Con Hospes,- ĭtis in attesa di entrare nella “camera del desiderio irrealizzato”

Al Teatro San Ferdinando di Napoli in scena la pièce scritta da Fabio Pisano con la regia di Davide Iodice: una rappresentazione visionaria che restituisce il respiro affannoso dei pazienti da cui traspare tutta l’umanità che si espande in quella scatola trasparente in cui siamo anche noi riflessi.


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Al Teatro San Ferdinando una grande affluenza di pubblico ha salutato con emozione la riapertura della Stagione del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale diretto da Roberto Andò, con l’attesa anteprima dello spettacolo Hospes,- ĭtis, testo di FabioPisano, vincitore del Premio Hystrio-scritture di scena 2019,   con la regia di Davide Iodice.

L’opera è interpretata da Angelica Bifano, Carolina Cametti, Antimo Casertano, Orlando Cinque, Daniel Dwerryhouse, Noemi Francesca, Damiano Rossi, Giulia Salvarani, Ilaria Scarano, Sebastiano Sicurezza, Aida Talliente, Emilio Vacca, Francesco Vitale, si replicafino a domenica 17 ottobre.  

C’è una bella immagine, identificativa e suggestiva, che coglie nel segno: il pubblico riflesso nella scatola di plexiglas trasparente. Rappresenta l’involucro probabilmente di una RSA, in ogni caso di una struttura sanitaria dove si muovono e si rappresentano le vicende di un gruppo di persone, tra pazienti e personale. Noi siamo spettatori riflessi su ciò che abbiamo vissuto, anche a causa della pandemia, della vita e della morte di un luogo che “accoglie malati con patologie rare in stato avanzato e terminale, per accompagnarli alla morte, senza forzature, senza aiuti. Non si pratica l’eutanasia, i pazienti aspettano di morire «con la barba sempre fatta, sempre lavati, puliti. Sempre con dignità”.

Hospes,- ĭtis, scritto dal talentuoso autore e drammaturgo molto prima della pandemia, è un testo che sta vivendo una vita folgorante. Dopo il premio, infatti, ha suscitato molto interesse, e nel 2020 è stato voluto da Tindaro Granata e letto a più voci nella sezione “anni luce” del Romaeuropa Festival.

«Rileggo Hospes, -itīs, scrive il regista Davide Iodice, – in questo tempo distopico in cui la pandemia ci ha confinato, e al fremito che sempre la poesia provoca, si aggiunge lo scuotimento per un presente che supera ogni metafora. Di certo Fabio Pisano non poteva immaginare che quell’esperienza di malattia di cura e infine di morte, vissuta nella singolarità di una vicenda familiare, potesse diventare una condizione collettiva, planetaria: storica. Non credo potesse immaginare, nessuno poteva, il corredo luttuoso di questi giorni, la moria degli anziani nelle case di riposo; la fame d’aria”. 

L’impianto scenografico trasparente di Tiziano Fario rende più palpabile la sofferenza e visibile le diverse patologie di cui sono affetti i pazienti da cui prendono anche il nome, come Parkinson, Purpura, Rohhad.. La rappresentazione di Davide Iodice è lieve, visionaria, non indugia sulla facile sofferenza, sul dolore delle vite sospese, ne restituisce sicuramente il respiro affannoso ma da cui traspare tutta l’umanità che si espande in quella scatolaLa parola scorre intensail testo di Pisano si fonda proprio sulla costruzione grammaticale e musicale dei sentimenti, con punte alte di sensibilità ma anche di grande ironia. C’è una “voce”, che è sempre sul crinale. Una voce che sembra didascalia ma non lo è, che è lirica ma non poetica, una voce che è altro. 

Davide Iodice scava a fondo in questa scrittura, nei pensieri e nella parte poetica, esalta attraversa il suo direttore, il convincente Orlando Cinque, i valori che guidano Hospes, la ricerca del benessere dei suoi ospiti. Ma la morte è sempre sospesa, appesa ad un filo dove un paziente aspetta che qualcuno decreti la sua fine. “Nella morte i confini sono definiti”, si sente pronunciare e tutto si mescola in un’alternanza di doveri e desideri, in un crogiuolo di pulsioni di vita e di morte. L’evocazione di Purpura che vuole entrare nella “camera del desiderio irrealizzato” – una bellissima suggestione – accompagnata però dal suo medico è un anelito di pietà e di umanità alta, evocatrice e metafora di tante cose della vitaIl regista è abile, muove e smuove con sensibilità le vicende di ciascuno, pazienti e personale, ma l’angelo della morte, interpretato da Aida Tagliente, è sopra la testa di ciascuno di essi con le sue scenografiche ali che tenta di abbracciare. Gli attori tutti lavorano in modo corale e convincente. 

“Ognuno vive un dramma personale”, scrive Fabio Pisano: “Anche la Morte, che compare in dialogo sempre e solo col direttore col quale sembra avere un conto in sospeso”. 

Bisogna organizzarsi per il trentuno dicembre, l’ultimo giorno dell’anno, è un giovedì. Ed è qui che si sgrovigliano le tante storie: “Il Direttore è in attesa di una telefonata. Il Factotum assiste Rohhad, il fratello in coma irreversibile, tormentato dalla promessa fattagli. La nuova infermiera lentamente s’innamora del Medico. Il Medico si lascia prendere dalla pietà per Purpura. Il Cuoco deve gestire il panico nell’organizzazione del cenone a cui, con sorpresa, prenderà parte anche il Direttore. Cloves, Lemierre e Parkinson giocano a carte e scommettono e perdono e vincono e fanno testamenti e s’azzuffano per un debito di gioco, mentre Minamata e Schindler tentano la fuga, invano e addirittura, nel caso di Minamata, rimettendoci ciò che resta della vita”.

Una coreografica serata del 31 dicembre che per un istante ci proietta in una scena da film dove i protagonisti riemergono dai loro sospiri affannosi e danno vita ad una giostra colorata: chi sale e chi scende. Dicono le voci in coro: “Non siamo in un gioco o in un pezzo di teatro. No”. E la morte aggiunge: “No. Questa è la vita. Ed è davvero difficile, abituarvisi”.

Tutto in Hospes si mescola– continua Pisano – tutto in Hospes perde il proprio naturale confine e allora ecco che chi deve morire vive di pulsioni vitali, chi deve vivere sente sempre più vicina la morte. La stessa Morte, si sente un peso, un di più. Hospes è un non luogo dove sopravvivere, in ogni caso, al di là della malattia e dove, in un estremo cortocircuito, tutto finisce, a una manciata di secondi dalla mezzanotte. Di Hospes non resta più nulla. Come è giusto che sia. O no?”

costumi sono di DanielaSalernitano; le luci diLoïc Francois Hamelin; i video diMichelangeloFornaro;trainingstudisul movimento di Chiara Alborino. La produzioneè delTeatro di Napoli-Teatro Nazionale.

Il pubblico è accolto dall’opera scultorea in “argilla fresca” Impermanenzadi Michelangelo Fornaroallestita nel foyer del teatro.