La ripresa è narrazione: siamo più poveri e andiamo in fila alla Caritas

Nell'ultimo anno abbiamo perso poco meno di 900 mila occupati, milioni di drammi polverizzati, che non fanno notizia e che conviene ignorare, questa è l'Italia!


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Gli ottimisti a oltranza, che corrispondono coi filogovernativi, leggono le veline di regime e sono contenti, sicuri che il Paese galoppa come neanche negli anni ’60. Il nostro Mattarella addirittura esagera, parla di una ripresa economica che non ha pari nel resto del mondo, + 6% di Pil quest’anno. Omettendo di ricordare che l’Italia proviene da un disastroso -12%, per cui siamo lontani anche solo da un pareggio. Ma non bisogna dirlo, se no si passa per disfattisti. Non bisogna neppure chiedersi per quale prodigio il Paese in recessione, e conclamata recessione, assai prima della pandemia, si sarebbe messo a correre come un sultanato. Poi arriva un rapporto Caritas e le illusioni si perdono.
“Quasi due milioni le persone che nei dodici mesi scorsi si sono rivolte ai 6.780 servizi della Caritas Italiana, dislocati nelle 193 diocesi: il 44 per cento prima del Covid non aveva mai bussato e chiesto aiuto, non aveva problemi a pagare le bollette, metteva in tavola tre pasti al giorno. I nuovi poveri sono soprattutto italiani (46,6%), in quattro casi su dieci disoccupati ma c’è anche una quota consistente di lavoratori (25,8%) e di pensionati (18,5%). La maggior parte vive in affitto (41%) e solo uno su dieci ha una casa di proprietà. L’81% si è rivolto alla Caritas perché con la pandemia si è riscoperto in “fragilità economica”. Il 51% dei nuovi poveri è donna. Tra loro il 75% ha almeno un figlio e oltre un terzo è disoccupata. Proprio la genitorialità, che riguarda 91 mila persone delle oltre 211 mila del campione, è uno dei fattori che contribuisce all’impoverimento se non si ha una rete familiare di sostegno. Tra i giovani dai 18 ai 34 anni, il valore medio dei nuovi poveri raggiunge il 57,7%. Sono soprattutto i ragazzi e ragazze in cerca della prima occupazione (48,3%) a bussare- non senza difficoltà – alla Caritas. Tra loro c’è chi aveva un lavoro (23,3%) ma era precario ed è andato in fumo proprio a causa della pandemia. Nei primi otto mesi del 2021 ci sono stati segnali incoraggianti di ripresa, ma c’è ancora un 37 per cento di nuovi poveri. Oltre ai “nuovi poveri”, sale anche la quota dei “cronici”, cioè coloro che da tempo usufruiscono dei servizi Caritas e che non riescono ancora ad essere autonomi e a lasciarsi la crisi alle spalle”.


Anche perché, si potrebbe aggiungere, la crisi non è affatto alle spalle, se mai sulle spalle e continuerà a starci. Caritas è solo una fra le organizzazioni assistenziali, ma anche le altre, più o meno laiche, non offrono dati diversi, non presentano prospettive confortanti. Poveri nuovi, vecchi, cronici. Una famiglia su 4, secondo l’Istat, versa in serie difficoltà e anche chi il lavoro è riuscito bene o male a conservarlo, ha visto fortemente ridimensionate le sue possibilità. Quello che l’Istat non può dire è che gli ammortizzatori sociali hanno funzionato poco e male; che i favoleggiati soldi del Recovery europeo, soldi italiani, resi a debito e al prezzo politico di una totale rinuncia alla democrazia istituzionale, arrivano col contagocce e condizionati a una serie di vincoli che investono la forma di governo, le forze destinate a farne parte, le riforme da adottare. La transizione verde richiederà somme che nessuno è in grado di quantificare ma certo molto più ingenti dei trenta o quaranta miliardi destinati a sostenerla. E penalizzerà i poveri nuovi, vecchi, cronici, che messi insieme fanno sei milioni di quasi indigenti, uno su dieci. Se uno va in giro, in qualsiasi metropoli o villaggio, se ne accorge subito: negozi, locali, attività più chiuse che no, nel 2020 oltre trecentomila sono fallite o saltate, i centri storici languono, un luogo di incontro e di commercio come la galleria Alberto Sordi di Roma presenta una via crucis di saracinesche abbassate. Nel periodo febbraio 2020 – marzo 2021 sono evaporate 345mila partite Iva e molte fra quelle ancora attive lo sono solo di facciata, restano congelate; altre presentano fatturati irrisori. Interi comparti sono ridimensionati se non distrutti, e le complicazioni legate al greenpass stanno dando il colpo di grazia. I ristori, promessi, attesi, si sono rivelati del tutto inadeguati, sporadici, una mancia di poche centinaia di euro che è stato come dire: arrangiatevi. Situazione che i due governi a cavallo dell’emergenza si sono allegramente palleggiati. Dietro i numeri, le tragedie di chi si ammala, esce di senno, si uccide perché una vita inattiva è una vita da piante, una vita che non si può vivere. Milioni di drammi polverizzati, che non fanno notizia, che conviene ignorare.
A fronte di tutto questo, il governo nella legge di bilancio in discussione riserva 7 miliardi al contenimento fiscale. Una cifra irrilevante, ridicola. Il +6% tanto sbandierato va letto, se si vuole essere onesti, come un -12% nel medio periodo, una mezza riduzione di una situazione tragica. Altro che migliore economia del pianeta. Se si pensa che la Cina, nostra signora e padrona, è preoccupata perché la sua crescita segna quest’anno “solo” un +4,3% e gli Stati Uniti provenivano da 4 anni di performance positive in tutti gli indicatori prima della pandemia, che comunque hanno saputo tamponare. Una nota della Cgia risalente alla fine di aprile diceva già tutto: “Tra febbraio 2020 e il marzo di quest’anno abbiamo perso poco meno di 900 mila occupati. Un dato drammatico se consideriamo che con i 248 miliardi di euro di investimenti previsti con il Next Generation Eu al termine della spesa, ovvero nel 2026, in Italia sono previsti “solo” 750 mila nuovi posti di lavoro”. Un conto sono le sigle, i next generation, le resilience, i plan, un altro la vita vera che non continua più come prima, che arranca o si arrende anche se non bisogna dirlo, anche se il Presidente è felice perché guida il Paese più ricco e più bello del mondo.