Quando Ivan Graziani muore a Novafeltria, nelle Marche, è fatta la sua volontà o meglio, quello della moglie Anna: abbandonarlo al sonno eterno insieme alla sua sei corde preferita, la “mamma chitarra” Gibson, con addosso quel gilet che lui stesso ha brevettato per agganciare lo strumento al suo corpo. È il 1° gennaio 1997 e l’Italia ha perso il cantautore con la chitarra elettrica per antonomasia, un genio che ha conquistato tutti e che nel cuore ha coltivato tutte le lezioni di Jimi Hendrix, B.B. King, Chuck Berry e tanti altri mostri sacri del rock e del blues.
“La chitarra era la sua ‘bambina’, lui diceva sempre che sarebbe morto con la chitarra in mano”, dice la moglie Anna. Nel luogo in cui Ivan Graziani riposa non è scritto il suo nome “poi magari ritorna”, dice ancora Anna. Quando Ivan Graziani muore ha solo 51 anni, ma il tumore al colon ha deciso per lui. Non abbastanza in tempo, però: Nella sua breve vita Ivan ha suonato con Lucio Battisti, ha raccontato donne belle e uniche come fossero dipinti, Agnese, Firenze (Canzone Triste).
Unico come personalità, talmente unico da poterlo considerare il più normale tra gli intellettuali, Ivan Graziani si dice fiero del suo disco I Lupi (1977) ma i suoi fan sostengono che il suo disco migliore sia Pigro (1978). Sua è Lugano Addio, che molti sostengono sia ispirata dalla canzone Addio Lugano Bella che anarchico Pietro Gori scrisse nell’800 dopo essere stato espulso dalla Svizzera. Lo stesso Graziani dirà che si tratta semplicemente dell’amore tra due persone, una del nord e una del sud.
Con la morte di Ivan Graziani niente viene cancellato: il cantautore abruzzese ha lasciato una discografia ricca, con generi e influenze assortite, insegnandoci che il cantautore può essere tutto anche al di là del folk.