Il GreenPass è politico e Draghi lo terrà a oltranza

Il Paese ne uscirà male, lui ne sta uscendo malissimo ed è sempre più evidente la sua inadeguatezza e la sua stupidità politica


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Il tempo, si dice, è galantuomo. Non è vero, il tempo è un po’ figlio di puttana, ristabilisce la verità fuori tempo massimo. Però bisogna dargli atto che, sia pure in ritardo, sa farla emergere la verità e la verità a proposito del greenpass è che si trattava – si tratta – di una misura politica, vale a dire di potere. Dice Draghi, signore e padrone d’Italia che lo terrà “fino a che serve”, per dire senza un limite e finché serve lo decide lui. Non basta la copertura all’80%, non basterà al 90, la pretenderanno al 100% che è un nonsenso, e poi diranno che bisogna ricominciare da capo, portarla al 200%. A milioni protestano, si disperano perché non possono lavorare, non possono campare? Si va avanti e se scoppiano tumulti tanto meglio, è il vecchio gioco del regime quello di cercare il morto così si possono inasprire le misure coercitive. Le file davanti alle farmacie sono chilometriche, il tampone a 15 euro è un ricatto dei più indecenti, ma dal governo dicono: meglio, così incameriamo e insieme rendiamo la vita infernale a chi non si adegua. Del resto, le proteste roboanti come quella dei portuali di Trieste si squagliano in 24 ore, oggi Draghi ha mandato la polizia con gli idranti ma come gesto di parata, dimostrazione di forza violenta come lo invitava a fare Prodi, suo concorrente al Quirinale: il presidio era di cartone, quasi tutti i duri e puri si erano defilati, dispersi, divisioni e improvvisazione hanno prevalso, il portavoce Puzzer un uomo distrutto, rimosso ma si consolerà con la solita scalata, dalla vita dura dello scaricatore ai reality e alle interviste.
Usare la forza legittima, consiglia Prodi, ma Max Weber c’entra poco: lui con le sue trovate eversive dice quello che piace alla dittatura cinese nella convinzione che Pechino saprà comprare l’informazione mainstream per accompagnarlo fino al Colle. C’è un esperimento sociale in Italia, cinesizzarla, renderla provincia dell’impero del Sol Levante e le cinghie di trasmissione si conoscono, sono i Prodi, i D’Alema, con Mattarella che benedice la “via della Seta”. Draghi, di per sé, si è messo in un vicolo cieco: se insiste, come sta facendo, nell’ostinazione anche dura e violenta, fomenta l’esasperazione diffusa da nord a sud e per arginarla ci vorrà la repressione; se cede sul lasciapassare, dimostra che era inutile e fa incazzare quei milioni che l’hanno adottato più o meno fanaticamente. Il Paese ne uscirà male, lui ne sta uscendo malissimo ed è sempre più evidente la sua inadeguatezza, la sua stupidità politica. Il governo di una nazione non è la BCE e la politica è anche l’arte di trattare, di capire, di adeguare le decisioni alle contingenze, ciò che nella testa del superburocrate non esiste perché è una testa che funziona a slide. Ma vediamo le reazioni nel resto del mondo, attingendo a un florilegio di interventi da commentatori europei, inviati in Italia, oppure, all’inverso, di italiani di stanza altrove. La stampa internazionale è costernata davanti alla tetra durezza italiana, i media in Europa e negli Stati Uniti cominciano a parlare di democrazia a rischio, democrazia limitata. Gli altri Paesi si smarcano: la Spagna trova “impossibile fare accettare qui da noi le restrizioni italiane” e annuncia il prossimo addio anche delle mascherine; la Francia, che pure sul lasciapassare oscilla, considera gli italiani “troppo deboli e sottomessi al potere”; la Danimarca ha già ripristinato la vita di prima e di greenpass non vuole più sentir parlare; Londra boccia l’intransigenza fine a se stessa considerando che “chi lavora non deve avere controlli”; non parliamo poi degli Stati dell’Est, del blocco di Visegrad. L’America vede situazioni diverse nei suoi 50 Stati, ma nessuno presenta l’anomalia italiana. Prevale ovunque la tutela della libertà, dei diritti fondamentali tra i quali quello al lavoro. In Italia, le organizzazioni sindacali chiedono lo scioglimento e il divieto delle manifestazioni in cui si chiede di poter lavorare e supportano di fatto il regime.
