Falling, il debutto alla regia di Viggo Mortensen è un sincero, trattenuto dramma familiare

Dal 26 agosto in sala il primo film diretto dal popolare attore. Che si ritaglia un ruolo defilato, lasciando al centro della scena un ottimo Lance Henriksen, inacidito patriarca affetto da demenza che ha rovinato la vita dei suoi familiari

Falling - Storia Di Un Padre

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Non avrebbe neanche voluto interpretarlo Viggo Mortensen Falling (2020), il suo primo film da regista, anche prodotto, scritto e persino musicato. Questo, probabilmente, per sottrarsi al sapore inevitabilmente autobiografico che reca con sé una storia incentrata su di una complicata relazione padre-figlio.

Alla fine la sua presenza di divo con tre nomination all’Oscar all’attivo (l’ultima per il fortunato Green Book) si è resa indispensabile per trovare i finanziamenti per realizzare il film. Eppure, sebbene Mortensen vesta il ruolo fondamentale del deuteragonista, il figlio che subisce il rapporto con il padre-padrone, resta nella sua interpretazione un riserbo che lo porta, anche coerentemente con il carattere dei personaggi raccontati, a scegliere una posizione defilata e uno stile recitativo sommesso e trattenuto.

La scena è dominata invece, come esplicita il sottotitolo italiano di Falling, Storia Di Un Padre, dal veterano Lance Henriksen nella parte dell’ormai anziano genitore Willis (da giovane Sverrir Gudnason), inacidito agricoltore del Nord-est dell’America, razzista, omofobo e vedovo, affetto da demenza senile. Data la difficoltà nel vivere da solo nella sua fattoria, il figlio John (Mortensen) lo ha spinto a raggiungerlo a Los Angeles dove lui, ex ufficiale dell’aeronautica e ora pilota di linea, vive insieme al marito Eric (Terry Chen) e alla figlia, per cercare di convincerlo a trovare una sistemazione più comoda dalle loro parti.

Purtroppo gli anni e il progredire della malattia non fanno che peggiorare il già irascibile carattere del padre, che non perde occasione di sottolineare l’omosessualità del figlio, indirizzando commenti spiacevoli anche all’altra figlia Sarah (Laura Linney), ai nipoti e al compagno di John. La demenza lo porta a confondere passato e presente, in una sovrapposizione di eventi e momenti che diventano il basso continuo di un film strutturato su di un flusso senza soluzione di continuità di frammenti narrativi. Nei quali accanto ai due protagonisti colti nelle loro diverse età e nel loro rapporto via via più teso e aggrovigliato, emerge centrale l’immagine, colta nella bellezza della sua eterna e luminosa giovinezza, della prima moglie ormai scomparsa di Willis, Gwen (Hannah Gross), che aveva abbandonato l’ingestibile marito molti anni prima.

Viggo Mortensen restituisce questa piccola tragedia familiare di passioni esacerbate in una chiave volutamente allusiva, accumulando brandelli di racconto che galleggiano tra dettagli visivi di ricercata eleganza (che talvolta occhieggiano al cinema di Malick), lasciando allo spettatore il compito di riordinarli per trarne il senso d’una storia compiuta. In Falling mancano momenti esemplari che permettano di definire una volta per tutte il carattere soprattutto del personaggio principale. Nei flashback Willis è capace di manifestare anche dell’affetto verso la moglie e il figlio. E resta privo di motivazioni il suo richiudersi in una insensata e cupa infelicità, un odio indifferenziato senza trasporti né rimorsi, che lo rende un anziano perennemente sgradevole, che crea imbarazzo e sofferenza in chiunque gli sia intorno.

Allo stesso modo, a parte un breve momento in cui John trova la forza di rinfacciare al padre la sua incapacità di dire “mi dispiace” o “ti voglio bene”, non ci sono in Falling scene madri esplicite, in cui far detonare le emozioni frustrate dei protagonisti e attraverso le quali offrire allo spettatore una forma di sublimazione catartica. Il trattenuto dramma composto da Viggo Mortensen resta compresso in un labirinto di sentimenti rappresi, che tolgono l’illusione, tanto ai personaggi quanto allo spettatore, di potersi sbarazzare una volta per tutte di quello sconforto che, come una pesante eredità, Willis ha consegnato alle persone importanti della sua vita. E seppure dalla sua memoria ormai labile affiorino immagini epifaniche di gioia improvvisa che persino un uomo come lui ha assaporato, la cifra dominante di Falling è la malinconia per una vita sprecata, dominata dalla paura di essere veramente felici.