Sono di fronte alla scuola dei miei figli piccoli, gemelli, quinta elementare. Di tutte le quinte, quattro sezioni, oggi entra a scuola solo una, quella di mia figlia Chiara. La classe del suo gemello, Francesco, come le altre due, farà DAD, essendo in quarantena. Si chiama quarantena cautelativa, quando cioè una classe viene entra in DAD perché ci sono due o più positivi tra gli alunni, due o più casi di positività subentrati nelle quarantotto ore successive all’ultimo contatto con i compagni di scuola, ovviamente. Funziona così anche per adulti, con tutte le variabili del caso dato dal booster e dai vaccini, in alcuni casi non si deve fare quarantena o la si fa ridotta. Alle elementari avere due dosi di vaccini non fa alcuna differenza, i gemelli le hanno, si entra in quarantena per dieci giorni e se ne esce solo con un tampone negativo. Tampone che ora è gratis, se fatto presso le farmacie convenzionate, ci si mette in fila, ordinatamente, e si aspetta il proprio turno. Francesco ha finito una quarantena tre giorni prima delle vacanze di Natale, ci è rientrato cinque giorni dopo il rientro dalle vacanze di Natale. Avanti tutta.
Io, anche per questa mia ripetuta esperienza personale, sarei stato per non riaprire le scuole, perché è vero che la scuola in presenza non è come quella in remoto, è vero che la socialità è fondamentale, specie a quell’età, ma è anche vero che questo continuo provare a scansare le quarantene, e questo costante dover ricorrere ai tamponi, i messaggi con l’ATS, i messaggi nelle chat della classe, messaggi che riceve mia moglie, essendone stato io tenuto fuori, quella una forma cautelativa per il bene degli altri genitori, più che per me, tutto questo credo sia assai più psicologicamente dannoso che lasciare che Omicron scorrazzi libero per le classi, finendo poi nelle case, come in effetti sta accadendo.
“Ne resterà solo uno,” dicono un po’ tutti i pochi genitori presenti davanti alla scuola, ripeto, i genitori di una sola classe. Conor McLeod all’orizzonte.
Qualcuno azzarda che, anche se le scuole chiudessero, manderebbe comunque il figlio a scuola, come a dire che la presenza è per lui, figlio o genitore non saprei dirlo, fondamentale. Qualcuno, io, dice che vedrebbe una chiusura definitiva per qualche settimana come sensata. Ognuno dice la sua, stancamente, perché ormai di parlare sempre e solo di Covid è venuto a noia, anche se non se ne esce, si torna sempre lì. Anche tra amici, le rare volte in cui ormai ci si riesce a vedere, o a sentire, le quarantene dilagano ovviamente anche tra adulti, tempo cinque minuti e si parla di questo, di No Vax, di booster, di quando mai finirà, di ti ricordi quando, questa storia qui.
Ho fatto due vaccini, Pfizer. A giorni, se scampo una quarantena, farò la terza dose. Come mia moglie e i miei figli grandi. I piccoli hanno fatto le due dosi a loro accessibili. Io, mia moglie e i due figli grandi non abbiamo ancora fatto il booster perché per me e mia moglie questo è stato il tempo di attesa previsto dalla regione Lombardia, i miei figli grandi sono ancora dentro i quattro mesi di attesa dalla seconda dose. Credo quindi che vaccinarsi sia sensato. Non l’ho fatto a cuore leggero, e ancora meno l’ho fatto fare a cuor leggero ai miei figli, ma credo nella scienza e mi fido di chi se ne occupa. Anche se penso, attento a seguire le regole, scrupoloso nel farlo, che tutto quello che ci è stato comunicato riguardo la vaccinazione e più in generale la pandemia sia la prova provata di un fallimento. Mi spiego, e neanche intendo approfondire troppo, credo sia sotto gli occhi di tutti, ma cambiare ogni due giorni versione, certo, in balia degli eventi, non ha certo contribuito a rassicurare chi aveva bisogno di essere rassicurato, né a dare della scienza una versione inattaccabile, spesso ci è stato chiesto un atteggiamento fideistico più proprio della religione, o delle credenze, col risultato finale che facciamo a fidarci, laddove dovremmo essere certi di quel che ci viene detto. Il che è stata benzina per i complottisti, gli antiscientifici, i cosiddetti No Vax. Anche nei loro confronti, credo, c’è stata una narrazione sbagliata, spesso grossolana e di parte. Pur non avendo nessuna stima nei confronti di chi si ritiene portatore di verità occultate in base a non si sa bene quale progetto incomprensibile a noi poveri scemi, credo che appioppargli qualsiasi tipo di problema, indicarli come la fonte unica più che primaria dell’aggravarsi, ondivago, delle gestioni ospedaliere, sia stato un errore nell’errore, perché quando si esagera nel raccontare qualcosa si finisce per non essere credibili, e perché la polarizzazione è sempre sbagliata, specie se avviene da chi detiene il potere. Non sono affatto convinto che ogni idea contenga un minimo di verità, ci sono idee che neanche dovrebbero essere chiamate così, che sono solo e pura menzogna, e so che il comportamento di chi nega un’evidenza come la pandemia, o si arroga il diritto di ritenersi unico portatore di verità, negando la scientificità del vaccino, finendo per intasare gli ospedali, o tenerli in scacco, questo dicono i numeri, lasciando fuori chi invece sta dentro l’alveo del buon senso e delle regole, è quanto di più scellerato sia ipotizzabile in un momento in cui più di sempre ci viene richiesto di essere razionali, ma sono anche convinto che la goffaggine con cui si è indicato al nemico pubblico numero uno non abbia fatto altro che radicalizzare le confuse teorie strampalate di chi si sentiva già in partenza sotto attacco, divide et impera è un concetto durato millenni, ma che in genere prevede una teorizzazione che stavolta mi sembra essere mancata del tutto. Poi, è chiaro, tutta la questione di Big Pharma, le multinazionali, il 5G e compagnia cantante è puro folklore, ripeto, non mi sognerei mai di mettere in dubbio le indicazioni della comunità scientifica, ma il fallimento di questa narrazione è lì, neanche tocca sforzarsi troppo per vederlo.