Una questione politica. Il governo tende a blindare se stesso e non potrebbe essere diversamente; né sussistono voci contrarie visto che del governo fanno parte tutte le forze politiche, eccetto una che comunque sta a lato. Di opposizione vera neanche l’ombra e ci sono formazioni, o rottami di formazioni, sedicenti liberali che auspicano senza mezzi termini il pugno di ferro, le misure punitive, il ricatto. I media sono al 90% servili, i loro Arlecchini e lacché ogni giorno augurano la morte ai dissidenti, li definiscono cani, vermi, dementi da rinchiudere, schima verde e c’è stato chi ha scritto senza timor del ridicolo che gode nel maneggiare il codice del greenpass, nel farlo vedere appena può. Esibizionisti del lasciapassare. Ai dibattiti televisivi sono uno contro cinque e quell’uno non lo lasciano parlare, lo azzannano, col conduttore schieratissimo dalla parte degli altri. Mentre già si ventilano nuove proibizioni, già si comincia ad agitare lo spettro di prossime chiusure o limitazioni. I soldi dall’Europa, che sono soldi nostri, concessi a debito, arrivano col contagocce, sottoposti a controlli e verifiche umilianti, condizionati all’adozione di forme di governo compatibili coi diktat della nomenklatura di Bruxelles. La transizione green è già costata l’astronomica cifra di 135 miliardi letteralmente bruciati: lo ammette la stessa Unione Europea la cui Corte dei Conti spiega: “Investimenti del tutto privi di effetti”. La risposta della UE è da manuale: insistere, entro il 2030 i miliardi da bruciare saranno 1000. Siamo oltre l’ideologia, siamo alla pazzia ma una pazzia con metodo: il giro di affari è vorticoso, spartito fra regimi e i soliti Soros e Gates, assemblare l’auto elettrica risulta vantaggioso perché richiede la metà delle maestranze, tutto guadagno e quanto alle scorie non se ne preoccupa nessuno, la grancassa è stordente come una carica di bisonti. Avremo il doppio dei disoccupati e tassazione punitiva per chi non sa o non può reggere alla transizione, ma il comandamento è “tutto quello che si può fare, che si faccia”.
È la fase definitiva del post liberismo finanziario e truffaldino su scala globale? Di certo è la fine di un modo di produrre, del capitalismo classico che reinvestiva e sapeva fare i conti, che realizzava beni e servizi, che creava ciò di cui bene o male c’era bisogno. Le ideologie collettiviste e dirigiste clamorosamente sconfessate dalla storia ritornano ammantate di nuove formule ma la sostanza è che saranno sempre più gli organismi nazionali, per conto di quelli sovranazionali, a decidere tutto. C’è chi dice senza problemi che resistere alla Cina è assurdo e che la sicurezza programmatrice è meglio della democrazia, che la libertà in fondo è una dimensione arcaica, da abbandonare, da superare. È stato calcolato che il greenpass a oltranza costerà un paio di miliardi di Pil all’Italia, ma c’è da concludere la piccola transizione, quella dei 5 Stelle nel PD, con cui programmare i prossimi anni di governo sottomesso alla UE. Insomma occorre tenere tutto bloccato e se i cittadini, a milioni, si lamentano, meglio, basterà farli trattare da sovversivi e bastonarli, mediaticamente e non. Il 25% degli italiani è già sotto soglia di povertà, tutti i comparti sono stremati o distrutti, l’anno scorso hanno chiuso oltre 300.000 attività e quest’anno si sono visti i primi effetti, i fondi green si disperdono tra sprechi e ruberie, settori antichi quanto l’uomo come la vendemmia sono a rischio. Però rifinanziano il reddito di cittadinanza, che è come dire: vi diamo una elemosina perché tanto non lavorerete mai più, con o senza greenpass. E concedono il bonus per le nuove televisioni, visto che se non lavori stai sul divano ammuffito e guardi gli altri giocare, scopare, esibirsi nelle modalità più oscene.