Secret Team 355, un prevedibile action tutto al femminile (ma poco femminista)

Chastain, Kruger, Nyong’o, Cruz e Fan Bingbing in un film che vorrebbe declinare una spy story al femminile. Ricadendo però in un risaputo immaginario maschile alla James Bond

Secret Team 355

INTERAZIONI: 129

Di Secret Team 355 basta vedere la composizione del cast da manuale Cencelli del marketing (e da cinema algoritmo) per farsi un’idea del tenore del film diretto da Simon Kinberg (produttore e sceneggiatore di lungo corso, poi regista di X-Men – Dark Phoenix). A menare le danze c’è la spia tosta e bianca statunitense (Jessica Chastain, che è anche produttrice e si vede), doppiata dalla sua omologa speculare tedesca (Diane Kruger), l’esperta di tecnologie nera ex agente dell’MI6 (Lupita Nyong’o), la psicologa latina (Penélope Cruz, piuttosto sacrificata), l’impenetrabile orientale (Fan Bingbing).

Il caso e gli eventi le obbligano a formare una squadra, molto di controvoglia sulle prime, soprattutto Chastain e Kruger, le femmine alfa del gruppo, che se le erano date di santa ragione durante una missione. Obiettivo, reimpossessarsi di un dispositivo di decrittazione che consente, grazie al solito misterioso e onnipotente algoritmo, di sabotare qualunque software informatico. Praticamente, in virtù del potere che concede, un ordigno “fine di mondo“, però piccolo leggero e maneggevole. E soprattutto, preda delle mire dei ceffi più brutti e malvagi che si possano immaginare. Naturalmente tutti maschi, doppio e triplogiochisti, mentre invece le donne si caratterizzano per fedeltà agli ideali e senso della lealtà.

Secret Team 355 – il titolo è legato al nome in codice della prima agente segreto donna della Rivoluzione per l’indipendenza americana, la cui identità è rimasta ignota, la metafora è abbastanza evidente – è interamente giocato sul ribaltamento dei ruoli. Ma la prospettiva femminista è annacquata. In primo luogo perché ogni volta che si devono sottolineare le qualità di queste donne guerriere fa capolino un linguaggio pericolosamente declinato al maschile (Chastain viene appellata come “tough guy”). E poi perché le eroine mostrano una serie di “dipendenze” stereotipicamente femminili: quelle da amori, famiglie e figli, e quelle da legami tossici con uomini traditori e manipolatori.

Il discorso non cambia rispetto all’immaginario action, che è quello tipicamente muscolare da film alla Jason Bourne o più classicamente alla James Bond. Quest’ultimo anche apertamente citato come esempio di eroismo votato a una infruttuosa solitudine, destino di cui si lamentano quindi le protagoniste (anche se superspie perfettamente in grado di cavarsela, le donne faticano a restar da sole secondo gli sceneggiatori di Secret Team 355).

Almeno per le protagoniste principali, poi, lo script prevede il canonico passato di cicatrici e delusioni (legate, manco a dirlo, a padri deludenti e uomini fedifraghi). Niente invece ci viene detto di Fan Bingbing, a conferma del fatto che pare messa lì giusto a occupare la casella etnica di riferimento. Per il resto è tutto un saltabeccare da spy story lungo lo scacchiere globale, da Parigi al Marocco a Shanghai, tra narcotrafficanti colombiani e mafiosi russi. Con anche una (involontaria?) citazione di Intrigo Internazionale di Hitchcock, visto che il letale dispositivo viene occultato dentro un prezioso manufatto venduto a un’esclusivissima asta per magnati corrottissimi.

Perché poi si sa, la morale pessimista e qualunquista di un film del genere è che “le nostre agenzie di intelligence sono corrotte, tutto è corrotto”, come dice Penélope Cruz. E allora per le nostre eroine l’unica è tenersi fuori dai giochi e dagli schemi, smettendo di obbedire a un sistema marcio che può essere raddrizzato solo muovendosi ai margini – che forse è la dichiarazione d’intenti più forte del film, la scelta che fanno queste donne di non appartenere più al modello maschile che detta, malamente, le regole. Fino alla prossima missione, che Secret Team 355 caldeggia apertamente sperando in un bel risultato al botteghino. Ma vista la scarsa originalità del prototipo, chissà.

Continua a leggere su optimagazine.com