Crimes of the Future, David Cronenberg ci guida nel cuore di tenebra della contemporaneità

Il regista canadese torna sui temi a lui più cari, il corpo e la mutazione dell’umano. È più una ricapitolazione del suo cinema che un’opera veramente originale. Ma ad un venerato maestro lo si può concedere

Crimes of the Future

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Accolto con comprensibile deferenza all’ultimo festival di Cannes in cui è apparso in concorso, Crimes of the Future segna il ritorno, dopo otto anni da Maps to the Stars, di un venerato maestro del cinema contemporaneo, il quasi ottuagenario regista canadese David Cronenberg. Il quale, recuperando il titolo da un suo film giovanile del 1970, continua il proprio rimuginio ossessivo e rigoroso sul tema prediletto della mutazione dell’umano, segnata tra primo, tardo Novecento e secondo millennio, dal passaggio dal primato della psiche e della ragione a quello del corpo e delle sue ragioni. Ragioni misteriose, a guardare il protagonista del film, Saul Tenser (Viggo Mortensen), affetto da una sindrome che lo porta a sviluppare nuovi organi interni apparentemente privi di funzione.

Solo che lui a questa anarchia generativa – o degenerativa – cerca di dare un senso. Aiutato dalla sua collaboratrice e amante Caprice (Léa Seydoux) trasforma l’esposizione della carne in un’esperienza artistica, nella quale l’espianto degli organi diventa una performance di body art estrema, a uso di un pubblico inequivocabilmente affascinato, anche eroticamente, da questa letterale penetrazione nell’interiorità di un corpo misteriosamente instabile. “La chirurgia è il nuovo sesso”, dice Timlin (Kristen Stewart), funzionaria del Registro Nazionale degli Organi che tenta burocraticamente di catalogare le nuove forme dell’umano.

Accanto a Saul, eternamente incappucciato, come fosse il membro d’un ordine monastico dedito a una nascente fede, s’aggirano gli adoratori di questa nuova stirpe, un gruppo di “evoluzionisti radicali” il cui leader, Lang (Scott Speedman), chiede a Saul di realizzare una performance mai tentata prima, sul cadavere del figlioletto ucciso dalla madre. Un’autopsia artistica di un corpo umano (e metaforicamente di un intero mondo non più umano) che attesti l’avvenuto passaggio dalla vecchia modalità dell’esistere a un’altra, in cui gli individui, in un necessario processo di adattamento, si ciberanno di plastica, materia prima della realtà che ci siamo costruiti, unico alimento reperibile in abbondanti quantità in una società costretta a reggersi sugli scarti che genera incessantemente.

Crimes of the Future, che origina da un copione di vent’anni fa, ha inevitabilmente il sapore dell’opera ricapitolativa. È piena di evidenti rimandi alla filmografia di Cronenberg: la nuova carne di Videodrome, la mutazione come processo incontrollabile de La Mosca, la chirurgia come esperienza sfrenatamente voluttuosa di Inseparabili, il dolore (e la morte) come spettacolo morbosamente eccitante di Crash, la dimensione postumana di ExistenZ.

Non dice nulla di realmente originale, sebbene si possa concedere, a chi come Cronenberg il nostro presente ha saputo preconizzarlo, il diritto di ribadirlo in un film strutturato come una sorta di tesi compilativa intorno al suo cinema. Più assertiva che lucida, ieratica e narrativamente legnosa, con un ritmo lentissimo cadenzato dalla recitazione distaccata dei suoi interpreti e dall’algida colonna sonora dell’usuale collaboratore Howard Shore.

In Crimes of the Future David Cronenberg racconta una realtà in cui plastica e rifiuti costituiscono la sostanza di un mondo in cui agli uomini non resta che dare spettacolo del proprio corpo. Il regista continua a interrogarsi sulle forme attraverso cui l’umano può evolvere per sopravvivere a una mutazione – fisica, industriale, ambientale – ormai ineluttabile. Ma difficilmente si potrebbe parlare di ottimismo a proposito di un film immerso visivamente in colori plumbei e mortiferi, che parte dall’immagine di una nave arenata su di un fianco e di un bambino di cui entrambi i genitori fanno scempio (la madre lo soffoca, il padre lo erige a simbolo dimostrativo del nuovo mondo che tanto lo esalta).

Sono le nuove generazioni a scontare il prezzo del passaggio di stato dall’umano al postumano, fatte oggetto di una violenza né voluta né richiesta. Infatti Saul, acclamato “artista del paesaggio interiore”, afferma che “quel che voglio dire con la mia arte è che non mi piace quel che sta succedendo al corpo”. Crimes of the Future funziona come “una mappa per guidarci nel cuore di tenebra” della contemporaneità, così dice un personaggio, una guida per dare ordine al caos del nostro tempo, con un Cronenberg allarmato dalla trasformazione in corso eppure ancora ostinatamente disposto a riconoscervi una sinistra bellezza. E così il film si chiude, all’insegna dell’ambiguità di un’immagine insieme estatica, esaltante e oscura.

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