Ma se le scuole non sono in DAD, o meglio, sono in DAD, leggo sui giornali, circa il 50% delle classi in tutta Italia, altra prova provata di un fallimento conclamato, checché ne dica il ministro Bianchi, lì a gongolare non si sa bene per quale risultato, è invece ufficiale che sarà in DAD il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, questo è stato finalmente comunicato con giusto quel mesetto di ritardo sui tempi tecnici. Intendiamoci, all’Ariston quest’anno ci sarà il pubblico, come è giusto e normale che sia, da nessuna parte, neanche in zona Rossa, credo, vai a sapere esattamente le regole del giorno, i teatri sono chiusi, non vedo perché dovrebbe esserlo l’Ariston, un teatro, seppur un teatro al momento prestato alla televisione, ma tutto il resto, le interviste, le conferenze, la Sala Stampa, si svolgerà in remoto, su zoom o meets, in ciabatte e mutande a intervistare cantanti che dovranno vivere in una sorta di bolla iperportetta, il caso di Irama dell’anno scorso, mai sul palco perché uno del suo staff era risultato positivo, insegna, e mica è un caso che quest’anno alle prove tutti sono andati con gli abiti di scena, Irama l’anno scorso ha partecipato con la registrazione delle prove, appunto. Uno dei Big, del resto, e dire Big parlando di chi sto per parlare mi mette confesso a disagio, Aka 7even, è del resto al momento positivo, e visto che ha saltato le prove, sono curioso di sapere cosa succederà se la positività dovesse protrarsi fino all’inizio del Festival, cosa che ovviamente non gli auguro. Insomma, sicuramente sarà un altro Festival a ostacoli, con tutto quel che ci gira intorno in DAD. Questa cosa, che visto il discorso su fatto per la scuola dovrebbe portarvi a pensare riscontri la mia approvazione, mi lascia in realtà basito. Non il fatto che avverrà tutto in remoto, io non andrò a Sanremo e l’ho deciso a novembre, quando le cose sembravano andare meglio e quando, comunque, avrei dovuto organizzarmi, non è che ci si improvvisa su due piedi se si è megalomani come me, sono dell’idea che creare situazioni di estrema promiscuità sarebbe stato sbagliato e nocivo, quindi ho optato per anticipare sui tempi quelle che erano scelte che davo per scontate, tenendomene fuori in anticipo, così anche da non perdere soldi di caparre e farmi cadere all’ultimo i coglioni, mi lascia piuttosto basito che questa decisione arrivi così a ridosso della kermesse sanremese, come aver voluto aspettare che arrivasse il medico per sancire che uno che è rimasto schiacciato sotto un container sia in effetti morto (ora del decesso…). Trovo che aspettare così tanto, lasciando nell’aria qualche pia illusione, non abbia fatto che alimentare false speranze, magari a beneficio di una cittadina come Sanremo, che per il secondo anno di fila perde una buona parte del suo indotto economico, certo, ma penalizzando tanto una parte di addetti ai lavori che già è stato penalizzato di suo negli stessi due anni, tutto fermo, tutto imballato, tutto morto. L’idea di fare tutto in remoto, su Zoom, da una parte è rassicurante, dall’altra è chiaramente destinata a risolversi in una macroscopica esplosione di noia mortale, pensate a interviste tutte uguali, con le stesse facce, gli stessi fondali, immagino il cartonato delle copertine degli album, fatte nelle stesse stanze di albergo. Roba da ingollare Mr Muscolo per provare a farsele andare giù, tanto più considerando che i cantanti in genere non è che siano le persone che hanno più cose da dire, e che se le ripetono a macchinetta per tutto il giorno finiscono per recitare un copione, le stesse risposte dette con le stesse parole, anche chi pone le domande ci mette ovviamente del suo.
