Nodo Alla Gola: Alfred Hitchcock, la frenesia del delitto e del cinema

Il maestro del brivido nel 1948 sperimentò un film tutto in piano sequenza. Gli sembrò un pasticcio. Ma si sbagliava. Stasera su Tv2000 alle 21.10

Nodo Alla Gola

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Ogni tanto nella storia del cinema appare un film che comprime l’intero racconto in una sola, lunghissima inquadratura senza stacchi di montaggio. Una tentazione registica titanica, che spesso affascina e conquista spettatori e addetti ai lavori per la complessità della sfida. Tra gli ultimi casi film acchiappa Oscar come 1917 di Sam Mendes e Birdman di Alejandro González Iñárritu, o Arca Russa di Alexander Sokurov, che lasciano sbalorditi, tra le altre cose, per l’eccezionale tour de force tecnico.

E sempre, di fronte a film di questo tipo, si finisce per riandare a Nodo Alla Gola (Rope, in italiano anche intitolato Cocktail Per Un Cadavere), primo esperimento del genere, uscito nel 1948. Ovviamente tentato da quel cultore della forma cinematografica che è stato Alfred Hitchcock. “Non so veramente perché mi sia lasciato trascinare in questo pasticcio – dichiarò il maestro del brivido a Truffaut nella famosa intervista –, era completamente senza senso, perché rompevo con tutte le mie tradizioni, e rinnegavo tutte le mie teorie sulla segmentazione del film e sulle possibilità offerte dal montaggio”.

Invece della usuale scansione in brevi inquadrature, funzionali alla sua strutturazione del racconto e alla creazione della suspense, filo rosso di ogni sua storia, meccanismo che catalizza e guida l’attenzione dello spettatore, per una volta Hitchcock scelse, per un film tratto da una pièce teatrale, di rispettarne l’unità di tempo e luogo attraverso l’espediente del piano sequenza. La storia, riadattata per lo schermo da Arthur Laurents con Hume Cronyn e Ben Hecht, è ricavata del dramma del 1929 di Patrick Hamilton, a sua volta ispirato a un celebre caso di cronaca, l’assassinio di un quattordicenne per mano di Leopold e Loeb, due studenti dell’università di Chicago che vollero architettare il “delitto perfetto”.

Nodo Alla Gola
  • Stewart,Hogan (Actor)
  • Audience Rating: G (audience generale)

Nodo Alla Gola comincia con una inquadratura dall’alto di una strada. La macchina da presa si volge a riprendere una finestra, poi, dopo un grido, con uno stacco di montaggio ci porta dentro l’appartamento, con il primo piano terribile di un giovane, David, che viene strangolato. Gli assassini sono Brandon (John Hall) e Phillip (Farley Granger), due suoi amici dai tempi del collegio che l’hanno ucciso, a loro dire, per il piacere di farlo e per dimostrare la loro superiorità intellettuale che, è soprattutto Brandon a sostenerlo, darebbe loro il diritto di eliminare gli esseri inferiori.

Phillip è più tormentato dal senso di colpa ma, succubo dell’amico, ha accettato l’idea di organizzare immediatamente dopo l’omicidio un cocktail con, come ospiti, addirittura il padre di David e la sua fidanzata. Ignari del fatto che nella cassapanca su cui è disposto il buffet è nascosto il cadavere del ragazzo. Al party è invitato il loro vecchio professore del collegio, Rupert (James Stewart), spirito anticonformista che sostiene certe idee – la relatività dei concetti di bene e male, il delitto come forma d’arte – alla base del gesto insano di Brandon e Phillip. Sarà proprio lui a cogliere gli accenti stonati della serata e a dipanare la matassa (e così, implicitamente, a dover ammettere l’assurdità delle sue teorie).

Il piano sequenza unico di Nodo Alla Gola rappresentò una sfida tecnica. I caricatori della macchina da presa dell’epoca potevano contenere una quantità di pellicola sufficiente al massimo per 10 minuti di ripresa. Così Hitchcock, per restituire la sensazione di continuità, dovette mascherare gli inevitabili stacchi di montaggio con delle dissolvenze in nero, che coincidono con inquadrature su dettagli molto scuri come il retro delle giacche degli attori. Nel film ci sono, in realtà, dieci stacchi, alcuni dei quali in verità non corrispondono nemmeno a dissolvenze, ma sono dei tradizionali passaggi di inquadratura (lo si può vedere in questo video che li accorpa tutti).

