Sulla nudità di umani e animali, gli schemi e Mike Patton

Dopo aver parlato dei primi temi, mi soffermerò sul problema di salute dell'artista statunitense

Photo by Wikipedia - Silvio Tanaka


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Piccolo prologo.

Lucia, la primogenita dei quattro figli che ho con mia moglie Marina, è nata l’8 agosto di un anno particolarmente caldo. Niente che facesse ancora allarmare a causa del riscaldamento del pianeta, anche se già si era parlato di effetto Serra e Al Gore era sul pezzo, parliamo del 2001, ma comunque una estate piuttosto calda. Quel giorno, dopo che le ho fatto il bagnetto, il suo primo bagnetto, ho assistito al parto e non ho potuto tagliare il cordone ombelicale solo perché c’era un brutto giro intorno al collo che ha spinto la pediatra presente a farlo in prima persona, l’ho vestita col suo primo abitino, in tinte neutre, non perché io e Marina siamo tra quanti sostengono che la faccenda del rosa e dell’azzurro sia un retaggio del patriarcato da combattere facendo giocare maschietti con le Barbie e femminucce col Meccano, ma perché non sapevamo fino al momento del parto se fosse maschio e femmina. Le ho quindi infilato, con una naturalezza che non avevo previsto, a vedere i neonati avevo sempre pensato mi sarei irrigidito con la paura di farle male, un paio di pantaloncini, una maglia, dei calzettini e un cappellino, seguendo le indicazioni che l’ostetrica ci aveva preventivamente dato, nei giorni precedenti al parto. L’idea di vestire di tutto punto un neonato a agosto mi aveva lasciato spiazzato, perché era oggettivamente caldo, ma tutti ci hanno spiegato come i neonati abbiano freddo a qualsiasi temperatura, confrontando la temperatura esterna con quella del ventre materno, per cui ci siamo adeguati. Una domanda mi è però rimasta, ma quando i neonati nascevano non negli ospedali, e neanche nelle case, in presenza di levatrici, ma semplicemente in natura, prima che l’uomo di organizzasse socialmente, non c’era questa faccenda del freddo? Del resto la natura non ci ha fornito di vestiti, è stato un nostro accorgimento. È pur vero che siamo la sola razza animale a prevedere che i nostri cuccioli siano alle nostre dipendenze per così tanto tempo, anni, a livello fisico, decenni a livello sociale. Anche agli altri tre figli che abbiamo avuto ho infilato un cappello, seppur nati in periodi caldi dell’anno, le domande a volte non trovano mai risposte abbastanza convincenti. Fine prologo.

C’è una frase attribuita a Frederick Nietzsche, dico attribuita perché col citazionismo è sempre complicato poi risalire alla fonte originale, una frase diventata oggetto di meme sui social, che recita suppergiù così: “Se uccidi uno scarafaggio sei un eroe, se uccidi una farfalla sei cattivo: la morale ha standard estetici”. Ora, a parte il dettaglio che mi sfugge perché uno dovrebbe essere guardato addirittura come un eroe per aver ucciso uno scarafaggio, non un dittatore, è pur vero che dietro questo pensiero vagamente populista si nasconda una qualche verità. L’estetica ha un suo peso decisivo in molti ambiti.

Lasciamo da parte Nietzsche o chi per lui.

Quando ci capita di incappare in qualcuno, intendendo con qualcuno una qualsiasi persona, che decide di proporsi senza filtri, via maschere, via sovrastrutture, via accorgimenti di comodo o anche solo di consuetudine, quando, cioè, ci capita di incappare in qualcuno che decide di esporsi per come è in realtà, tendiamo a dire che si è messo a nudo. Mettersi a nudo è un giro di parole di uso comune, niente di difficile da decifrare, che ricorre al semplice concetto dello spogliarsi, metaforicamente di quei paramenti che ci difendono dall’esterno, che ci permettono di avere segreti, non necessariamente disdicevoli, ne esistono di innocui tenuti su per vivere sociale o quieto vivere, chi è nudo, come cantava ormai una vita fa Eduardo De Crescenzo, “se si è nudi vedi la verità”, proseguendo con un radicale “non ci si inganna stando nudi”.

Ok, diamo per assodato che nudi si è sinceri. Verrebbe quindi da pensare che, vestiti, si mente, o si può mentire con maggiore facilità. Non come prassi, ovvio, ma come possibilità facile da mettere in pratica.

