Cantautrici che cantano e non pisciano, almeno in pubblico

Anna e L’Appartamento, Mille, Kimerica e Veronica Vitale: appuntatevi i nomi di queste quattro artiste, che difficilmente finiranno sugli smartphone dei più distratti visto che non è loro intenzione calarsi i pantaloni durante un prossimo live


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Giorni fa avete conosciuto i Brass Against, non negate. Sono di colpo diventati trend topic, del resto, non è che siate rimasti colpiti da chissà che sortilegio. Avete conosciuto i Brass Against e li avete conosciuti esattamente per il solo motivo per cui è possibile che si conosca questa band fino a ieri praticamente sconosciuta in Italia. Di più, sapete pure che la cantante della band, è lei il motivo per cui ora conoscete i Brass Against, si chiama Sophia Urista. È successo, ma già lo sapete, lo scrivo giusto a futura memoria, oggi è impossibile cancellare le proprie tracce dalla rete, è noto, ma è anche impossibile restare troppo a lungo in superficie, quello che vado a raccontare e il fatto che Sophia Urista non sia più in trend topic lo attesta, è successo che la band dei Brass Against, il cui repertorio è composto in buona parte di cover, stava esibendosi al Welcome in Rockville, un festival che si tiene a Daytona Beach in Florida. Fin qui niente di rilevante, a parte l’idea che in Florida ci siano dei festival anche in piena pandemia, ma non è questo l’argomento del giorno. I Brass Against si stanno esibendo quando la nostra eroina, la vostra eroina, Sophia Urista, vede che tra le prime fila del pubblico c’è un tizio con una telecamera sopra la testa. A quel punto, dopo aver detto che deve assolutamente andare in bagno, chiama il tipo, più che chiamarlo lo apostrofa, lo insulta, evidentemente non vuole che il concerto venga ripreso, e lo invita sul palco, con fare di sfida. Il tizio non se lo fa dire due volte, sale sul palco e si stende a terra. A questo punto la cantante newyorchese, un passato anche come concorrente di The Voice USA, gli si para sopra, si tira giù pantaloni e mutande e, continuando a cantare, gli piscia in faccia, tra il clamore del pubblico. Finita l’operazione il tipo, evidentemente soddisfatto di questa golden shower, si solleva e sputa piscio sulle prime file. Il video diventa virale, al punto che Twitch, che ha trasmesso l’evento lo rimuove. Come abbiamo visto, però, nulla si cancella, quindi i social cominciano a farlo rimbalzare, tra commenti divertiti, i più, e scandalizzati. La band non prende le distanze dall’accaduto, andando però a avvisare i fan che questo passaggio non è una costante dei loro concerti. Sophia Urista, divenuta per un giorno star di livello internazionale, si scusa, lasciando intendere di aver ceduto allo stress e alle provocazioni. Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire, sarei solo curioso di sapere cosa avranno pensato Tom Morello e Zack de La Rocha nel sentire la loro Wake Up come sottofondo di un gesto sì sovversivo, ma non nel senso che ha sempre caratterizzato le performance dei Rage Against the Machine.

Se Andy Warhol avesse saputo che a un certo punto avrebbero fatto irruzione nelle nostre vite i social e aggeggi in grado di riprendere tutto quel che succede in tempo reale, c’è da scommetterci, avrebbe formulato diversamente la sua celebre e stracitata frase sui quindici minuti di fama cui tutti potranno ambire. Tocca alzare l’asticella, vecchio mio, gli direi, fosse ancora in vita, ma alzarla anche di molto. Questo, ovviamente, non è uno scritto su Sophia Urista. Certo, anche io ho visto il video, più di una volta, provandone come tutti, credo, salvo gli appassionati del genere, e non sto parlando del crossover dei RATM, un misto di divertimento e disagio. Non è un pezzo su Sophia Urista perché lei ha avuto già modo di essere raccontata, assai più di quanto il suo essere comunque la cantante di una band con un certo seguito, oltre che una specie di influencer in proprio, ma è un pezzo che da Sophia Urista che piscia sulla faccia di un fan con una telecamera in testa, lei accovacciata a chiappe per aria, lui steso sul palco, vuole partire.