Non potendo dar vita al corrispettivo sanremse del Rolling Thunder Revue ho deciso che mi limiterò a scrivere le pagelle, per il primo anno in coppia con mia figlia Lucia, già al mio fianco da sette anni nello stilare quelle di X Factor, così almeno non rischierò di addormentarmi sul divano, venticinque cantanti in gara lasciano pensare a puntate che finiranno a notte tarda, e per il resto credo che farò una sola diretta sui social con l’artista, gli artisti nello specifico, per cui farò spudoratamente il tifo, non è un segreto, parlo de La Rappresentante di Lista (l’altro artista per cui faccio il tifo è Giovanni Truppi, anche questo credo non sia un segreto).
Siccome però credo che mai come in questi tempi così malandati star qui a indicare le cose che non funzionano non sia utile, anzi, finisca per contribuire a rendere l’aria meno respirabile, metafora direi quasi scontata, penso che disseminare il cammino, per quanto irto e scosceso, di bellezza potrebbe essere un comportamento civile, vorrei provare, magari ingenuamente, o idealisticamente, sempre che esistano differenze palpabili tra queste due modalità, a spostare l’attenzione su un po’ di conclamata bellezza.
La prima tentazione, non pensate che quel che scrivo sia frutto di un flusso di coscienza, come magari lo stile colloquiale potrebbe indurre a pensare, è tutto molto pianificato, improvvisazione su standard, è quella di lasciarmi andare a un quasi adolescenziale celebrazione di quel gioiello di serie Tv che risponde al nome di Yellowjackets, storia che si svolge parallelamente tra gli anni novanta e l’oggi, seguendo le vicende di una squadra di calcio femminile precipitata nel bel mezzo di una foresta, e le vicende delle sopravvissute, ormai diventate adulte, una serie che mette in campo un cast stellare, Juliette Lewis, Christina Ricci e Melanie Linskey, insieme a Sophie Tatcher punta di diamante in questo racconto, e che alterna un racconto di formazione, storie di adolescenti messe alla prova, una prova estrema, e una vicenda dalle chiare tinte horror, Stephen King a fare quello che è probabilmente l’endorsement definitivo, sui social. Il tutto incartato in una colonna sonora strepitosa, gli anni Novanta a farla da padrona, nei suoni come nelle atmosfere, un vero gioiellino, parola di uno che si vede una marea di serie Tv, in solitaria tutte quelle che hanno a che fare con la fantascienza, il fantastico, il mondo dei supereroi, anche i gialli e i thriller, con mia moglie i medical, Grey’s Anatomy, New Amsterdam, The Resident, The Good Doctor, e anche qualcosa di più romantico, a volte anche di inclassificabile, penso a Atypical, bellissima serie su un ragazzo autistico e la sua famiglia. Poi, però, mi sono detto che raccontare la bellezza già indicata appunto da Stephen King poteva anche risultare operazione futile, superflua, così sono ancora una volta tornato a guardare al mondo della musica, il mio piccolo mondo antico, titolo a parte Fogazzaro mi è sempre sembrato sopravvalutato, detto en passant.
Manifesti e immaginari sensibili, questo il titolo dell’album che credo possa incarnare meglio oggi una idea nuova di bellezza, Miglio il nome della sua autrice e interprete, Matilde Dischi l’etichetta che l’ha tirato fuori. Si tratta di un EP, tecnicamente, composto da sei canzoni, tre già uscite come singoli, l’adrenalinica Autostrade, la mina India e la ballad quasi da crooner sensuale che si aggira per parcheggio deserti e stanze fortutamente abitate di Con la tua saliva, e tre inedite, fino a oggi, la percussiva e eighties Giardini pubblici, la malinconica presa di coscienza di come a volte sia necessario andarsene di Manifesto e la foreveriana Baby Baby Balla Balla, canzoni che ci presentano, in realtà Miglio è già in giro da qualche tempo, l’abbiamo vista alle semifinali di Musicultura, l’anno scorso, e sarebbe dovuta essere anche in finale al Premio Bianca D’Aponte, a Aversa, in ottobre, una artista con una personalità forte, una poetica molto precisa e riconoscibile, un amore evidente per la New Wave e un immaginario, evidente non solo nei suoni elettronici ma anche in un modo di usare le parole originale, letterari e al tempo stesso colloquiali, notturno, cittadini, India credo sia una hit magari più in potenza che in atto, ma una vera mina che ci apre le porte per una vita talmente pulsante da essere quasi tangibile, il tatto e l’olfatto i sensi più spesso evocati da queste perle. Una voce a sua volta iconica, precisa ma in apparenza scazzata.
Esiste una nuova manciata di artiste, penso oltre a Miglio a Mille, Gaia Gentile, entrambe con lei a Musicultura, penso a Yoniro, penso a Anna Soares, a Kimerica, a Costanza Savarese, a Anna e L’Appartamento, che in questo scenario apocalittico ci defibrillano, il nostro corpo morente per inedia e apatia.
Miglio e i suoi Manifesti e immaginari sensibili sono un tuffo di testa dentro la bellezza, che ti sale si carica sulle spalle per non farti sporcare le scarpe nuove dopo che ha piovuto, o che ti siede di fianco, le bottiglie di birra vuote, in attesa che da qualche parti prima o poi spunti il sole.
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