Oltre Il Giardino, il genio di Peter Sellers in un grande (e attualissimo) apologo sull’idiozia collettiva

Un sempliciotto, scambiato per un maître à penser, diventa l’uomo del giorno, conteso da tv, banchieri e politicanti. Una satira al vetriolo, firmata dal bravissimo (e dimenticato) Hal Ashby

Oltre Il Giardino

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Oltre Il Giardino (Being There, 1979) è circonfuso di un’aura quasi leggendaria, anche per il suo sapore di film postumo. Perché è l’ultima grande interpretazione di Peter Sellers, che sarebbe morto l’anno dopo, nel 1980. Perché è anche una delle ultime volte di una leggenda della vecchia commedia americana come Melvyn Douglas (basterebbero i suoi film con Lubitsch, Angelo e Ninotchka, per consegnarlo alla storia del cinema), che fu insignito dell’Oscar e la cui presenza riannoda idealmente la vecchia alla Nuova Hollywood. Perché forse è l’ultima interpretazione di rilievo della meravigliosa Shirley MacLaine, sempre più sacrificata in seguito. E perché è, nei fatti, l’ultimo vero film di un regista ormai dimenticato come Hal Ashby.

Un autore che veniva dal montaggio – aveva vinto l’Oscar di categoria per La Calda Notte Dell’Ispettore Tibbs – e che, passato dietro la macchina da presa, firmò lungo tutti gli anni Settanta un pugno di film che, anche intercettando lo spirito del tempo, possedevano una cifra anarcoide, libertaria e grottesca, nutriti di quel sapore d’improvvisazione che era proprio del suo modo di gestire il set.

Titoli come Harold e Maude (1971), delicata e surreale storia d’amore tra un adolescente depresso e un’anziana vitalissima (che della coppia è quella veramente giovane); L’Ultima Corvé (1973), road movie che racconta la crisi morale di un paese in cui gli uomini non credono più alle istituzioni cui appartengono e ai ruoli che indossano, finendo però per piegarsi conformisticamente alle regole; il graffio satirico di Shampoo (1975), dove l’aggiornamento di stili di vita e abitudini sessuali non corrisponde a un reale cambiamento nei modelli sociali, sempre nelle mani dei potenti e più arroganti; Tornando A Casa (1978), sofferta riflessione sulle ferite fisiche ed emotive di donne e uomini coinvolti in varie forme nell’epopea che segnò quella stagione americana, la guerra del Vietnam.

Oltre Il Giardino (Deluxe Edt.)
  • The disk has Italian audio and subtitles.
  • Sellers/Maclaine (Actor)

Con quest’ultimo film Ashby ottenne la nomination all’Oscar per la regia e permise a Jon Voight e Jane Fonda di vincere le statuette come migliori attori. Ma dopo il successivo Oltre Il Giardino seguirono comportamenti sempre più stravaganti, l’uso massiccio di droghe, progetti fallimentari che lo resero una presenza indesiderata dell’industria del cinema, fino alla morte nel 1988 per un male incurabile. Il film con Sellers, tratto dal romanzo Presenze di Jerzy Kosinski, che curò anche la sceneggiatura, è il canto del cigno di Ashby, illuminato dall’interpretazione straordinaria del protagonista. Il quale, contrariamente al suo stile camaleontico e istrionico, qui invece è contenutissimo, al limite dell’atonia, inespressivo, olimpico e distante come richiesto dal ruolo enigmatico del giardiniere Chance.

Che è un uomo senza storia, passato, documenti d’identità, origini. Un imbelle, che non sa né leggere né scrivere, vissuto per tutta la sua esistenza sigillato nei confini emotivi della sua eterna immaturità, e in quelli fisici di una lussuosa dimora di Washington di cui ha curato per tutta la vita il giardino, fino a quando la morte del padrone di casa non lo catapulta nel mondo reale. Di cui Chance, onnivoro consumatore di televisione, non sa nulla. Nel primo incontro con una banda di criminali, in una gag divenuta proverbiale, spaventato dalle minacce dei giovinastri, lui cerca di cambiar canale con il telecomando che si porta sempre appresso.