Mi capita ogni giorno di ricevere nuove produzioni musicali. Album pubblicati o in via di pubblicazione, demo ancora da rifinire, canzoni che molta strada devono fare prima di vedere la propria veste definitiva. Ne ricevo un numero assai più alto di quello che potrei mai ascoltare, anche se nella vita facessi solo questo, cioè ascoltare tutta la musica che mi arriva, così, senza una logica o un discernimento, e mi arriva nelle maniere più bizzarre e confusionarie. Non potendo ascoltare tutto, e neanche volendo ascoltare tutto, spesso i miei ascolti casuali mi portano a incontrare roba davvero orribile, inascoltabile, offensiva per il mio buongusto e per la percezione che evidentemente qualcuno ha di me, opto spesso per seguire due modalità differente. Se mi arriva la produzione di qualcuno che conosco già, o che mi viene presentata da qualcuno che conosco già e di cui ho fiducia, nel senso che non mi ha mai passato robaccia, ascolto, altrimenti lascio lì, probabilmente mi perderò dei capolavori, amen. Poi, random, ascolto qualcosa a caso, attirato dal testo che accompagna i brani, e no, non ascolto quasi mai chi fa il ruffiano, quello che mi definisce un genio o che dice che sarebbe un grandissimo onore essere ascoltato da me, tutto vero, ma non serve che stiate lì a ripetermelo di continuo, o magari da una immagine, da qualcosa che colpisca la mia attenzione. Random, appunto, non seguo sempre la stessa modalità. Di questi ascolti, quelli casuali, novanta volte su cento non trattengo traccia, è roba che probabilmente non mi sarebbe mai dovuta arrivare, di cui ovviamente non scriverò male, perché stroncare chi ancora deve fare i primi passi non ha senso, ma che comunque mi ha portato a perdere del tempo. A volte, raramente, c’è qualità, e da questi ascolti magari arrivo a conoscere artisti interessanti, che hanno una strada davanti. Degli ascolti non casuali, invece, spesso sono soddisfatto, col tempo ho selezionato il mio parco giochi, messo un preciso dress code, chiamiamolo così, lasciato che la fuffa non riuscisse a superare le barriere.

Bene, guardando Sophia Urista mi sono interrogato a lungo. Non su che effetto faccia farsi pisciare in faccia su un palco, durante un concerto, né su che effetto faccia pisciare in faccia a qualcuno durante un concerto, diciamo che il pisciare non è molto in alto nella mia graduatoria di interesse, anche fatto in questa maniera, quanto piuttosto su cosa mai dovrebbero fare buona parte degli artisti e soprattutto delle artiste, percentualmente, immagino per il mio background, ricevo molti più lavori di artiste, parlo dei lavori che mi arrivano per via diretta, o dalle artiste stesse o da gente che sa cosa rientra nel mio campo di interessi, mi sono interrogato su cosa mai dovrebbero fare buona parte di queste artiste e questi artisti per arrivare a farsi ascoltare da un pubblico che non sia una ultranicchia, o addirittura un pubblico di soli conoscenti e addetti ai lavori. Non era mia intenzione sconfinare nel campo del marketing, perché credo che la performance di Sophia Urista rientri a pieno titolo nel campo del marketing, mossa studiata a tavolino che, suppongo, sul breve periodo sarà anche proficua, ma sicuramente in assenza di un gesto del genere buona parte di quelle artiste e quegli artisti faticherà tantissimo a trovare un riflettore sotto il cui fascio di luce porsi, anche se io deciderò di scriverne (e sapete tutti l’estrema autostima di cui godo, sia chiaro). Ho ascoltato, per dire, il primo album di Anna e L’Appartamento, cantautrice veneta che ha da poco preso parte dalla diciassettesima edizione del Premio Bianca D’Aponte, artista che ho sostenuto anche pubblicamente, e che ha fatto il suo esordio mediatico a Attico Monina, nel 2020, invitata in maniera piuttosto istintiva dopo che mi aveva provocato su Instagram, sfidandomi in qualche modo a darle spazio. L’ho ascoltato e sono rimasto affascinato dalla bravura e dal talento di questa cantautrice, dotata di una voce potente, a tratti mi ha ricordato Florence Welch di Florence and the Machine, ma con una scrittura decisamente originale, per altro al servizio di un genere assolutamente contemporaneo, l’electropop, eseguito in maniera personale e senza nessun tipo di esitazione. Anna, il cui vero nome è Anastasia, trent’anni, segue ogni dettaglio del suo progetto, lavorando anche su una precisa estetica, ma è il repertorio che da solo dovrebbe bastare a porla sotto l’attenzione innanzitutto dei miei colleghi, molti dei quali non si accorgerebbero in effetti di un talento neanche se gli pisciasse in faccia, e a seguire di un pubblico mainstream, perché il suo è un pop, raffinato e d’autore, ma assolutamente pop, musica che dovremmo ascoltare in radio, vedere nelle playlist di Spotify, insomma, ci siamo capiti.

