Tenet ha già compiuto il prodigio che tutti attendevano. Il blockbuster d’autore da 200 milioni di dollari, uscito il 26 agosto in quasi 800 copie, al suo primo giorno ha totalizzato, secondo i dati Cinetel, oltre 57mila spettatori, per una cifra di poco superiore ai 400mila euro. È vero che lo scorso anno nello stesso periodo in testa al botteghino c’era Il Re Leone che macinava quotidianamente cifre milionarie, ma in un mercato letteralmente dissolto dall’emergenza Covid-19, il segno impresso da Tenet possiede del miracoloso e ha un sapore incoraggiante per tutta la filiera. E di questo non si può che ringraziare l’amore per il cinema di Nolan che, pur costretto a rinviare l’uscita del film, ha insistito perché avvenisse il prima possibile.
Più complesso è il discorso su di un film che si vuole architettonicamente complesso fino allo spasimo, in cui Nolan tende all’estremo la sua usuale propensione all’enigma, giocando sul ribaltamento dell’ordine naturale degli eventi e creando un racconto in cui il tempo inverte il suo flusso e scorre al contrario, consentendo sovrapposizioni anche contemporanee, nella stessa inquadratura, di temporalità diverse che scorrono in una direzione e nell’altra, di passato e di futuro. Così che diventa difficile capire cosa sia accaduto prima o dopo, se quello cui stiamo assistendo sia il presente, o un flashback o un flashforward, o piuttosto tutte queste cose insieme.
Il controllo del flusso del tempo è il dispositivo fondamentale nella trama, che è quella canonica di un film di spionaggio alla James Bond, col mondo sull’orlo dell’apocalisse e l’eroe, un agente della Cia (John David Washington, il Protagonista) il quale, armato di una parola, Tenet (ovviamente palindroma, tratta dal quadrato magico latino del Sator) e aiutato da un’altra spia che mastica fisica teorica (Robert Pattinson) deve sventare il piano di un cattivissimo oligarca russo, che si chiama proprio Sator (Kenneth Branagh), il quale tiene anche sadicamente sotto scacco la giovane moglie Kat (Elizabeth Debicki).
Del Bond movie c’è anche la canonica ambientazione planetaria con continui cambi di location e l’inizio folgorante, con un’avvincente sequenza d’azione che definisce il ritmo della storia, qui un attentato terroristico al teatro dell’opera di Kiev (che allude nella forma alla tragedia del sequestro del teatro Dubrovka). E Tenet è pieno di pezzi di bravura che attraverso il gigantismo della messinscena e un sonoro martellante (pure troppo) tengono incollato allo schermo lo spettatore.
Il quale è destinato quasi ineluttabilmente a perdersi tra le involuzioni della trama di questa “guerra fredda temporale” di cui Nolan ha a cuore, appunto, soprattutto l’aspetto temporale, manipolando il quale riesce a trasformare una vicenda sostanzialmente scheletrica, con dinamiche tra personaggi a dir poco elementari, in un enigma contorto incentrato su una cronologia esplosa, come uno specchio rifratto in mille pezzi di accadimenti che ricorrono anche più volte e in direzioni inverse. Tale è il livello di complicazione di Tenet che è difficile dire se Nolan punti a uno spettatore attivo di cui sollecita il lavorio interpretativo di riordinamento delle tessere sparse del puzzle, o se invece, nell’oggettiva difficoltà di afferrare la logica interna al racconto, voglia invece semplicemente lasciarlo stupefatto di fronte alla fantasmagoria visiva di un’esperienza eminentemente sensoriale, puntando non alla comprensione ma alla fascinazione.
Certo, una battuta di Tenet dice esattamente questo: “Non cercare di capirlo, sentilo”. Ma è una traccia talmente evidente da risultare sospetta. Sospetta soprattutto in un cineasta che dà poco spazio all’istinto e alle emozioni e tende a un cerebralismo che qui diventa persino sfiancante. Non è in discussione la bellezza del dispositivo, nel quale oltretutto il gioco sul tempo che va avanti e indietro riporta a un tratto specifico del linguaggio cinematografico, con la possibilità di scorrere la pellicola in entrambe le direzioni, ottenendo il più semplice, e affascinante, degli effetti speciali.
Ciò che lascia perplessi è la gratuità del meccanismo. Da sempre il cinema di Nolan ruota intorno ai paradossi temporali (e in subordine anche spaziali), dai disturbi della memoria del protagonista di Memento che non riesce a fissare i ricordi lungo una linea cronologica coerente al grande viaggio dentro la mente (e i generi cinematografici) di Inception, sino all’avventura spaziale di Interstellar col tempo che scorre diversamente per i vari personaggi.
Un sottile gioco sulle temporalità era anche in Dunkirk, mimetizzato in un film apparentemente più tradizionale e ordinato, che è a nostro avviso un autentico capolavoro. Lì venivano incastrate una nell’altra tre vicende di diversa durata, un’ora, un giorno e una settimana, col risultato che, agli occhi dello spettatore, grazie al montaggio, la loro eterogeneità svaniva completamente, e un’ora finiva per durare come un giorno e una settimana. Il voluto disorientamento, l’alterazione percettiva che emergeva da quel racconto, però, costituiva il modo attraverso il quale Nolan restituiva il senso di quell’enorme trauma che è la guerra, capace di stravolgere gli uomini al punto da far perdere loro la lucidità e la capacità di distinguere le cose.
Sembra mancare invece in Tenet un’intima necessità, una motivazione intrinseca per un trattamento così estremizzato della narrazione, che giunge a livelli di oscurità che paiono fini a sé stessi, quasi ludici. Nolan potrà anche citare velocemente teorie fisiche (Feynman) per offrire un ancoraggio logico alla storia, ma resta l’impressione di un rompicapo visivamente abbacinante, eppure distante, freddo, sterile come le figurine bidimensionali disposte sulla scena (per spiegare il sadismo di Sator verso la moglie, Nolan fa dire a Branagh una battuta, “Se io non posso averti, nessuno ti avrà”, che ha la profondità del cattivo melodramma). Questo cinema forse appassionerà chi si diverte, come Nolan, a smontare e rimontare i lambiccamenti cerebrali del congegno narrativo per trovarne la soluzione, ma ha un sapore artificiale e macchinoso, capace anche di dire qualcosa di importante sull’essenza dell’arte cinematografica, ma davvero poco del mondo e della vita, insomma di quel che più ci riguarda.
Non vedo l’ora di vederlo