Il Truffatore Di Tinder, e se il docu-film Netflix sulla vita vera di un impostore lo trasformasse in un eroe dei nostri tempi?

Un seduttore seriale sull’app di dating adescava donne con un profilo da miliardario spendaccione. A pagare però erano sempre le sue conquiste. Una vicenda paradigmatica. Ma lo stile semplicistico rischia di rendere intrigante il criminale

Il Truffatore Di Tinder

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Shimon Yehuda Hayut (o Simon Leviev, o David Sharon, e chissà quanti altri nomi falsi ha utilizzato) è un criminale o un eroe dei nostri tempi? Prima di cercare di rispondere a questa domanda, andiamo per ordine. Sta facendo molto rumore – in tanti paesi, Italia compresa, è entrato nella top ten dei contenuti più visti della piattaforma – il docu-film sbarcato su Netflix dal 2 febbraio, The Tinder Swindler, “Il Truffatore Di Tinder”. Non è difficile capire perché. Il film diretto da Felicity Morris, alla sua prima regia dopo aver prodotto diverse serie tv documentarie, dà corpo alle nostre più diffuse ansie e paranoie circa i rischi connessi all’uso della rete e dei social network.

E non c’è social network che esponga potenzialmente a maggiori pericoli di Tinder, l’app di dating che, diversamente dagli altri social che possono restare confinati nella cornice rassicurante di rapporti rigorosamente on line, ha come obiettivo proprio quello di consentire l’incontro di due persone nel mondo reale. “Uno swipe può cambiarti la vita per sempre”, dice una delle donne intervistate, incappate nell’impostore Shimon, o meglio Simon Leviev, il “principe dei diamanti”, questo il nome con cui le protagoniste de Il Truffatore Di Tinder, Cecilie Fjellhøy, Pernilla Sjoholm e Ayleen Charlotte, hanno conosciuto l’uomo che avrebbe rovinato le loro esistenze.

Il “principe” ha il profilo Tinder appassionante del businessman cosmopolita: ricchezza ostentata, jet privati, auto di lusso, feste esclusive, presunto rampollo del miliardario russo-israeliano Lev Leviev, fondatore della compagnia LLD Diamonds. Una tentazione troppo forte: le tre ragazze decidono di incontrarlo, inebriate dalla sua recita perfettamente oliata a base di cene a lume di candela, weekend da favola in hotel a cinque stelle, voli prenotati apparentemente d’impulso per passare qualche ora con la donna dei propri sogni. Tutto sempre rigorosamente offerto da Simon, che paga cavallerescamente di tasca propria.

A un certo punto il copione, sistematicamente, cambia. Simon, minacciato da non meglio precisati “nemici”, mostra via WhatsApp delle foto di sé e del suo bodyguard sanguinanti al pronto soccorso, e convince le donne a inviargli del denaro, perché il suo conto è stato bloccato. Cecilie, Pernilla e Ayleen gli mandano somme sempre più consistenti, una di loro rimettendoci cifre a cinque zeri. Scoprendo alla fine che, nella messa in pratica di una sorta di schema Ponzi, ogni volta a pagare per la bella vita che hanno fatto non è mai stato Simon, ma un’altra donna precedentemente ingannata, in una catena interminabile di raggiri calcolabile, secondo gli inquirenti, in una somma di circa dieci milioni di dollari.

Il Truffatore Di Tinder è costruito come un thriller accattivante. Da un lato c’è l’estetica canonica da spy story, con le tipiche immagini delle metropoli riprese dall’alto – con tanto di didascalia col nome delle città – a scandire i capitoli di questa vicenda internazionale, avvincente e misteriosa come un film di James Bond. L’altro elemento è l’onnipresenza degli schermi digitali, con la storia che passa quasi integralmente tramite gli smartphone e i computer sui quali è emigrata una parte consistente delle nostre vite.

