Gli Stati Uniti Contro Billie Holiday, il ritratto (prevedibile) di una leggenda del jazz

Lee Daniels vuole raccontare la persecuzione politica di cui fu oggetto la grande cantante. Purtroppo il film indugia su dipendenze e un maledettismo di maniera. Ottima comunque Andra Day. Dal 5 maggio al cinema

Gli Stati Uniti Contro Billie Holiday

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Già oggetto di un biopic non indimenticabile nel 1972, La Signora del Blues, nel quale veniva interpretata da Diana Ross, la figura di Billie Holiday torna al centro del recente Gli Stati Uniti Contro Billie Holiday di Lee Daniels (Precious). Nelle intenzioni, non una semplice biografia, ma un racconto con ambizioni di affresco non conciliato sull’America degli anni Quaranta e Cinquanta, partendo dal caso molto particolare di Lady Day – questo il nomignolo affibbiatole dal suo sassofonista, il grande Lester Young.

La storia di Billie Holiday, lo si è ripetuto tante volte, è insieme una delle più esaltanti, per l’irripetibile talento dell’artista che, diceva, usava la voce come fosse uno strumento musicale, e delle più tristi, per la tragica vicenda personale, violentata in giovanissima età, ex prostituta che aveva conosciuto anche la galera, dipendente per tutta la breve vita (morì a 44 anni nel 1959) dall’eroina. Il film però pare volersi sottrarre al ritratto maledettista, e invece mettere in luce la sistematica persecuzione di cui fu oggetto la cantante, interpreta con partecipazione da Andra Day (vincitrice del Golden Globe e candidata all’Oscar), che canta con la sua voce alcuni cavalli di battaglia della Holiday, da Solitude a All of Me e God Bless the Child.

E tra questi il più importante di tutti, distante dagli usuali standard di Tin Pan Alley del suo repertorio di storie d’amore travagliate e cuori infranti, era Strange Fruit, una denuncia contro il linciaggio scritta inizilmente come poesia da Abel Meeropol, insegnante ebreo-russo (e membro del partico comunista degli Stati Uniti), che Billie Holiday cominciò a inserire nel suo repertorio sin dalla fine degli anni Trenta: “Gli alberi del Sud hanno uno strano frutto / sangue sulle foglie e sangue alla radice”.

Un ritratto di Billie Holiday

Gli strani frutti pendenti, i corpi dei neri linciati negli stati del Sud ancora negli anni di Bilie Holiday erano evidentemente un tema incendiario e scomodo per il governo. Di lì, questa la tesi del film, la persecuzione dell’artista che, approfittando della sua tossicodipendenza, viene sottoposta a un controllo asfissiante da parte dell’occhiuto capo del Federal Bureau of Narcotics Harry Anslinger (Garrett Hedlund), che le mette alle calcagna Jimmy Fletcher (il Trevante Rhodes rivelatosi con Moonlight), agente nero del dipartimento che s’infiltra nell’entourage di Lady Day fingendosi suo ammiratore. Così la Holiday è sempre a rischio di essere arrestata o che le venga ritirata la cabaret card, la tessera indispensabile per potersi esibire nei locali di New York in cui si servivano alcolici.

La struttura de Gli Stati Uniti Contro Billie Holiday ricorda quella di un altro recente film anch’esso ispirato a una vicenda reale, Judah and the Black Messiah, ruotante intorno al tema del tradimento di un uomo di colore nei confronti della sua comunità per incastrare un leader delle Pantere Nere. E infatti nel film scritto da Suzan Lori-Park (prima donna nera a vincere il premio Pulitzer nel 2002 per il testo Topdog/Underdog) a partire da un capitolo del libro Chasing the Scream di Johann Hari, il ruolo di Jimmy ha una parte importante nella dinamica del racconto, per la sua progressiva presa di consapevolezza di essere poco più di una pedina strategica e per il mutare del suo rapporto con la scostante e insieme affascinante Billie Holiday.

Purtroppo il film non tiene fede alle premesse: troppi temi restano sullo sfondo, non esaurientemente affrontati. Vale, ad esempio, per l’esplosivo (per l’epoca) legame interrazziale che la cantante ha con l’attrice bianca Tallulah Bankhead (Natasha Lyonne), poco più di una deviazione dalla linea principale del racconto. E, paradossalmente, vale anche per il caso Strange Fruit. Che vediamo sì interpretata, senza che però la storia della canzone, il ruolo simbolico che riveste per la comunità nera, il contesto sociale e politico di cui il brano è riflesso diventino il tema portante del film di Lee Daniels.

Nonostante le intenzioni e l’impostazione di partenza ne Gli Stati Uniti Contro Billie Holiday finiscono purtroppo per prevalere gli stereotipi e un maledettismo di maniera. Il quale se da un lato evita toni eufemistici, dall’altro indugia sin troppo su tutte le dipendenze dell’artista, dalle droghe alle relazioni tossiche con mariti e manager maneschi (solo Jimmy si dimostra un uomo diverso). Così, accanto a un ritratto, quello sì, più mosso, del variopinto entourage della cantante, del film si finisce per apprezzare soprattutto l’incisiva interpretazione di Andra Day.

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