burrascosa esperienza matrimoniale, David e Georgia a tutto possono credere meno che all’unione perfetta. Così decidono di seppellire l’ascia di guerra dell’eterno battibecco e si alleano per trovare un modo per mandare all’aria il matrimonio che non s’ha da fare.

Naturalmente, complice il carezzevole scenario balinese, franeranno progressivamente non solo i minacciosi piani genitoriali, ma anche le recriminazioni reciproche, sotto le quali, è evidente sin dalla prima inquadratura, cova un sentimento mai estinto. Dando così più che mai ragione a quello che scrisse anni fa il filosofo e studioso di cinema Stanley Cavell in un libro dedicato alla commedia americana classica degli anni Trenta e Quaranta dal titolo Alla Ricerca della Felicità: “Solo coloro che sono già sposati si possono autenticamente sposare. È come se sapessimo che si è sposati quando si giunge a capire che non si riesce a divorziare, cioè quando si trova che le proprie vite semplicemente non si districano. Se l’amore è fortunato, questa conoscenza verrà salutata dalle risate”.

Il sottotitolo del volume, recentemente ristampato dalla Cue Press, parla di “commedia del rimatrimonio”, che è il genere nobilissimo cui idealmente vuole appartenere Ticket To Paradise. Quella variante della commedia sofisticata che fu inventata anche per aggirare i divieti censori del codice Hays, riuscendo così a rendere accettabili e narrabili le schermaglie amorose e di seduzione perché attuate da coppie ancora sposate o da poco divorziate. E parliamo di autentici capolavori che portano la firma di maestri del genere come Howard Hawks (La Signora del Venerdì), George Cukor (Scandalo a Phildelphia), Leo McCarey (L’Orribile Verità). Opere da cui Ticket To Paradise prende in prestito anche elementi narrativi, come la presenza di una nuova fiamma della ex moglie che riaccende le gelosie dell’ex consorte (in quei film un ruolo che capitava talvolta al pacioso Ralph Bellamy, mentre qui tocca a un servizievole pilota di linea [Lucas Bravo], che non ha la benché minima speranza di vedersela con Clooney).

Il quale Clooney in Ticket To Paradise, visti anche i progenitori cui ci si riferisce, sempre più incarna la versione, garbata e sorniona, del Cary Grant dei nostri tempi, dato che Grant spesso delle commedie del rimatrimonio era il protagonista maschile. E la Roberts gli regge da par suo il gioco. Anche se, al di là della qualità abissalmente diversa del risultato finale, ciò che salta agli occhi è che allora si trattava di coppie ancora giovani con una vita da costruire – figli compresi –, mentre qui il rimatrimonio riguarda due individui che hanno compiuto il loro ciclo produttivo e riproduttivo, alle soglie di un’altra fase dell’esistenza e anche di una strategia alternativa, più rilassata, a uno stile di vita occidentale troppo frenetico – di qui la scelta tra Stati Uniti e Bali, almeno lo stereotipo di una Bali dipinta come eden eternamente vacanziero e senza ansie carrieriste.

Ticket To Paradise però è tutto qui: nell’esotismo di maniera, con scenari intoccati, indigeni deliziosi e golden hour clamorose, che Ol Parker, regista di Mamma Mia! Ci Risiamo, aveva sperimentato soprattutto da sceneggiatore nel dittico di commedie per la terza età del Marigold Hotel. E naturalmente, fatta la tara all’incolore vicenda di Lily e Gede, la parte del leone e della leonessa la fanno Clooney e Roberts, i quali, pur nella prevedibilità prescrittiva d’una vicenda dagli sviluppi elementari, riescono passabilmente a evitare il difetto tipico delle rom-com, cioè degli attori che fanno i divertenti piuttosto che esserlo (ciò che per Howard Hawks era il maggiore delitto che potesse commettere un interprete).

Ovviamente il modello delle commedie del rimatrimonio, con quella capacità di radiografare dietro le schermaglie di coppia l’architrave e i conflitti di un modello sociale – si pensi alla “lotta di classe” ritratta con inflessibile discrezione dal Cukor di Scandalo a Philadelphia – è lontanissima. Lontanissima come il paradiso di Bali e la storiella edulcorata cui da spettatori dobbiamo accontentarci.

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