Insomnia è il film “meno personale” di Christopher Nolan?

Dopo “Memento” Nolan nel 2002 dirige il remake di un thriller norvegese. Sembra un’opera di “servizio”, in cui si mantiene professionalmente nei binari del thriller. Ma ci sono elementi che gli appartengono, a partire dal gusto cinefilo. Alle 21 su Iris

Insomnia

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C’è la tentazione, vedendo Insomnia, il film del 2002 che Christopher Nolan diresse dopo l’imprevisto successo di un thriller di nuovo conio, lambiccato e cerebrale come Memento (2000), di cercare al suo interno i segni di una marcata cifra personale, quella che poi caratterizzerà la sua produzione successiva, dalla reinvenzione del genere supereroistico della trilogia di Batman fino al gigantismo progettuale – a metà tra kolossal hollywoodiano e firma d’autore – degli ambiziosissimi Inception, Interstellar, Dunkirk, lungo un arco di titoli che si tende sino al raggiungimento della ricercata incomprensibilità di quel labirinto narrativo che è Tenet (ma tra questi il film che meglio di tutti spiega la filosofia, dichiarando esplicitamente il “trucco” che è alla base del cinema di Nolan, resta il notevole Prestige).

All’interno di questa filmografia Insomnia spicca proprio per la sua, ci si passi il termine, “mancanza di personalità”. Il regista, chiamato da Steven Soderbergh (produttore esecutivo insieme a George Clooney) a dirigere il remake del thriller norvegese omonimo del 1997 diretto da Erik Skjoldbjaerg (con Stellan Skarsgård), si mette al servizio dell’opera (per una volta non sceneggiata da lui (ma da Hillary Seitz, che irrobustisce il retroterra psicologico dell’originale scandinavo) e realizza, come ha scritto in un suo bel libro Franco Marineo, “un perfetto esercizio di stile che aderisce mimeticamente al racconto, evitando forzature smaccatamente autoriali e tenendo ben saldo il timone della narrazione”.

In effetti, paragonandolo all’enigmatico Memento, di Insomnia, nonostante l’uso di qualche flashback e di una immagine iniziale – un uomo alle prese con un tessuto intriso di sangue – il cui senso si comprenderà solo nella rivelazione del finale, colpisce la sostanziale linearità da racconto di genere, nel quale lo spettatore è accompagnato offrendogli sempre tutti gli appigli per orientarsi, secondo una logica piuttosto tradizione.

Questa è anche una delle qualità del film, in cui Christopher Nolan mostra la sua professionalità e affidabilità alle prese con una regia che non cerca di sovvertire le regole ma che rispetta sino in fondo il canone. Insomnia gli offre inoltre la possibilità di misurarsi con la direzione di attori di prima grandezza, come Al Pacino e Robin Williams (usato a sorpresa in chiave drammatica, qualche scarto dal noto deve esserci). Un dato rilevante, perché nel cinema “mainstream d’autore” di Nolan il divismo rappresenterà una spezia fondamentale, da Christian Bale a Leonardo DiCaprio a Matthew McConaughey, un catalizzatore d’attenzione per il pubblico e un diversivo necessario per introdurre nella narrazione elementi eterodossi che non risultino respingenti per lo spettatore.

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Certo, poi il racconto presenta alcuni vistosi elementi che avranno destato la curiosità di Nolan. Il primo è l’idea di un thriller in piena luce. L’Insomnia originale si svolgeva in Scandinavia, questo invece in Alaska, ma il principio resta lo stesso, quello di una terra ritratta nella stagione in cui il sole non tramonta mai. Per cui la coppia di detective, Dormer (Pacino) ed Eckhart (Martin Donovan) chiamata da Los Angeles ad aiutare la polizia locale nella soluzione di un brutale assassinio di una diciassettenne forse opera di un serial killer, quando arriva nel profondo nord si trova in una sorta di disorientamento sensoriale, immersa in un giorno interminabile. Ciò che, immediatamente, causa la tragica insonnia del titolo, con Dormer che si trascina in uno stato quasi catatonico, un torpore da cui lo salva solo il leggendario istinto da investigatore.

Al centro del film c’è dunque una alterazione percettiva fisiologica, che lega Insomnia a Memento, anche se lì la menomazione cerebrale del protagonista si riverberava sulla forma stessa del film, trasformato in un inestricabile rompicapo di flashback e flashforword ripiegati gli uni sugli altri, mentre qui resta soltanto un fattore che spiega l’offuscamento della ragione del protagonista.

L’altro elemento rilevante, pur senza voler dire troppo di una trama che, come ogni thriller che si rispetti, si fonda sui colpi di scena, è data dalla situazione in cui si viene a trovare il detective. Dormer infatti, mentre insegue il sospetto omicida in una nebbia fittissima, uccide accidentalmente Eckhart. Invece di ammettere il tragico incidente, manipola gli indizi per dare la colpa al serial killer. Questo perché il suo socio aveva deciso di testimoniare in un’indagine della polizia di Los Angeles in un caso di omicidio in cui i due erano accusati di aver falsificato le prove per incastrare il presunto colpevole. Per cui sarebbe arduo per Dormer dimostrare la casualità della morte del collega.

L’unico, oltre a Dormer, a conoscere la verità, è proprio l’assassino, che cercherà di avvantaggiarsene, entrando in contatto col poliziotto, sia minacciandolo che cercando di “patteggiare” con lui il reciproco silenzio su entrambi gli omicidi. Col che, piuttosto didascalicamente, Insomnia diventa la classica storia del criminale e del poliziotto come due facce della stessa medaglia, in un gioco di specchi su responsabilità e colpa in cui l’agente che il mestieraccio e il destino hanno reso ambiguo e corrotto, a un certo punto dovrà fare i conti con quel che resta della propria morale.

Insomnia è un thriller solidissimo, nel quale ai personaggi principali s’aggiunge una giovane detective, interpretata da Hillary Swank, che ha addirittura scritto la sua tesi di laurea su Dormer. E nel gioco a tre tra mentore, allieva e serial killer si ritrova qualche somiglianza con Il Silenzio Degli Innocenti. A tal proposito, proprio la cinefilia costituisce uno degli elementi più forti, e a suo modo personali, di questo film di Nolan.

C’è l’impronta hitchcockiana del thriller non nell’oscurità ma in piena luce – la celebre intuizione della sequenza dell’inseguimento dell’aereo di Intrigo Internazionale che qui diventa strutturale. E, ancora più marcata, c’è l’ombra del Quinlan di Orson Welles, il poliziotto ambiguo e corrotto che produce prove false per incastrare i criminali e che, però, per quanto moralmente riprovevole, non si sbaglia mai. Proprio come Dormer. E nell’esibita cinefilia il film si collega alle opere maggiori di Nolan che costituiscono, quasi sempre, una riflessione di secondo grado sul dispositivo cinema e sui suoi fattori costitutivi (la temporalità, l’onirismo, la magia).