Spostiamoci di un paio di centinaia di chilometri, anche meno, e arriviamo a Milano. Qui incontriamo, metaforicamente, Mille, al secolo Elisa Pucci, artista che ha preso parte alla finale dell’ultimo Musicultura, unica donna in un parterre altrimenti maschile, e che ha tirato fuori già quattro singoli di notevolissima fattura, tutti tarati su un pop che guarda certo al passato, ma che come in un romanzo steampunk, ce lo ripropongono attualizzato, una macchina a vapore azionata da robot. Il tutto infiocchettato, è il caso di dirlo, in un look e una estetica assolutamente a fuoco, i capelli rossi, i vestiti vintage e originalissimi, i disegni con cui accompagna ogni singola uscita, sorta di tarocchi personalizzati, arricchiti dall’immagine tutta sua delle tette sulle spalle, vedere per credere. Mille è un nome che si sta mettendo in evidenza, è un fatto, ma che in un mondo non dico fatto come si deve, ma anche lì a dibattersi per essere un mondo fatto come si deve, dovrebbe essere a sua volta in vetta alle classifiche, ospite dei grandi show televisivi (che in un mondo come si deve dovrebbero ancora esserci, invece di quelle cagate che ci sono ora), vezzeggiata come una star, lei che la statura della star ce l’ha, eccome. La vita le cose, Animali, I pazzi, La radio, canzone appunto vincitrice dell’ultima edizione di Musicultura, sono tutti brani che hanno le caratteristiche per diventare hit, potenza che dovrebbe farsi atto, articolata presentazione di una artista dalla personalità forte, decisa, che nel mentre ha anche lavorato a un ulteriore slittamento del suo mondo sonoro verso questa versione steampunk dell’oggi, chiari rimandi al passato passato, penso agli anni Sessanta, la sua voce riconoscibilissima a accompagnarci in un vero e proprio viaggio nel tempo, fatto da fermi. Una personalità talmente definita che ho scoperto di averla già ascoltata, e di averne anche scritto, vatti poi a ricordare cosa, quando ha partecipato a X Factor coi Moseek, la sua band che ha preso parte al talent di Sky nel 2015, anno in cui con Lucia abbiamo inaugurato le pagelle padre e figlia. Scoprirlo, così, per caso, cercando i titoli delle canzoni in rete, con la memoria da pesce rosso che mi ritrovo, mi ha fatto quasi vergognare, perché anche i Moseek, comunque, avevano una loro riconoscibilissima personalità. Credo che questo vada iscritto, oltre che in una mia defaillance riconducibile immagino a una toccatina che avrò avuto senza neanche accorgermene, proprio a quella faccenda del “tutto rimane, oggi” contrapposto al “tutto scompare sotto strati di input, oggi”. A breve, comunque, sarà fuori un quinto singolo, sorta di anello di congiunzione tra queste due versioni di Mille, sempre che si possa davvero distinguere tra queste due alternative della medesima artista.

Mille, come Anna e L’Appartamento, è una nostra eccellenza, non dovrei stare qui a dirvelo, questo il senso del mio scrivere oggi, dovreste tutti saperlo alla perfezione. Un po’ meno pop, ma ci mancherebbe che per essere ascoltate tocchi essere necessariamente pop, le due artiste con cui chiudo questa breve carrellata, carrellata, lo ricordo più per infastidirvi che per una vera necessità, iniziata parlando di una cantante misconosciuta che ha pisciato in bocca a un fan, durante un concerto, a favore di smartphone.

