Strappare Lungo i Bordi è un tenero déjà vu de La Profezia dell’Armadillo, flusso di coscienza ironico e amaro

Strappare Lungo i Bordi è un tenero déjà vu de La Profezia dell'Armadillo, un flusso di coscienza ironico e amaro sulla precarietà di una generazione: la nostra recensione


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Strappare Lungo i Bordi ha portato il talento e la poetica di Zerocalcare ad un livello nuovo nella forma, ma non troppo nel contenuto. L’identità di Michele Rech, alias Zerocalcare, è sempre perfettamente riconoscibile e solo più organica, compiuta, dispiegata in una serie di tavole che dalla carta hanno spiccato il volo e raggiunto il video, in sei episodi da circa venti minuti che viaggiano veloci lasciandosi divorare nel tempo di in una serata.

Strappare Lungo i Bordi sembrerà una novità assoluta e sorprendente a chi non legge i fumetti di Zerocalcare – e non è necessario averli letti per entrare subito nel mood della serie e sentirsi solidale col personaggio principale – ma suonerà invece come un déjà vu per chi ha già visto il film La Profezia dell’Armadillo, tratto dall’omonima graphic novel. In quel caso era Simone Liberati (affiancato da Pietro Castellitto nei panni di Secco) a dare il volto ad un giovane fumettista della periferia romana, disoccupato e piuttosto disilluso, che affronta la propria quotidianità con la costante presenza di un armadillo come personale grillo parlante.

Strappare Lungo i Bordi riprende ed amplia esattamente la stessa trama, con gli stessi personaggi di Zero, Secco, Sarah, l’Armadillo (qui con la voce di Valerio Mastandrea) e gli altri, per rendere in forma di racconto animato a puntate il percorso emotivo del protagonista che ripensa alla sua vita a partire dal ricordo di una ex compagna di scuola e suo primo amore: nel film era la francese Camille, nella serie la biellese Alice, ma poco cambia. Ripercorrendo le tappe della loro relazione mai davvero sbocciata, Zero traccia degli affreschi della sua vita quotidiana tra promesse d’infanzia, turbe adolescenziali, amicizie, illusioni, fallimenti, difficoltà perenni ad adattarsi ad una realtà che corre e scivola superficialmente sulle cose per un ragazzo tignoso, ansioso e riflessivo che si appresta ad entrare nell’età adulta tenendo sempre un piede nella giovinezza.

Strappare Lungo i Bordi ricalca in modo quasi pedissequo la trama del viaggio di Zerocalcare ed i suoi due amici di sempre, Sarah e Secco, nel segno di Alice. Nel mentre scorrono una serie di flashback con cui il protagonista racconta in una sorta di flusso di coscienza diverse dimensioni della sua vita, da quella familiare a quella sociale (o a-sociale), passando dallo Zero bambino all’adulto che non ha idea di cosa farà nella vita. Alcune scene sono sostanzialmente le stesse del film o una loro rilettura: dalle ripetizioni ai figli della Roma bene nei quartieri Nord della Capitale all’ansia da curriculum nel proporsi in un mondo del lavoro sempre più inaccessibile, passando per l’ultimo episodio che nonostante l’ambientazione diversa rispetto al film si conclude sostanzialmente allo stesso modo. Così come, in altri frammenti, è possibile riconoscere temi già affrontati nei corti animati Rebibbia Quarantine, che furono trasmessi nella trasmissione Propaganda Live su La7 durante il primo lockdown.

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@Netflix

Sebbene Strappare Lungo i Bordi non appaia del tutto originale a chi conosce l’universo di Zerocalcare, la coerenza stilistica e narrativa era piuttosto prevedibile e perfino auspicabile per quella che è a tutti gli effetti un’opera prima nel campo della serialità, un salto fatto non senza difficoltà come ha raccontato lo stesso fumettista. Questa serie, che appare come la naturale conseguenza del citato film, ha il pregio di riuscire a parlare alla generazione di Zerocalcare ma anche alle precedenti e alle successive perché ha come fil rouge qualcosa che riguarda un po’ tutti, la precarietà dell’esistenza e la ricerca di un equilibrio a volte impossibile tra l’interiore e l’esteriore. Questo racconto di episodi di vita apparentemente insignificanti eppure specchio di paure e incertezze, evidenzia come non tutti siano capaci di seguire le istruzioni (ammesso che esistano e siano valide) per sentirsi a proprio agio nella vita e nella società, di Strappare Lungo i Bordi senza stracciare le pagine, di colorare le caselle giuste senza uscire dai quadratini, di restare sul tracciato che gli altri o noi stessi abbiamo deciso in un determinato momento di seguire e che di colpo potrebbe non sembrarci più quello giusto.

Certo il portato ironico di Strappare Lungo i Bordi è dominante e caratterizza il prodotto, ma la sensazione che più è in grado di suscitare la serie è forse la tenerezza: tenerezza per l’inadeguatezza, la mancanza di autostima, talvolta l’autosabotaggio che ognuno ha affrontato almeno una volta nella vita, o magari affronta ogni giorno. La tenerezza che emerge prepotente da ogni episodio (e trova la sua apoteosi nell’ultimo) e che permette di empatizzare con almeno alcune delle manie, delle fobie, delle piccole o grandi fissazioni che scandiscono il quotidiano del protagonista. La tenerezza che permette di condividere con lui quel senso di vuoto perenne che lo fa sembrare sempre sull’orlo di una depressione e che rende perfettamente comprensibili perfino quelli che comunemente sono considerati dei difetti, come la dichiarata misantropia e l’asocialità (perché non tutti siamo animali sociali e lo stigma per chi rifiuta le convenzioni della condivisione forzata è arcaico e non ha senso di esistere).

Strappare Lungo i Bordi sa rendere tutto questo una sorta di psicoterapia collettiva, ma senza minimamente ergersi a maître à penser o interprete della contemporaneità: è solo il suo particolare che sa farsi universale, che sa rappresentare “le nostre vite che si fondano su assunti traballanti” con ironia e amarezza, un’enorme amarezza, in una libera rappresentazione dei pensieri che nonostante il finale tragico non lascia afflitti, semmai consola nella sensazione di non essere soli.

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