The Whale a Venezia79, Brendan Fraser prenota l’Oscar nel commovente film “fisico” di Darren Aronofsky (recensione)

The Whale a Venezia79, Darren Aronofsky commuove con uno dei film più sorprendenti della Mostra del Cinema: la recensione

The Whale a Venezia79

Credits photo: @LaBiennale


INTERAZIONI: 72

The Whale a Venezia79 era uno dei titoli più attesi della Mostra del Cinema. Sia per la tematica del film (l’obesità, i disturbi alimentari) sia per il suo regista, Darren Aronofsky, da sempre uno dei più controversi. Ci si poteva aspettare di tutto, tranne la commozione dietro l’ultima fatica del cineasta che nel 2017 divise la kermesse con Madre!.

Detto in poche parole, The Whale a Venezia79 è la storia di un uomo obeso, interpretato da Brendan Fraser in una prova fisica in cui si supera, che cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente che non vede da anni. Allo stesso tempo, l’uomo tenta di superare il lutto per la morte del suo compagno, una ferita ancora aperta che lui ha provato inutilmente a rimarginare abbuffandosi di cibo. Charlie è un professore che insegna letteratura online a un gruppo di studenti, e passa le sue giornate seduto sul divano di casa con il computer sotto mano e dolci, panini sempre alla sua portata.

La sua ossessione, ma anche la sua cura in un certo senso, è una tesina su Moby Dick che lui legge e rileggere in maniera ossessiva, tanto da sapere a memoria il suo contenuto. La balena bianca è per Achab ciò che la sua condizione rappresenta per Charlie: come il protagonista del romanzo, così anche il personaggio di Aronofsky se ne sta chiusa in sé senza mai uscire dal guscio, pensando alla sua vita. Per dare l’idea della condizione che opprime Charlie, il film è girato all’interno di una sola stanza, ed è lì che si svolge l’azione, ambientata nell’arco di un totale di giorni. La pioggia, che batte insistentemente al di fuori, rappresenta lo spazio della dannazione eterna di Charlie, dal quale lui non può uscire. La sua unica amica è un’infermiera, Liz, che lo assiste e lo aiuta nel momento del bisogno.

Charlie riceve due visite interessanti: una è un giovane missionario per conto della chiesa New Life, che giunge diverse volte per portargli il messaggio evangelico di speranza (messaggio che Charlie si rifiuta di ascoltare perché “quelli come lui” non sono accettati); l’altra è quella della figlia Ellie, una diciassettenne arrabbiata, che odia tutto e tutti, e non vuole avere per niente a che fare col padre che ha abbandonato la famiglia per scappare con un uomo più giovane di lui.

The Whale è un film diversissimo dai precedenti di Aronofsky; l’introspezione psicologica c’è sempre; si scava a fondo nella personalità di Charlie e ci si concentra sul suo legame con la figlia. Sadie Sink alza l’asticella con un personaggio molto simile alla Max di Stranger Things, ma con meno cuore (almeno in apparenza); difatti il suo compito sembra essere quello di veicolare il padre verso l’accettazione di sé e della sua condizione.

The Whale è infatti un dramma sulla sincerità: solo accettando noi stessi possiamo davvero meritarci di essere amati ed amare. Charlie non chiede di essere salvato, perché sa di aver sbagliato nella sua vita e probabilmente non è neanche un modello genitoriale, eppure ha il potere di vedere la positività nelle persone. Un ruolo fisico e straziante per Fraser, che difficilmente verrà ignorato durante la stagione dei premi.

Continua a leggere su optimagazine.com.