Gaia e Mengoni mi hanno stupito, forse una luce in fondo al tunnel c’è

Aver ascoltato questi due lavori, Cambia un Uomo di Marco Mengoni e Alma, album di Gaia, è stato per me terapeutico


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Sono momenti difficili. Momenti difficili che però, proviamo a indossare metaforicamente quegli occhialoni da mosca con le lenti rosa che sono uso esibire nelle mie foto ufficiali, potrebbero lasciar presagire qualcosa di buono, magari non qui e adesso, ma in procinto di arrivare. Ho ascoltato un singolo e un album appena usciti e mi sono parecchio piaciuti. Succede, che io ascolti singoli e album che mi piacciono. In alcuni casi mi piacciono anche questo. Certo, negli anni capita sempre meno spesso, ma capita. Il fatto è però che il singolo e l’album in questione, se sto portando per le lunghi il momento del disvelamento è solo per uno stupido vezzo, talmente stupido da essere del tutto inutile, il titolo ha già ampiamente spoilerato di chi sto parlando, non dovrebbero rientrare nel novero dei singoli e degli album che mi piacciono.

A dirla tutta non dovrebbero neanche rientrare nel novero degli album che ascolto, non per preconcetti, se ne avessi non starei qui a scrivere e a scrivere le cose che ho scritto e che sto per scrivere, quanto piuttosto perché col tempo ho deciso che mi sarei occupato solo di quella musica che immagino possa interessarmi, evitando di incancrenirmi a stroncare chi realmente fatico a capire. Parlo nello specifico di Mengoni, che in passato ho criticato anche duramente, e che ho poi smesso di ascoltare, perché giustamente lui fa il suo e altrettanto giustamente io faccio il mio, o ho ascoltato per dovere di cronaca, convincendomi che avrei fatto meglio a non ascoltarlo, e comunque senza poi scriverne, e di Gaia, Gaia Gozzi, giovane artista italo-brasiliana che ho seguito ai tempi di X Factor, certo, ho anche assistito a un suo opening per Giorgia, al Forum di Assago, onestamente abbastanza evanescente, e che so poi ha partecipato a Amici di Maria De Filippi, vincendolo, tornando in auge e andando anche all’ultimo Festival di Sanremo, con Cuore amaro, ma di cui mi sono abbastanza disinteressato proprio perché ha inanellato una serie di passaggi che ritengo a me distanti. Certo, nel suo caso, parlo sempre di Gaia, Gaia Gozzi, ricordo una bella voce e una bella presenza, ricordo di aver ascoltato in realtà credo tutti i suoi singoli, almeno dal suo ritorno in scena, a Amici, perché vivo in questo mondo e in questo mondo i suoi singoli vengono sempre passati dalle radio, radio che anche non volendo mi capita di ascoltare, magari non a casa e non per mia scelta, ma le ascolto, eccome, ma sono ascolti distratti, fino a che non mi ci sono messo non avrei mai detto che mi sarei trovato di fronte un lavoro così maturo e importante, oltre che originale e anche oggettivamente bello, stesso discorso che, di lì a poco avrei provato anche ascoltando Cambia un uomo, nuovo singolo di Marco Mengoni, appunto.