Le protagoniste Cecilie Fjellhøy, Ayleen Charlotte e Pernilla Sjoholm (Photo Joshua Wilks / Netflix)

Questo accade anche perché l’unico modo per ricostruire la vicenda dello sfuggente Shimon-Simon è inseguendolo attraverso le tracce lasciate sulla rete, con gli screenshot dei suoi messaggi prima romantici e poi sempre più pressanti e minacciosi, con gli audio originali dei suoi vocali, le sue foto e video mandati da mezzo mondo alle presunte fidanzate, indispensabili per costruire la narrazione di un’esistenza elettrizzante e costantemente sopra le righe.

Il risultato è che, dato che Shimon non ha accettato di partecipare al documentario, lo spettatore lo vede principalmente attraverso i contenuti da lui stesso creati ad arte per corroborare la seducente messinscena truffaldina. Poi naturalmente Il Truffatore Di Tinder mostra il lato oscuro della vicenda, perché assume sempre il punto di vista delle tre ragazze, cui si aggiungono i giornalisti di VG, il più diffuso tabloid norvegese, che scoperchiano finalmente il caso con un’inchiesta del 2019 che ottiene una risonanza internazionale e inchioda il malvivente.

Resta però il fatto che, nonostante tutte le cautele e il racconto di come queste donne abbiano saputo riappropriarsi delle loro vite, reagendo e incastrando il criminale, almeno in parte Il Truffatore Di Tinder ripercorre la vita di Shimon assumendo la sua prospettiva. Lasciando in chi guarda il documentario una sensazione di disgusto mista a una forma di fascinazione per l’astuzia luciferina del personaggio. Il finale della storia conferma questa percezione. Perché è pur vero che nel 2019 Shimon Hayut è stato arrestato in Grecia ed estradato nel suo paese natale, Israele. Però della condanna di 15 mesi ha finito per scontarne soltanto cinque. Ed ora è a piede libero, con un nuovo lavoro da consulente a pagamento per dei workshop in cui insegna a ottenere il “successo imprenditoriale e personale”. Seguendo il destino dei Jordan Belfort di questo mondo, il Wolf Of Wall Street raccontato da Martin Scorsese che, dopo aver racimolato milioni di dollari gabbando chiunque, una volta uscito di galera è diventato un coach motivazionale.

Nel suo film Scorsese, sceglie un taglio volutamente nel segno dell’ambiguità, perché sa quanto il male, l’ambizione, la sete di ricchezza a ogni costo siano affascinanti e seducenti, soprattutto nell’era della società dello spettacolo e della cultura del narcisismo, in cui apparenza, fama e successo sono tutto. Il Truffatore di Tinder invece, chiuso nell’ottimismo della sua forma narrativa enfatica e semplicistica, pensa di poter tenere bene distinti bene e male e porta avanti fiducioso il suo smantellamento del personaggio di Shimon, fino alla conclusiva condanna esemplare. Il gioco però sembra sfuggirgli di mano.

In The Wolf Of Wall Street, dopo che un quotidiano finanziario dedica un articolo a Belfort facendolo a pezzi e trattandolo come un criminale, la sua società viene presa d’assalto da aspiranti broker disposti a tutto pur di lavorare per lui, proprio perché è un uomo spregiudicato e senza remore. Nel caso di Shimon, prima che lo sospendessero in questi ultimi giorni, il profilo Instagram di quello che aveva ancora l’impudenza di presentarsi come Simon Leviev, aveva raggiunto in pochissimo tempo 245mila follower, con immagini sorridenti e vincenti che lo ritraggono mentre scende e sale da aerei e auto sportive in compagnia di donne bellissime, foto esattamente identiche a quelle che vediamo ne Il Truffatore Di Tinder. Fonti dell’ultim’ora assicurano che lo sbarco di di Shimon-Simon nel mondo dello spettacolo è prossimo. Il documentario di Felicity Morris potrebbe averlo aiutato.

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