Guardando al mondo della natura, è noto, balza agli occhi che gli unici esseri viventi che ricorrono all’espediente del vestirsi sono gli umani. Qualcosa che succede da almeno centomila anni, ci hanno detto gli storici, e non certo e non solo per ragioni legate al clima e quindi al coprirsi per sopperire alla mancanza genetica di una pelliccia, questo almeno per i popoli che si sono trovati a vivere in territori particolarmente freddi e ostili. È infatti stato appurato che gli abiti, sin da quando l’uomo non era Homo Sapiens, servissero, oltre che per proteggere da punture di insetti e parassiti, l’Autan è arrivato decisamente dopo,  per ragioni che concernevano la vita sociale, come per questioni culturali, religiose, psicologiche.

Non voglio fare dell’antropologia spiccia, non serve al discorso che sto portando avanti e sarebbe comunque avvilente, ma è evidente che esibire la pelliccia o pelle di un animale ucciso in una battuta di caccia, oltre che a coprire dal freddo, serviva a sottolineare il gesto dell’uccisione, quindi la forza e l’abilità. C’è poi la faccenda del pudore, legata appunto all’apparire dei primi vestiti, chiamiamoli così. Una teoria sostiene che i vestiti siano apparsi anche per coprire dallo sguardo, quindi esattamente per pudore, chi sostiene che il pudore sia invece figlio proprio dell’apparire dei vestiti, chi ne era sprovvisto ha cominciato a provare vergogna e senso di esclusione dalla comunità, concetto non troppo diverso da quello che oggi è limitrofo al vestire alla moda, specie tra i più giovani.

Torniamo fugacemente al concetto di mettersi a nudo. Il pudore è esattamente l’impossibilità o il non voler mettersi a nudo, quella attitudine del genere umano che ci impedisce di agire in un qualsiasi modo che possa essere di contrasto con i codici sociali, fatto che di per sé prevede una differenza dell’applicazione del medesimo senso del pudore a seconda del luogo in cui si nasce, si cresce e si vive, non essendo i codici sociali stessi uguali in ogni angolo di mondo. Prova provata di ciò il fatto che, ci sarà capitato a tutti di vederlo in un qualche documentario o, più recentemente, in qualche videino sui social, esistono ancora delle piccole comunità tribali che non prevedono l’uso di vestiti, almeno non atti a coprire quelle che, non a caso, un tempo si chiamavano pudenda (ancora oggi parti intime o vergogne, pensa te), quanto più per ragioni legate a qualche culto o al simboleggiare l’assetto sociale. Va da sé che nel caso del pudore a essere oggetto di vergogna sia l’esibizione, negata proprio per pudore, delle parti del corpo attinenti alla sfera della sessualità, come a voler anestetizzare anche il concetto di desiderio, ma forse qui sto andando oltre.

A pensarci bene anche lo stesso naturismo o nudismo che dir si voglia, praticato solo in luoghi considerati “porti franchi” rispetto le leggi vigenti che bollano le nudità in spiaggia o ovunque come atti osceni in luogo pubblico o oltraggio al pubblico pudore, sempre lui, anche il naturismo e nudismo è a suo modo un atto che proprio col vivere sociale ha a che fare, quasi una ostentazione di una libertà che in genere all’essere umano è vietata per vincoli e legacci mentali imposti dalle leggi e dal senso civico, come un abbattimento di schemi usato quasi come vessillo, anche qui, spesso per ragioni culturali. Hanno un bel dire Lina Esco e le attiviste della campagna Free the Nipple che non esiste differenza tra i capezzoli maschili e quelli femminili, o che non dovrebbe esserci, il fatto che per dirlo incappino costantemente nella censura dei social, che devono aggirare con accorgimenti anche buffi, tipo Chiara Ferragni che proprio recentemente ha postato una sua foto in topless accompagnata dalla scritta in questione, peccato che i capezzoli fossero preventivamente stati coperti da due cuori, decisamente proprio poco free, come nipples. Il senso del pudore esiste, anche se probabilmente ce lo siamo inventati noi, non farci i conti è battaglia persa, anche se, come spesso capita, una battaglia che andrebbe combattuta, penso all’opera meritoria di artiste come Miley Cyrus, Tove Lo, artiste che delle censure se ne sono sempre fregate, o, immagino, quella che andrà a combattere di qui a breve Beyoncé, che nella copertina del suo ultimo album, Renaissance, si mostra al naturale come Lady Godiva, in sella a un cavallo, Beyoncé che annunciandolo ha non a caso dichiarato “libera e avventurosa in un momento in cui poco altro si muoveva. Volevo creare un luogo sicuro dove non essere giudicati, in cui essere liberi dal perfezionismo e dal rischio di pensare troppo, un luogo dove urlare, liberarsi, sperimentare la libertà”.