Parto da quest’ultimo, perché, appunto, di lui ho già scritto in passato e perché il mio è stato uno scrivere anche duro, seppur sempre velato di una certa ironia. Trovo che Marco Mengoni abbia una voce molto bella. Non dico nulla di nuovo, la avete sicuramente sentito, è uno, anche lui, che le radio passano e ha anche venduto un gran numero di dischi, che poi oggi immagino si traduca ha fatto un sacco di stream, perché di dischi in senso stretto, vinili o cd, se ne vendono pochini. Trovo che abbia una voce molto bella messa, per buona parte del tempo, al servizio di un repertorio non all’altezza di tanta voce. Succede, il mercato italiano e non solo quello italiano, ma soprattutto quello italiano, è pieno di artisti che si perdono dietro un produttore sbagliato, un management sbagliato, o anche solo dietro l’incapacità di saper scegliere bene le canzoni da cantare. Quando poi chi ha una grande voce ma non ancora un pari talento compositivo si ostina a voler comporre e scrivere in prima persona, e Mengoni questo da tempo prova a fare, beh, le possibilità che un disallineamento tra voce e canzone prenda corpo è altissima, nel suo caso qualcosa di vicino al cento per cento. Ciò non toglie che la voce c’è e rimane, ci mancherebbe, e che se a un sacco di gente quello che quella voce canta piace, beh, magari potrebbe semplicemente voler dire che ai miei occhi e orecchi di critico musicale l’artista in questione non sarà mai completamente a fuoco, un talento sprecato baciato però da successo, chi si accontenta gode, diceva il saggio. So che al suo esercito potrà sembrare incredibile, ma a me lui, per quel che ho visto e sentito, mai l’ho intervistato e ci ho scambiato letteralmente due battute in vita mia, a breve ve le racconto, a me lui sta molto simpatico, il mio reiterare nei miei scritti passati a lui dedicati il fatto che fosse e sia “il cantante di Ronciglione” è ovviamente un modo carino di sfotterlo, lui con una voce così delicata e elegante associato al suo paese natale, magari e sicuramente luogo pregevolissimo ma incapace di trasmettere, parlo di suono, non ci sono mai stato, la stessa delicatezza e eleganza, Ronciglione, e so già che ora avrò anche gli abitanti di Ronciglione qui a rompermi i coglioni, amen, una boutade, “il cantante di Ronciglione”, come quando sfottiamo qualcuno a cui vogliamo bene evidenziando un suo aspetto buffo, un lieve difetto fisico, un qualche vezzo inspiegabile. Dicevo della sola volta che ci ho scambiato due battute, giusto due. È successo a Roma, dentro Stazione Termini. Stavamo entrambi passando i tornelli per andare verso i binari, e lui era occultato parzialmente alla vista, immagino per non essere assalito dai fan o dai passanti. Da poco era capitato che avessi scritto di lui, a occhio era il 2017, forse anche prima. Passando per RTL 102.5, quindi forse era prima, visto che dal 2017 anche io sono entrato a far parte di quel circo, uno degli speaker, che ricordo perfettamente ma a cui non voglio regalare neanche un attimo di imbarazzo, gli fece notare che lo avevo brutalmente stroncato, leggendogli parte della mia recensione negativa. Il motivo di questo suo leggere la mia stroncatura, fatto cui era seguita una battuta infelice nei miei confronti da parte dello stesso speaker, cui Mengoni aveva invece risposto con sorpresa, perché era obiettivamente divertito dal mio scritto, in effetti venato da una certa esplicita ironia, non era ovviamente per dare del pazzo a me, questo disse, quanto piuttosto per mettere in difficoltà lo stesso Mengoni. Proprio in quei giorni, infatti, il suo album aveva impedito ai Modà, ancora discograficamente legati al network di Suraci, di finire al primo posto, fatto che evidentemente aveva sortito non pochi malumori. Così ero stato usato come sfollagente per colpire Mengoni, conosco quelle dinamiche, anche se all’epoca erano più intuite che certe. Tornando però a Stazione Termini, c’è Mengoni con il suo team, a memoria tre o quattro persone, e dietro di loro ci sono io, da solo. Credo stessi tornando da un incontro a Officina Pasolini, ma posso sbagliarmi, è irrilevante. Vedo il gruppetto che si avvicina al tipo di Trenitalia che controlla i biglietti per lasciare entrare ai binari, e mentre tiro fuori il mio biglietto lo riconosco. Proprio perché mi aveva incuriosito la sua difesa nei miei confronti a RTL 102.5 lo chiamo, e mi presento. Gli dico qualcosa come “Sono Michele Monina, non avere paura, vengo in pace”, che ai miei occhi è una citazione di quando il Signor Burns, nei Simpsons, dopo essere stato sottoposto a non so quante radiazioni nucleari, fosforescente e con gli occhi senza iride, vagava per i boschi dichiarando il suo voler spandere amore, e #spandoamore è uno dei tre hashtag che uso da sempre, in ogni mio post, insieme a #attitudine e a #iltassodelmiele, il primo riferito a un mio studio sul corpo delle donne in musica, il secondo chiaro richiamo all’animale, considerato il più cattivo del mondo, da me scelto come simbolo, e a cui era dedicato il mio sito personale, ora offline, Signor Burns che diceva anche qualcosa del genere “vengo in pace”, ma potrei anche sbagliarmi. Lui è rimasto sorpreso, non tanto dal mio venire in pace quanto piuttosto dall’incontrarmi casualmente in giro per Roma, rettifico, era il 2016 e ero stato in sede al Fatto Quotidiano, nel 2017 incontrerò sempre a Roma Ron, da poco conosciuto in quel di Sanremo, il mondo è davvero un piccolo posto con una grande anima, per citarlo. Comunque, Mengoni si sorprende, mi stringe la mano e mi dice qualcosa riguardo il mio venire in pace, più imbarazzato che divertito. Gentile, comunque, come del resto lo ero stato io. Per farlo, per salutarmi e scambiare due battute con me, si toglie la sciarpa con cui si copriva il volto, togliendo anche gli occhiali da sole, fatto che apprezzo ma che risulterà fatale. Se infatti tra noi quel che c’era da dirsi era stato detto, per cui, salutatolo mi sono recato verso il tipo di Trenitalia per andare a prendere il treno, per i passanti e i fan che si trovavano da quelle parti la faccenda era tutt’altra, Mengoni è stato letteralmente assalito dalla gente, che ha iniziato a gridare il suo nome, provando a estorcere selfie o baci, era un mondo prima del Covid19, quando baciare uno sconosciuto non era poi così inconsueto, almeno per le popstar.