Il caso, un insignificante incidente d’auto, gli fa incontrare l’anziano magnate Benjamin Rand (Douglas; per restituire la dimensione della sua ricchezza come location fu scelta la grandiosa residenza dei banchieri Vanderbilt), che lo ospita a casa. Lui e la sua molto più giovane moglie (MacLaine) prendono a benvolerlo, scambiando la sua naïveté per arguzia, la sua semplicità per franchezza. Addirittura il presidente degli Stati Uniti (Jack Warden), andato a trovare Rand, pende dalle labbra di Chance immaginando sia chissà chi, e prende in prestito le sue parole – che riguardano rigorosamente l’unico argomento che conosca, il giardinaggio – interpretandole come acute metafore sulla condizione economica del paese, citandole in un discorso alla nazione. A quel punto il mite giardiniere – che tutti, equivocando, credono si chiami Chauncey Gardiner – diventa l’uomo del giorno, invitato in tv, intervistato da tutti i quotidiani, conteso dagli editori che vogliono scriva un libro in una società in cui nessuno legge più niente.

Lui però, afferma candidamente di non leggere i giornali e guardare solo la tv. “Mi piace guardare” è il suo mantra, che corrisponde al suo vuoto spirito imitativo, che lo porta a replicare i gesti di qualunque personaggio televisivo. È questo elemento di critica dei media, di messinscena della dilagante idiozia collettiva ad aver reso proverbiale Oltre Il Giardino. Il cui protagonista non è, attenzione, l’everyman di cui celebrare il buon senso e l’attaccamento ai valori sinceri e autentici, come fossimo in un vecchio film intriso di spirito democratico alla Frank Capra. Tutt’altro, Chance è un inquietante beota integrale, ignaro di tutto e completamente sprovveduto, cui basta indossare l’abito giusto – i vestiti di taglio sartoriale che gli passava il suo vecchio padrone –, mostrarsi accanto alle persone giuste – Rand, di cui assorbe l’autorevolezza per osmosi –, possedere l’aria giusta, con quel contegno impassibile che fa pensare a chissà quale degnazione aristocratica, per vedersi trasformato agli occhi di tutti nel possibile futuro candidato alla Casa Bianca.

Chiunque abbia a che fare con Chance crede di essere di fronte a un singolare essere superiore. Allo stesso modo lo spettatore di Oltre Il Giardino subisce la stessa malìa, sentendo di essere di fronte a un capolavoro che nella sua ricercata misura racconta chirurgicamente la decadenza della civiltà occidentale, con la gente anestetizzata dall’oscenità televisiva, ormai talmente asservita alla logica da recita collettiva della società dello spettacolo da non riuscire a distinguere più il falso dall’autentico, l’abito dal monaco. Oltre Il Giardino naturalmente parlava, non poteva fare altrimenti, di televisione, ma il suo discorso suona oggi persino più attuale, profeticamente sintonizzato sul narcisismo superficiale, fragile e spaventato di quella fasulla messinscena di sé cui ci invita il mondo digitale dei social network.

E la mirabile interpretazione “trasparente” di Sellers costituisce il dispositivo che innesca questa percezione, grazie al suo volto imperturbabile sul quale verità e menzogna si mescolano al punto da risultare indistinguibili. Per questo, seppure interpretabile come uno scivolone misticheggiante, persino il finale che sfocia nell’irrazionale non suona improprio rispetto al tono generale di Oltre Il Giardino. Che non mira a una rappresentazione piattamente realistica, ma a cogliere satiricamente la sostanza di quell’infinito intrattenimento massmediale dentro il quale siamo inscatolati, inebetiti al punto da non possedere più gli strumenti culturali minimi indispensabili per distinguere le apparenze dai fatti. A quel punto è un attimo scambiar lucciole per lanterne, affidarsi alle corbellerie snocciolate da un tapino prendendole per profondità sapienziali, credere di vedere un novello Cristo che cammina sulle acque.  

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