Per Lucio, il documentario su Dalla è la storia di un’Italia in bianco e nero

Nexo Digital porta in sala dal 5 al 7 luglio il film di Pietro Marcello sul cantante bolognese. Non un biopic agiografico, ma un’opera che assembla materiali d'archivio che raccontano la vicenda dell’artista e quella di un intero paese

Per Lucio

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Per Lucio non ha nulla del documentario agiografico su di un divo della canzone, è il nuovo, coerente tassello del cinema d’autore di Pietro Marcello. Il regista prende un grande artista insieme colto e popolare come Lucio Dalla e lo sottopone al medesimo trattamento del suo precedente film di finzione Martin Eden. Il marinaio del romanzo di Jack London ambientato negli Stati Uniti agli albori del Novecento veniva trasformato da Marcello in un proletario del sud Italia la cui parabola di emancipazione personale ricapitolava le trasformazioni (e le delusioni, e le tragedie) d’un secolo.

Allo stesso modo, Dalla diventa il pifferaio magico dalle cui canzoni sgorgano volti, aspirazioni, contraddizioni dell’Italia dal secondo dopoguerra in poi, riassemblati in un racconto in forma di poesia, che affastella in maniera incoerente e lucidissima tempi e spazi eterogenei, da cui affiorano brandelli di un paese in bianco e nero, tra la morente civiltà contadina e la nascente nuova società delle fabbriche, con gli operai e le catene di montaggio, gli imprenditori e gli intellettuali, gli studenti e le proteste di piazza.

Il film procede per assonanze, lampi ed ellissi, come Martin Eden appunto, come Bella E Perduta, o La Bocca Del Lupo, film del 2009 di Marcello che scorre sotto (o sopra?) le note de Il Parco Della Luna del cantante bolognese. Insieme si ritrovano feste e tragedie, momenti intimi familiari e vicende collettive come la strage di Bologna, recuperate da immagini d’archivio che parebbero non aver nulla a che fare con le canzoni di Dalla e che invece sono perfettamente sincronizzate alle musiche e ai versi, al punto che sembrano da loro sgorgare naturalmente, richiamate da quelle note e parole.

Ed è cosi che Per Lucio, apparentemente così evasivo circa la storia dell’artista, ripercorsa obliquamente e senza porlo mai ossessivamente in primo piano, ne costituisce un ritratto profondo e veritiero, in cui se mancano i fatti della vita di Dalla, c’è tutta la sostanza del suo carattere bizzarro, curioso e frenetico, e soprattutto c’è la sostanza della sua ispirazione poetica, la sua capacità d’artista di restare sintonizzato sul proprio tempo e la gente reale della sua Bologna e dell’Italia.

È soprattutto il Dalla degli anni Sessanta e Settanta che racconta Per Lucio, con uno stile rapsodico, in rima più che in prosa, sorretto dal filo rosso d’una intervista-conversazione tra due sodali di sempre del cantante, il manager Umberto Righi detto Tobia e il filosofo Stefano Bonaga, che s’incontrano in trattoria davanti a un piatto di fettuccine e regalano al documentario il tono caldo, intimo d’una chiacchierata svagata che non ha l’assillo di dire tutto o di scandire didascalicamente le tappe di una carriera.

Umberto Righi detto Tobia e Stefano Bonaga in Per Lucio

C’è l’essenziale però, o almeno l’essenziale secondo Marcello, il Dalla anche lui in bianco e nero degli esordi, con spezzoni preziosi e poco noti, persino una comparsata allo Zecchino d’oro del Mago Zurlì Cino Tortorella insieme alla madre. E soprattutto campeggia il Lucio Dalla della collaborazione con Roberto Roversi per i tre dischi che hanno segnato l’evoluzione del linguaggio poetico-musicale dell’artista, Il Giorno Aveva Cinque Teste (1973), Anidride Solforosa (1975), Automobili (1976).

Per Lucio grazie alla presenza di Roversi può creare anche una connessione con Pasolini – i due insieme fondarono la rivista Officina. L’immagine del poeta friulano lampeggia per un attimo in uno scatto d’epoca, ed è chiaro quanto costituisca un elemento d’ispirazione per Marcello. Dal punto di vista tematico, con la tesi del “genocidio culturale”, di cui parla anche Roversi. E da quello stilistico, nell’uso insistito e “primitivo” dei primi piani degli italiani dell’altro ieri, e nella la grana di un’immagine che pure nelle sequenze non di repertorio è granulosa, sporca, friabile, come se tutto, in Per Lucio, fosse un documento di un’altra epoca, spezzoni fortunosamente sottratti all’ingiuria del tempo.

Utilizzo i repertori perché sono una potenza. La storia che ti passa tra le mani”, ha detto Pietro Marcello. E dentro quella storia scava il regista, che ha lavorato su molti archivi, Istituto Luce Cinecittà, Cineteca di Bologna, Archivio nazionale del Film di famiglia, l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, l’Archivio nazionale Cinema impresa. Ed ogni porzione di questo documentario è o diventa una pagina di storia d’Italia, in una poetica del riuso nel quale filmati d’archivio e parti relative alla carriera di Lucio Dalla s’amalgamano fino a non appartenere più a un periodo definito o all’epopea individuale dell’artista, trasformandosi in brani di memoria collettiva.

Così le lontane immagini d’epoca sembrano accadute appena ieri, mentre le composizioni di Lucio Dalla – Itaca, L’Operaio Gerolamo, Mille Miglia, I Muri Del Ventuno, Quale Allegria – risuonano come pezzi di un repertorio intemporale della canzone popolare. Una cosa di cui l’artista bolognese sarebbe stato felice. Ciò che rende Per Lucio il migliore omaggio che si possa immaginare al magistero di Dalla.