Questo è però il passato, da quel momento a oggi sono passati anni, cinque e passa, sono usciti album di cui ho scritto e altri di cui non ho scritto, per i motivi di cui sopra. Poi arriva questo Cambia un uomo, seconda canzone del 2021 dopo Ma stasera, brano che RTL 102.5 ha per altro incoronato canzone dell’estate al Power Hits di Verona, a riprova che nel mentre è davvero cambiato il mondo, brano confesso che mi ha lasciato assai perplesso, primo perché prima di sentirlo casualmente durante la finale del Festivalbar di casa RTL 102,5 non lo avevo mai ascoltato in radio, e io d’estate ho sempre ascoltato proprio quel network, come abbia fatto a vincere me lo sarei anche chiesto, se mai avessi deciso di spendere energie e pensieri a riguardo, perplessità comunque minore rispetto a quella provata dall’ascolto, ascolto di una canzone che mi è parsa del tutto irrilevante, oltre che di una bruttezza quasi sfacciata. Per questo, confesso, anche per questo, quando sui social ho visto un contatto di cui ho grande stima condividere il video del nuovo brano, accompagnato da parole adoranti, non ho saputo resistere dall’andare a ascoltarlo. E ho fatto bene, perché questo strano gospel moderno, un soul che potrebbe ricordare, nelle intenzioni e anche un po’ nel giro, Se bastasse una canzone di Eros Ramazzotti, dell’Eros Ramazzotti quando ancora saggiamente si faceva seguire da Piero Cassano, non quello mesto degli ultimi anni, soul in odor di gospel, diciamo così, che lo stesso Mengoni ha scritto a quattro mani con Daniele Magro, uno che ogni tanto azzecca la zampata vincente, mi sembra davvero una canzone matura, perfetta per mettere in rilievo le sfumature della sua voce, e al tempo stesso per permettergli di empatizzare con l’ascoltatore senza risultare stucchevole. Una bella canzone, prodotta magnificamente con suoni retrò ma assolutamente contemporanei, a volte, raramente, succede, da Mace e Venerus, l’hammond in primio piano è sempre un bel sentire, e a questo punto mi auguro che ai due affidi tutto il prossimo album.

