Cosa si può dire ancora della “trilogia del dollaro” di Sergio Leone, oltre a ringraziare il progetto Il cinema ritrovato, grazie al quale è possibile rivedere dei veri classici al cinema, nelle versioni restaurate dalla Cineteca di Bologna? Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo: tutto è noto di questi straordinari successi, tra i maggiori incassi della storia del cinema italiano. Imposero un regista quasi sconosciuto, dando vita a un genere, lo spaghetti-western, di cui persino gli americani dovettero tenere conto negli sviluppi del western. Leone prese un attore confinato in pellicole di serie B, Clint Eastwood – che creò il personaggio del laconico bounty killer con sigaro d’ordinanza e battuta affilata –, e lo trasformò in una star.
La visione su grande schermo ci offre emozioni inedite. Prima di tutto la scoperta dello spazio, che nel western adulto è sempre protagonista al pari dei personaggi, in Ford e Hawks, in Mann (Anthony) e Peckinpah, e che è impossibile cogliere a pieno nella visione televisiva. Leone ne era consapevole, e per questo utilizzò un formato panoramico che gli consentiva di raccontare lo spazio in modo congeniale. Il regista arricchì la grammatica del genere con soluzioni imitate fino alla nausea, come l’alternanza di campi lunghissimi e dettagli del volto, coreografando duelli che sono una partitura di immagini e suoni, come quello famosissimo di Per qualche dollaro in più tra Gian Maria Volonté e Lee van Cleef, ritmato dal suono di un carillon.
Leone vinse la scommessa di reinventare un genere che sembrava connaturato alla sensibilità statunitense e dunque non esportabile. Ci riuscì ambientando i suoi film in una Spagna trasfigurata, che ha il sapore di un’America di confine, quasi messicana. Risultato, l’Almería si riempì di troupes che giravano film cercando di ripetere il successo di Leone. E nacquero molte varianti, dal western politico tipo Quién sabe? di Damiano Damiani (bello) al western picaresco e fracassone della serie Trinità, con la coppia Bud Spencer e Terence Hill (divertente).
Ma nessuno raggiunse la qualità di Leone, perché nessuno possedeva la passione e la conoscenza che lui aveva del western. Questo fattore costituisce la cifra dei suoi film, non legati tanto alla storia dell’America e degli americani, ma alla memoria del genere cinematografico di cui il regista è stato spettatore innamorato. È così persino ne Il buono, il brutto, il cattivo, che si svolge sullo sfondo di una guerra di secessione che non coinvolge davvero i tre protagonisti, impegnati a fare tutt’altro.
Per questo i personaggi di Clint Eastwood nella trilogia (e pure il Charles Bronson del successivo C’era una volta il West) sono senza nome, privi di passato e futuro: perché non sono legati alla storia degli uomini, ma a quella del cinema. Sono esseri fatti di celluloide, che nascono e vivono nel buio della sala. E da qui deriva il loro intramontabile fascino di creature mitologiche, che solo il grande schermo riesce a restituire nella loro vera dimensione.
Andate a godervela.