Del resto, nella storia, il senso del pudore ha avuto variazioni anche notevoli, al punto che le statue dell’antica Grecia ci mostravano inizialmente da dea della bellezza senza alcuna vergogna, salvo poi trasformarla nell’Afrodite pudica. Anche da noi, del resto, il topless fece scandalo al suo arrivo sulle nostre spiagge, ma oggi è praticamente accettato ovunque, così come non mancò di scandalizzare dentro la televisione l’ombelico mostrato da Raffaella Carrà al tempo del Tuca Tuca, fatto che oggi farebbe neanche sorridere. Non è difficile comunque intuire come il senso del pudore, che comunque gira sempre intorno all’Eros, cambi a secondo del tempo e del luogo, c’è chi non ha problemi a mostrare i propri piedi e chi ne fa oggetto di feticismo, piedi un tempo neanche nominabili nella tv di stato italiana come nelle novelle delle riviste per signore come Intimità, toh, e c’è chi ritiene sconveniente far vedere i capelli, coprendoli legittimamente con un velo, chi, la più parte del mondo occidentali, neanche si è mai posto il problema se mostrarli o meno, tutti convengono sugli organi genitali o comunque ciò che concerne la sessualità.

Gli animali non hanno senso del pudore, né, del resto, senso del sé, della propria individualità, come ben è raccontato nel saggio di Desmond Morris del 1967, La scimmia nuda, saggio divenuto per qualche tempo assai popolare in Italia grazie al successo incredibile di Occidentalis Karma di Francesco Gabbani, brano vincitore del Festival di Sanremo nel 2017 che tirava in ballo, scusate il gioco di parole così poco originale, proprio la scimmia nuda citata nel titolo, unico spettatore della cavalcata impudica di Lady Godiva, non per nulla, a parte gli sguardi rubati da Peeping Tom, non a caso presto accecato da Dio, proprio il cavallo, del tutto all’oscuro di certe pruderie.

Tornando quindi alla faccenda dello scarafaggio e della farfalla, nella frase di Nietzsche, da cui siamo partiti, e a fronte di quanto poi sono andando raccontando, mi sembra evidente che l’estetica abbia un peso nel manifestarsi del pudore, perché l’Eros prevede un gioco di attrazione e di corteggiamento che con l’estetica a suo modo fa i conti, anche il decidere di mostrarsi e di mostrarsi in determinate condizioni ha un peso, questo anche nel mondo animale, che solo nelle occasioni del corteggiamento, nelle stagioni cosiddette dell’amore, sembrano avvicinarsi alle dinamiche tipicamente umane. Di vestiti, comunque, non se ne parla, neanche per quegli animali che spesso, per ragioni anche condivisibili, riteniamo non così distanti da noi, l’intelligenza dei delfini, l’empatia dei cani, la morfologia di certi tipi di scimmie, tutte categoricamente nude.

Normale, quindi, che avendo io preso le mosse da una frase in cui si parla, con sarcasmo, di standard estetici, avendo poi sviluppato un discorso che ruota intorno al concetto di senso del pudore, essendo infine io tornato a parlare di estetica associata al senso del pudore, il tutto dopo aver citato, sono pur sempre un critico musicale che sta scrivendo un Bestiario Pop, Nudi nudi di Eduardo De Crescenzo, canzone del 1987, Occidentalis karma di Gabbani, uscita trent’anni dopo, Miley Cyrus e Tove Lo, complice la campagna Free the Nipple,  infine Renaissance di Beyoncé, io passi a parlare di una artista, una canzone o comunque un’opera che faccia da naturale chiosa a questo parterre, che so?, magari quella Thérèse di Maya Hawke, la figlia di Uma Thurman e Eathan Hawke divenuta a sua volta star mondiale grazie al successo pop di Stranger Things, serie tv che con la musica ha più che qualcosa a che fare, citofonare Kate Bush per credere. Un video, perché se si parla di estetica e pudore, dai, non nascondiamoci, parlare di video viene decisamente più comodo, che offre al nuovo singolo che anticipa il suo secondo album, la ragazza, di talento, oltre che attrice è anche cantautrice,   Blush del 2020, e Moss, di prossima uscita nel 2022 i suoi album, ci mostra con candore e malizia, provateci voi a tenere insieme pudore e spudoratezza se ce la fate, un’orgia, corpi che si intrecciano, si mostrano, si uniscono, Maya in primo piano, senza filtri, bella come da quei due genitori non poteva che essere.

