Con l’Ensete il superfood si veste da banana, ecco il cibo del futuro

Che cos'è l'Ensete e come potrebbe entrare nelle nostre vite


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Che cos’è l’ensete e qual è l’alimentazione del futuro? Si parla sempre più spesso di superfood e di quello che tra qualche anno la terra sarà ancora in grado di offrire alla popolazione sempre più numerosa e ingombrante e sembra che una mano potrebbe arrivare dalla finta banana, l’Ensete, una delle principali colture dell’Etiopia.

Non fatevi ingannare dalla forma, però, perché a differenza della ‘nostra’ banana, il frutto non è commestibile ma tutto il resto sì. La popolazione locale usa radici e fusto per fare porridge e pane e questo lo rende un alimento appetibile per tutti coloro che stanno disperatamente cercando un’alternativa al cibo più commerciale. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, l’Ensete è la nuova frontiera del cibo sostenibile proprio come molti altri cibi vegetali con nomi esotici e dalle diverse proprietà benefiche (vedi quinoa, ginseng o alga spirulina), il cosiddetto superfood.

L’ensete, la finta banana, potrebbe rappresentare una possibile new entry tant’è che gli studiosi sono già pronti a scommettere che in futuro potrebbe sfamare più di 100 milioni di persone grazie alla sua resistenza e alla massima produttività. Al momento il più grande produttore del parente stretto del banano è l’Etiopia, ma che cos’è di preciso?

Che cos’è l’ensete?

L’ensete è una pianta a foglie talvolta alta fino a dodici metri con un falso fusto formato dalle basi delle foglie che crescono a spirale raggiungendo metri di lunghezza e un metro di larghezza e presentandosi con un verde brillante con una venatura centrale. A differenza dei banani, che vengono coltivati soprattutto per i frutti, l’ensete è sfruttato per il corpo vegetativo che produce prodotti commestibili.

Le sue piante possono essere di due varietà “morbide” e “dure” e mentre la prima è considerata un cibo per le situazioni di emergenza (perché è disponibile in un terzo del tempo), il secondo ha bisogno di più tempo per fermentare. Adesso bisogna capire se in un futuro prossimo l’agricoltura europea volgerà lo sguardo anche a questo tipo di piantagioni in un’ottica di ecosostenibilità oppure no.