Dopo essere stati i genitori di Superman ne L’Uomo D’Acciaio, Kevin Costner e Diane Lane tornano a essere marito e moglie in Uno Di Noi (Let Him Go, 2020), un western ambientato all’inizio degli anni Sessanta nel Montana, in sala dal 29 luglio dopo i soliti rinvii dell’uscita seguiti al Covid. Il prologo ci mostra George, sceriffo in pensione, e Margaret Blackledge, ormai casalinga ma un tempo ottima addestratrice di cavalli, nel loro ranch insieme al figlio James (Ryan Bruce), sua moglie Lorna (Kaili Carter), un nipotino appena nato. Sono una famiglia felice, ritratta nell’elegia silenziosa di un west radicato su cose e valori semplici e netti, le uova fritte a colazione, i rapporti familiari amorevoli, i cavalli da domare.
La tragedia però in Uno Di Noi è dietro l’angolo: James muore per una caduta da cavallo, e dopo qualche tempo Lorna decide di risposarsi con Donnie Weboy (Will Brittain), che un giorno Margaret vede per strada dare uno schiaffo alla moglie e al figlio. Subito dopo, senza alcun preavviso, partono definitivamente insieme al bambino, diretti forse in North Dakota, lo stato di cui Donnie è originario. Preoccupata, Margaret convince il marito a partire in un lungo viaggio a bordo della loro vecchia station wagon, alla ricerca soprattutto del nipote, che la donna vorrebbe ricondurre in Montana con sé, sebbene George le ribadisca che non hanno alcun diritto legale per la custodia.
Quando riescono a individuare Donnie, George e Margaret sono costretti a fare la conoscenza dei Weboy, una famiglia di poco di buono retta dalla matriarca Blanche (Lesley Mainville), che comanda a bacchetta il fratello Bill (Jeffrey Donovan) e i figli. Questi naturalmente non hanno alcuna intenzione di lasciar andare Lorna e il bambino. E la vicenda vira verso un dramma senza ritorno ed esclusione di colpi.
Uno Di Noi segue un copione di amore e vendetta, intimismo ed esplosioni di violenza che sembrano appartenere quasi a due film distinti. Il regista e sceneggiatore Thomas Bezucha, che l’ha tratto dal romanzo Let Him Go di Larry Watson, ha diretto soprattutto commedie sentimentali (La Neve Nel Cuore) o romantiche (Montecarlo, con Selena Gomez), ed è questo il registro su cui questo western mantiene fino a un certo punto un suo sia pur prevedibile equilibrio.
Il viaggio offre ai due protagonisti, i veterani Costner e Lane, l’occasione per definire il profilo di una coppia affettuosa e quasi anziana, annegata nella solitudine seguita alla morte del figlio, cui solo la presenza del nipote può offrire una ragione per andare avanti. Talvolta George, che si capisce aver avuto qualche problema di alcolismo, ha degli incubi, in particolare uno in cui ricorda di essere stato costretto ad abbattere un cavallo amatissimo dalla moglie e dal figlio. E ritorna, quella immagine, quasi come una colpa primigenia che attende di essere scontata.
Gli scenari maestosi dell’America interna offrono un paesaggio fisico, emotivo, si direbbe quasi morale, capace di contenere il dolore laconico dei coniugi. L’incontro con un giovane nativo americano sbandato, gentile e solitario (Booboo Stewart), espulso dal consesso civile solo perché indiano, richiama anche responsabilità collettive, di cui forse per la prima volta, una volta deviato dal binario prescrittivo della loro solita vita, i Blackledge paiono prendere coscienza.
Peccato che da queste premesse, il film prenda poi una deriva effettistica, stonata e quasi grottesca. Uno Di Noi diventa un thriller con riflessi quasi gotici, con tanto di fiamme dell’inferno, non appena entrano in scena i Weboy, famiglia di balordi criminali, nel quale il completo dominio psicologico della madre sui figli rimanda idealmente a certi film del cinema anni Settanta come Il Clan Dei Barker di Corman e Grissom Gang di Aldrich. Ma quelli erano racconti dell’America degli anni della Depressione con risvolti amari ed edipici, qui invece si deraglia verso uno scontato revenge movie che la malinconia stampata sul volto di Costner non riesce a riscattare.
Un film dominato dalla furia della Mainville, in un ritratto con pettinatura vistosa e modi volgari perennemente sopra le righe, a suo modo coerente con i risvolti improbabili della storia. Così al dramma familiare taciturno si sostituisce l’esplosione di una violenza fragorosa quanto gratuita, in cui si smarriscono il valore dei sentimenti, il senso del sacrificio, il bisogno dei legami affettivi in un mondo al crepuscolo che il film sembrava voler narrare.