Normale, ma credo che più a nudo di Miley Cyrus con i suoi capezzoli al vento e il twerking con cui ha ucciso Hannah Montana, di Tove Lo con le sue O a forma di figa, di Beyoncé a fare Lady Godiva su un cavallo di luce, di Maya Hawke a contorcersi orgiasticamente mentre canta con leggerezza la storia di Thérèse, che sogna e se ne va in giro svagata col vestito macchiato di sangue, oggi come oggi di veramente nudo, nel senso più letterale del termine, c’è l’intervista che Mike Patton ha concesso a Rolling Stone USA, nella quale ha parlato, appunto, mettendosi completamente a nudo dei suoi problemi di salute mentale. I fatti sono abbastanza noti, in procinto di partire in tour con due delle sue band, Faith No More e Mr Bungle, colui che è stato indicato proprio da un sondaggio pubblicato su Rolling Stone USA come il più bravo cantante al mondo, ha dato forfait, parlando esplicitamente di suoi problemi di salute mentale. Ha annullato tutti gli impegni, e credo che nessun altro come Mike Patton abbia impegni con chissà quante band, forse più di lui giusto John Zorn, col quale per altro spesso collabora, e di lì a breve si è saputo, o si è cominciato a rumoreggiare, di suoi presunti problemi legati a attacchi di panico. Oggi scopriamo che in realtà Mike Patton da un anno a questa parte soffre di agorafobia, un problema piuttosto serio se sei uno che passa parte del suo tempo a cantare su un palco davanti a un pubblico anche piuttosto numeroso. Un problema arrivato durante la pandemia, un paio di anni fa, non è chiaro se anche a causa della pandemia, e in seguito alla morte di Gabe Serbian, amico fraterno di Patton e cantante dei Locust e dei Dead Cross, ruolo quest’ultimo, che proprio Patton è andato a colmare. Di colpo anche solo l’idea di uscire di casa è diventata un problema insormontabile, in questo la pandemia gli è decisamente stata d’aiuto, tutti chiusi in casa, la tecnologia a sopperire alla mancanza di contatti sociali. Ma poi quando è stato il momento di uscire, di tornare alla musica dal vivo, niente, un muro nero impossibile da superare. A aiutarlo, ha raccontato durante l’intervista, i professionisti, psichiatri e psicologi, che lo hanno pian piano supportato, al punto che a breve, in autunno, proverà a tornare dal vivo coi Mr Bungle, per poi andare a promuovere il secondo album con i Dead Cross, tutto inciso da casa, a distanza. Un artista, anche scanzonato al limite dell’eccesso, sempre sopra le righe, che non si fa remore di affrontare in pubblico i propri fantasmi è una cosa davvero rara, e non credo neanche solo nel campo dello spettacolo. Certo, viviamo in un’epoca che sta provando a lavorare su un’idea di leadership che non faccia necessariamente mostra dei muscoli, ma che anzi, faccia delle fragilità e debolezze esibite un punto di forza, ma dubito che tutto questo sia arrivato agli orecchi di Mike Patton, credo più semplicemente un uomo che ha deciso di mettersi a nudo, come a volte gli è del resto capitato di fare sul palco, dove la volgarità, torniamo al concetto di osceno, di indecente, è sempre stata colore nella sua tavolozza. Non ho idea di quando, nella storia dell’uomo, la coscienza di sé abbia dato vita anche alla decifrazione della malattia mentale, quando, cioè, si è riuscito a stabilire cosa fosse o non fosse nell’alveo della normalità (uso questa parola con tutti gli stigma del mondo, perché non ho affatto certezza che la normalità esista e che la normalità, anche esistesse, sia un valore da preservare, anzi), come del resto non penso nel mondo animale, quello dove è il lato istintivo a prevalere sul raziocinio, esista qualcosa di accomunabile alla malattia mentale o al diagnosticare (potrebbe mai un animale fare una diagnosi?) chi ne soffre, quello che so, per certo, oggi, è che Mike Patton è un grande artista che non si nasconde né lo ha mai fatto dietro una maschera, nudo di fronte a un microfono, si tratti di cantare o rilasciare interviste, nudo davanti al mondo, il pudore, beh, lo lascia a chi ha qualcosa da nascondere.