Yaya E Lennie, l’inno alla libertà dell’animazione d’autore di Mad Entertainment

Dal 4 al 7 novembre in sala il cartoon della casa di produzione napoletana, diretto da Alessandro Rak. Una vicenda tra natura, ribellione e poesia, con due protagonisti ostinatamente indipendenti in un mondo post-apocalittico

Yaya E Lennie

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Era atteso Yaya e Lennie. The Walking Liberty, il film d’animazione nelle sale dal 4 al 7 novembre distribuito da Nexo Digital. Basterebbe questo sapore di evento relativo a un cartoon italiano per far capire cosa sia riuscita a fare in pochissimi anni Mad Entertainment, creativa casa di produzione napoletana che soprattutto nell’animazione ha impresso un segnale importante e inedito nel nostro cinema.

Prima con L’Arte Della Felicità (2013), esperimento di cartoon filosofico che ha fruttato al suo regista Alessandro Rak l’Efa, l’Oscar europeo per il miglior film d’animazione. Poi lo straordinario exploit di Gatta Cenerentola (2017), firmato dal quartetto Rak, Cappiello, Guarnieri, Sansone, bellissimo racconto distopico pieno di umori partenopei e sogni di palingenesi meridiane, 7 nomination e 2 David di Donatello, tra cui quello per i migliori produttori dell’anno a Luciano Stella e Maria Carolina Terzi.

Dopo altri quattro anni è la volta di Yaya E Lennie, firmato nuovamente dal solo Rak, sempre in stretta sinergia con Marino Guarnieri e Dario Sansone (anche frontman del gruppo dei Foja, e autore delle musiche), per un’opera che mantiene il sapore del collettivo di autori e disegnatori che l’ha realizzato, fedele alla sua peculiare idea di cinema d’animazione.

Che punta in primo luogo a una visione adulta e non edulcorata del cartoon, come già nell’animazione d’autore di Gatta Cenerentola, tramite personaggi che non sacrificano sull’altare dell’ispirazione fiabesca la corposità dei caratteri, la resa non eufemistica della violenza e della sgradevolezza della vita. La quale assume in Yaya E Lennie le fattezze di un mondo post-apocalittico, un’intricata giungla dalla quale affiorano qua e là resti di civiltà.

Dentro di esso si muovono i due protagonisti del titolo, una ragazzina caparbia e spaventata (con la voce di Fabiola Balestriere) e il suo inseparabile compagno, un omone dalla forza erculea e l’intelligenza d’un bambino (Ciro Priello dei Jackal) che cercano in ogni modo di salvaguardare la propria indipendenza solitaria, fedeli al messaggio di libertà consegnato loro dalla donna che li ha cresciuti, che ormai è solo una voce (Lina Sastri) che accompagna il loro inesausto itinerario.

L’aspetto più intrigante di Yaya E Lennie è proprio nella fattura visiva, con i personaggi scomposti tra la luce e le ombre fitte di una foresta che esplode di vita lussureggiante, con bizzarri animali imitatori capaci di riprodurre il suono di motori d’automobili e pallottole e un senso panico della natura che nell’alternanza di totali e dettagli abbaglianti sembra talvolta debitore dello sguardo di Malick. Incistato dentro, anzi sotto questo mondo, torna come matrice inaggirabile Napoli, attraverso piccoli tocchi, case diroccate che potrebbero essere pezzetti di un presepe, oggetti sopravvissuti al naufragio, immagini d’un vecchio matrimonio col Castel dell’Ovo sullo sfondo.

La realtà però è irrimediabilmente mutata, costretta dentro la rinnovata voglia di regime dell’Istituzione, l’organizzazione militarizzata che vuole riportare la civiltà costi quel che costi, rintuzzata dalle velleitarie spinte antiautoritarie dei rivoluzionari guidati dal buffonesco Rospoléon (Francesco Pannofino con parlata sudameritaliana).

Yaya E Lennie accumula con generosità scomposta simboli e suggestioni, tra umanesimo chapliniano e distopie cyborg, ribelli che hanno sostituito Che Guevara con Maradona (con tanto di D10S tatuato sul braccio), lo Steinbeck di Uomini E Topi e le canzoni napoletane di Sergio Bruni e Gabriele D’Annunzio. Nel richiamo alla Walking Liberty, l’effigie femminile sulla moneta da mezzo dollaro che è il portafortuna dei protagonisti, il film sottolinea la sua fedeltà a un’idea di libertà radicale, come sottrazione alle regole e totale indipendenza. Yaya e Lennie sanno ciò che non sono e non vogliono, ma nel rifiuto delle certezze dell’Istituzione faticano a trovare un motivo ispiratore che vada al di là della mera sopravvivenza.

Il film di Rak rischia di incagliarsi nel vuoto di questa mancanza di obiettivi e nella genericità dell’assunto “poetico” (i messaggi troppo lirici affidati alla Sastri). Ma il film conquista attraverso la sostanziosità dell’immaginario, l’orchestrazione di movimenti di macchina e sonorità, la babele dei personaggi, la natura pervasiva e il segno tellurico d’una città – d’una civiltà – che cova sotto la cenere e non muore mai.