La prima è Kim, al secolo Erica, divenuta proprio in virtù di questo nome d’arte così difficile da imbrigliare in rete, Kimerica, crasi del nick name e del nome anagrafico ma anche rimando alla figura mitologica della chimera, animale multiforme difficile da inquadrare, anche per questo massima aspirazione di chiunque. Kimerica si presenta con un nuovo lavoro, dal titolo destinato a vincere il premio come massima adesione allo zeitgeist, Coro per la fine del mondo. Una brano ipnotico nel quale la voce di Kimerica si intreccia con una voce maschile, un basso insistente a fare la base, una sorta di dub 4.0, il testo assolutamente coerente con l’apocalisse tirata in ballo, elettronica spinta, ma assolutamente alla porta di orecchie anche poco allenate, che poi sono poco allenate perché, in assenza di gesti estremi come quelli di Sophia Urista, il convento continua a passare sempre la stessa solita minestra fredda. Menziona d’onore, va detto, il linguaggio visivo cui Kimerica ha nel tempo abituato chi la segue, qualcosa di assolutamente disturbante, come del resto ambisce a essere disturbante anche la sua musica, ma di quel tipo di disturbante che spesso sconfina nel conturbante, credo che di più dall’arte sarebbe difficile pretendere. E visto che Coro per la fine del mondo ha nel basso, oltre che in tastiere che richiamano alla memoria un mix tra percussioni e gli spari di un videogame, il passaggio alla quarta e ultima artista di cui voglio parlarvi mi viene davvero facile facile, quasi elementare.

Veronica Vitale, infatti, questo il suo nome all’anagrafe, I-Vee il nome d’arte, ha appena tirato fuori un nuovo singolo, il secondo nel giro di poco tempo dopo Trasparent, uscito in settembre, anche nel suo caso condiviso con una voce maschile, stavolta assolutamente dichiarato, a differenza di quanto avviene col brano di Kimerica, Bootsy Collins, al suo fianco nel brano Nobody is Perfect. Ora, se non avete idea di chi sia Bootsy Collins, che dire?, credo che dovreste provare un disagio assai maggiore di quello provato nel vedere il video di cui sopra, e anche maggiore di quello provato dal tipo che si è fatto pisciare in faccia da Sophia Urista, perché Bootsy Collins è uno dei più grandi bassisti in area funk del mondo, già al fianco di James Brown, per capirsi, e soprattutto coinvolto in prima persona nelle avventure guidate da George Clinton che rispondono al nome di Parlamient e Funkadelic. Un artista mondiale, appunto, che si mette al fianco di una giovane artista italiana, a lungo di stanza negli USA, cantautrice, certo, ma artista a tutto tondo, per un brano che è una sorta di manifesto dell’inclusività, o meglio, dell’accettazione della propria imperfezione, quel Nobody che diventa No Body, una sorta di atmosfera spaziale e psichedelica a accompagnare le parole dei due artisti. Un brano assolutamente ambizioso, lei si vede come una sorta di alchimista prestata alla musica, ambizioso come l’arte dovrebbe sempre voler essere. Una ballad che sembra arrivare sul pianeta terra da un altro pianeta, come lascito per il genere umano da parte di una qualche entità benevola nei nostri confronti, una canzone matura da ascoltare con grande attenzione.

Quattro artiste, Anna e L’Appartamento, Mille, Kimerica e Veronica Vitale, con storie diversissime tra loro, provenienze diverse tra loro, proposte diverse tra loro, dal pop alla sperimentazione più estrema, uno sguardo femminile sul mondo e un piglio femminile sulla scrittura a fare da fil rouge. Quattro artiste che si stanno muovendo molto bene, nei rispettivi ambiti, esibendo il proprio talento, lavorando sul proprio immaginario tanto quanto sulla propria poetica, non lesinando attenzione anche sull’estetica. Quattro artiste, però, che difficilmente finiranno dentro gli smartphone dei più distratti, che oggi sono una percentuale altissima degli abitanti del pianeta terra, perché, che io sappia, non è loro intenzione calarsi i pantaloni durante un prossimo live, accovacciarsi su un fan e lasciarsi andare a bisogni primari, e anche lo facessero, va detto, sarebbero comunque seconde rispetto a Sophia Urista. Perché questo non solo non è un mondo come si deve, ma è un mondo evidentemente con decisi deficit di gusto, e anche qualche problema di udito. Anche voi, comunque, che avete cominciato a leggere questo articolo a partire dal titolo che mirava allo stupore se non allo scandalo, non è che siete tanto meglio del mondo in cui abitate, vi giustifico giusto perché siete arrivati fino a questo punto, e spero che nel mentre vi sarete appuntati questi quattro nomi, assolutamente imperdibili: Anna e L’Appartamento, Mille, Kimerica e Veronica Vitale. Andate e non fatelo più.