Un gioiello che ben mi fa sperare, ma questo della buona speranza è il tema del pezzo, non posso giocarmelo tutto qui, prima di aver detto di Alma, album di Gaia, Gaia Gozzi, da qui in poi Gaia e basta. Non ci giro intorno, non serve, girare intorno è il mio sport preferito, sono quello di Tangenziali, non credo servano prove a mio carico, ma Alma di Gaia è un gran bel lavoro. Un gran bel lavoro che ho incontrato per caso, come per Cambia un uomo, stavolta leggendo una sua intervista in cui rivendicava, a questo punto posso dire a ragione, sia il fatto di essere chiamata cantautrice, anche se nei fatti scrive sempre in compagnia di altri autori è chiaro che abbia una sua poetica molto precisa, e di poter e forse anche dover cantare del corpo e del sesso, specie in questi tempi malandati. Alma, quindi. Cantato in parte in portoghese, in quelli che la stessa Gaia ha indicato come i brani più intensi, quelli che affrontano i temi più impegnativi, in parte in italiano, Alma è una carrellata di brani contemporanei, nei quali i suoni elettronici e urban si sposano a una scrittura decisamente intrisa di tropicalismo, il tutto al servizio di una voce molto educata e sensuale, decisamente piacevole. Quello che da queste canzoni traspare, e lo dico proprio forte dei presupposti si esposti, il mio non conoscerla e il mio averla in qualche modo volutamente schivata fin qui, è che Gaia sia, al pari di una Margherita Vicario, non a caso presente insieme a Francesca Michielin nella bella Ginga, un’ottima cantautrice, forse un po’ meno della Vicario, a mio avviso la migliore in circolazione in Italia, oggi. Una artista che sa rimanere fresca e attuale pure dimostrando di essere decisamente adulta, la malinconia che la lingua portoghese porta scritta nel suo DNA, la corporeità di un flow sensuale e a sua volta adulto, questo nulla ha a che vedere con l’anagrafe, si parla di attitudine, la sapiente dosatura degli ingredienti, ritmo, dinamica, melodia, armonia, tutto sembra si trovi in Alma al posto giusto, al punto da riuscire a colpire anche chi, come me, se pensa al Brasile non può che pensare in prima istanza a Marisa Monte, una sorta di Everest impossibile da scalare per chiunque voglia anche solo provare a confrontarcisi, e se pensa al nuovo pop italiano ha di default una sorta di orticaria che lo prende fino allo scroto, dove in effetti tutta la musica pop contemporanea, salvo rare eccezioni come questa, sembra si stia andando a appoggiare. Ovviamente nel mazzo ci sono canzoni che mi hanno colpito più delle altre, per ragioni che non starò qui a spiegare, perché questa non è una recensione, ma più un mio modo di guardare al futuro con meno pessimismo del solito. Penso alla già citati Ginga, con Margherita Vicario e Francesca Michielin, credo la prima canzone nella quale trovi spazio la cantante di Bassano del Grappa a non avermi indotto a pensare al mio futuro prossimo come a un supplizio, penso a Marina, brano sempre in brasiliano che, parole di Gaia stessa, è un inno al femminismo e in quanto inno al femminismo, una questione che dovrebbe riguardare non solo le donne ma anche gli uomini, sempre parole sue che sottoscrivo, come è evidente a chiunque mi segua, vede un contributo assai dosato di Gemitaez, penso a Boca, con Sean Paul, uno strano caso di reggaeton che, forse proprio per la corporeità sfacciata e al tempo stesso elegante di Gaia, mi sia piaciuto, penso a Salina, penso a Io e te, coi Selton, penso a Louca, a Fita do Bonfim o al singolo nuovo Nuvole di zanzare, penso, a dirla tutta, un po’ a tutto il lavoro, tutto di grande livello, con un piglio internazionale che per altro potrebbe far ben pensare per la sua carriera, in tal senso Paranauè, con Tedua è un perfetto esempio di contaminazione tra linguaggi, ditelo a Manuelito Hell Raton che da settimane ne straparla a X Factor. Una epifania, parlo per me, l’idea inseguita da tempo di un cantautorato che potrebbe non essere discriminato, magari anche per i motivi sbagliati, chi se ne frega.

Si diceva prima delle speranze per il futuro. Bene, aver ascoltato, per motivi che sfuggono alle solite logiche di chi fa il mio mestiere, quelle cioè che passano prevalentemente da un ufficio stampa o da una casa discografica che ti invitano a ascoltare un lavoro, magari anche a incontrare l’artista che ne è titolare, da tempo sto fuori da quei giri, senza rimpianti, l’aver ascoltato questi due lavori, un singolo, Cambia un uomo di Marco Mengoni e Alma, album di Gaia, è stato per me terapeutico. Non che non ci siano lavori che anche in questi mesi mi hanno risollevato dal torpore dell’animo e anche dall’apatia, intendiamoci, aver scoperto artiste quali Miglio, Mille, Ritual, Gaia Gentile, Vanina Vincent, solo per citare alcune delle partecipanti all’ultimo Festivalino di Anatomia Femminile, ben lo dimostra, come lo dimostra fortunatamente il successo incontrato da artisti di razza come la già citata Margherita Vicario e La Rappresentante di Lista. Certo, per contro c’è la meraviglia, amara, di come una artista innovativa e geniale come Yoniro, è lei a campeggiare in tutta la sua nudità nella copertina del mio ultimo libro proprio al femminile, in musica e corpi, dideicato, Cantami Godiva, ancora non sia la più celebrata da tutti quelli che nella musica cercano non solo intrattenimento ma anche arte, oltre che una carica di innovazione e provocazione intellettuale, spero accada col prossimo singolo, in uscito a breve. Resta che trovare nuovi stimoli nel mainstream, e per di più nel mainstream che arriva dai talent, X Factor e Amici, mi ha fatto, almeno per qualche istante, ben sperare per il futuro, come quando si guarda alle nuove generazioni, quelle che scendono in piazza per dimostrare il proprio disagio verso l’affossamento del DDL Zan al Senato, tanto saranno loro a vivere quel futuro che a stento qualche coglione sta provando a arginare. Forse non tutto è finito, mi dico, pensando anche a questi ultimi due anni passati nell’immobilità non solo fisica. Forse.