Ennio, la musica di Morricone è quella della nostra vita

Il documentario di Giuseppe Tornatore non è solo un puntuale ritratto d’artista, ma un lungo nastro sul quale scorrono decenni di storia italiana, con le immagini di capolavori iconici e le note dei “film paralleli” creati da Morricone. Dal 17 febbraio in sala

Ennio

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Cinque anni di lavorazione, due di postproduzione, 44 ore di girato totali e, nel frattempo, anche un corposo libro intervista pubblicato nel 2018. Sono numeri da kolossal quelli di Ennio, affettuoso e puntuale documentario che Giuseppe Tornatore ha dedicato a Ennio Morricone, amico e collaboratore d’una vita (da Nuovo Cinema Paradiso, 1988, fino a La Corrispondenza, 2016). Ed è giusto, perché c’è qualcosa effettivamente di colossale nella vita professionale di questo compositore apparentemente timido e modesto, che ha attraversato quasi settant’anni di musica e vita italiana, accumulando – la sua rapidità di scrittura era proverbiale – oltre 400 colonne sonore, cui vanno aggiunte le tante composizioni e arrangiamenti per brani di musica leggera e i lavori “seri” nell’ambito della musica contemporanea, per orchestra, cameristici, anche un’opera lirica.

Ennio ha una struttura cronologica che compatta questa ricchissima vicenda in due ore e mezza, lasciando la sensazione che il racconto sarebbe potuto andare avanti ancora a lungo. Il cuore del film è nella sostanziosa intervista rilasciata dal Morricone anziano – nel frattempo scomparso, nel 2020, plurinovantenne, era nato nel 1928, dove se non in quella città cinematografica per definizione che è Roma –, cui si aggiunge un vasto (va detto, non sempre indispensabile) corpus di testimonianze, da Bertolucci a Roland Joffe, Clint Eastwood e Tarantino, compositori come John Williams e Hans Zimmer, Gianni Morandi ed Edoardo Vianello per il versante pop, e anche collaboratori come Alessandro Alessandroni, “fischiatore” ufficiale dello spaghetti western, la cui impronta nelle colonne sonore di Morricone della trilogia del dollaro di Sergio Leone resta iconica.

Sergio Leone, naturalmente, è una tappa essenziale di Ennio. Ma è anche a suo modo quella più nota e celebrata. Mentre è di maggiore interesse il racconto di formazione della vita di Morricone, legata all’elemento drammaturgico intorno al quale ruota tutta la prima parte – la più stringata ed efficace –, ossia il rapporto tormentato del giovane allievo del Conservatorio con il maestro Goffredo Petrassi, rigoroso esponente di una musica di ricerca di fronte alla quale Morricone ha sempre percepito una forma di sudditanza e anche di rimorso, per la necessità – lui proveniente da una famiglia modesta, figlio di un trombista che l’aveva letteralmente obbligato a suonare pure lui la tromba – di dedicarsi da subito alla musica leggera, indispensabile per guadagnarsi il pane.

Ed è singolare come questo rammarico attraversi la vita di Ennio Morricone quasi sino alla fine, come traspare dai momenti in cui si commuove apertamente, a volte ricordando estaticamente la “bellezza della grafia” delle partiture di Petrassi, a volte riandando a certi complimenti che il maestro in tarda età gli fece, riconoscendo la bontà dei suoi lavori per il cinema.

Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore

Ennio racconta con puntualità il lungo processo tramite il quale le due anime divise dell’enigmatico Morricone – da un lato lo sperimentatore di “suoni brutti, traumatici” con il gruppo Nuova Consonanza, che tiene d’occhio le avanguardie e le performance musicali di John Cage; dall’altro il melodista naturale, lui che non amava la melodia, che fa gli arrangiamenti per il Quartetto Cetra, Gianni Meccia e Morandi – finiscono in tarda età per ritrovarsi, in un’accettazione rasserenata del suo mestiere multiforme ed enciclopedico.

Che è in fondo, come Ennio mostra con notevole chiarezza entrando nella scrittura morriconiana, quello che lui aveva in sostanza sempre fatto, sin dalle prime composizioni per musica leggera e ancor di più nelle partiture per il cinema, che hanno sempre tenuto insieme alto e basso. Piene di segrete citazioni colte, con l’uso del contrappunto, la moltiplicazione delle linee melodiche infilate una dentro l’altra (Metti una Sera a Cena per Patroni Griffi), Frescobaldi e Palestrina, Bach e Beethoven. Sino a quella propensione da “musica concreta” che è nell’uso di rumori, fischi, incudini, colpi di frusta, cigolii, barattoli, che lo conducono a modellare colonne sonore che non sono più semplici musiche da film, ma veri e propri “paesaggi sonori”, come nel prologo muto di C’Era una Volta il West, cadenzato da una sinfonia rumoristica che è l’esempio più celebre del suo innovativo magistero, che condusse in direzioni sempre più astratte e sperimentali nelle partiture per i thriller di Dario Argento (L’Uccello dalle Piume di Cristallo, Il Gatto a Nove Code).

Lo straordinario paesaggio sonoro di rumori di C’Era una Volta il West

Tornatore poi in Ennio non si limita a spiegare la specificità del talento di Morricone, ma lo mostra attraverso i tanti brani dei sui film – partendo dalla prima colonna sonora realizzata nel 1961 per Il Federale di Luciano Salce – che lui rimonta, creando quasi dei trailer d’autore in cui le immagini contrappuntano e fungono da commento alle musiche (c’è anche il vezzo di una gustosa autocitazione, con un montaggio di baci da cinema che ripete quello del finale di Nuovo Cinema Paradiso).

Il prodigio di Morricone è anche questo: nel suo caso talvolta il rapporto tra musica e immagini pare ribaltarsi, con queste ultime che seguono le note e aiutano a comprenderne ancora meglio l’originalità. In questo Ennio è un’operazione francamente emozionante, anche per la sua capacità di ridare vita su grande schermo al ricordo di sequenze sepolte nella memoria striminzita di un immaginario da schermo televisivo, risarcendole al buio della sala di tutta la loro potenza espressiva, che trova nelle musiche un’amplificazione e un climax.

Per cui non risultano enfatiche o improprie certe affermazioni altisonanti che inevitabilmente punteggiano Ennio, come quella di Roberto Faenza secondo cui “Morricone è l’inventore della musica da film”. Le più belle sono di Bernardo Bertolucci (una lunga collaborazione, da Prima della Rivoluzione a La Tragedia di un Uomo Ridicolo, passando per Novecento), nel frattempo anche lui scomparso, il quale dice che le colonne sonore di Morricone erano dei “film paralleli”, in cui si fondevano “prosa e poesia”. Aggiungendo sornione, riferendosi alla collaborazione tra Pasolini e Morricone, iniziata nel 1966 con Uccellacci e Uccellini, che “fino a quel momento Pier Paolo aveva avuto come musicista solo Bach, poi passò a Morricone”.

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