Hitchcock sul set coi quattro protagonisti di Nodo Alla Gola (cassapanca compresa)

Pareti e oggetti d’arredo erano mobili, per permettere alla macchina da presa di spostarsi liberamente, consentendo allo stesso tempo la registrazione del suono in presa diretta (sul set doveva regnare un assoluto silenzio). Inoltre, Hitchcock usò per la prima volta il colore. Dalle ampie vetrate dell’appartamento affacciato sullo skyline di New York (interamente ricreato in studio) si apprezza il passaggio del tempo, dalla luce del sole fino al buio serale – per rendere più realistico l’effetto furono usate anche sagome di nuvole mobili. L’aspetto più creativo delle tecniche di illuminazione di Nodo Alla Gola è nell’uso espressivo della luce: quanto più ci si inoltra nella notte – che corrisponde idealmente alll’indagine che scoperchierà la tragedia – tanto più le luci sfumano su tonalità più cupe, virate sul rosso, il verde, colori che non fotografano naturalisticamente lo spazio, ma rivestono una funzione simbolica, interpretano e commentano gli accadimenti, amplificando il significato morale della vicenda.

Il piano sequenza di Nodo Alla Gola non è un espediente meramente formale: contribuisce alla costruzione della suspense e mostra la natura stratificata di un racconto che accoglie diversi livelli di lettura. Proprio in quegli anni, partendo dai film di Orson Welles e William Wyler, il critico André Bazin teorizzò che il piano sequenza (combinato con la profondità di campo) consentisse attraverso il rispetto della continuità spazio-temporale una rappresentazione più fedele della realtà, rivelando, nell’unitarietà percettiva, l’ambiguità delle cose. Il meccanismo, inoltre, sollecitava anche il ruolo dello spettatore, non più passivamente obbligato a osservare cose scelte per lui dal regista, ma invitato ad attivarsi per decidere cosa guardare (e cosa non guardare), costruendo una gerarchia visiva cui corrisponde una gerarchia di senso.

Eppure, a Bazin Nodo Alla Gola non piacque: sosteneva che la macchina da presa mobilissima di Hitchcock, pur evitando gli stacchi, finiva per selezionare i dettagli da mostrare allo spettatore (la corda, le mani di Phillip, il cappello di David che Rupert indossa per sbaglio), restando perciò fedele alla suddivisione in inquadrature, non lasciando libertà al pubblico. “Questa regia fondata su una carrellata continuata – scrisse –  è tutta una successione di reinquadrature”, che in fondo mascherano, ma rispettano la scansione del découpage classico. Bazin ha ragione. Quando Rupert immagina la dinamica del delitto, come si vede nella sequenza riprodotta qui sotto, la macchina da presa si muove come seguendo gli spostamenti d’un uomo invisibile, guidando pedissequamente lo sguardo dello spettatore (curiosamente è la stessa cosa che fanno sempre nel 1948, per ragioni differenti, altri due geniali cineasti attivi in Inghilterra, Michael Powell ed Emeric Pressburger, nel capolavoro Scarpette Rosse).

Alla fine, però, anche in Nodo Alla Gola il dispositivo del piano sequenza consente a Hitchcock di intensificare la natura stratificata e ambigua del racconto. La storia è alla superficie, quella ricca di suspense di un delitto e del suo disvelamento. Ma è anche la storia di una relazione omosessuale tra due uomini, uno manipolativo, l’altro più sensibile e arrendevole (sono numerose le letture del film in questa chiave, alcune molto critiche verso l’omofobia di Hitchcock). E poiché, inoltre, Brandon ha invitato al party la fidanzata di David, che è anche una sua ex, il delitto assume contorni persino più complessi, con contorte motivazioni che vanno decisamente al di là del presunto delitto perfetto.

La ripresa in continuità, allora, consente di raccordare i livelli del racconto – il delitto, la suspense legata alla detection di Rupert, le ragioni oscure del crimine, le autentiche relazioni tra i personaggi –, non limitandosi a definire un messaggio univoco, ma alludendo alle sfumature e ai sottotesti della vicenda, grazie a una macchina da presa discreta ma impudica, che pedina i personaggi scrutandone qualunque impercettibile sussulto. Che è la stessa dinamica di una scena citatissima – anche da Bazin – quando si parla di piano sequenza. Quella de L’Orgoglio Degli Amberson di Orson Welles, in cui una situazione qualunque – un personaggio che mangia una torta mentre la zia gli suggerisce di aggiungere dello zucchero – nasconde il desiderio della donna di ottenere dal nipote informazioni sull’uomo che ama, senza far trapelare le sue intenzioni. Un cortocircuito tra due livelli che trasforma un dialogo apparentemente banale in un momento sottilmente drammatico, creando anche un effetto di suspense molto forte.

E ovviamente Hitchcock è sensibilissimo alla suspense, collante di tutte le sue storie e qui meccanismo attraverso cui lo spettatore viene immerso in un articolato dispositivo narrativo. Il chiacchiericcio svagato da cocktail party è lo strato superficiale dietro cui si nasconde la tensione del racconto investigativo, con Rupert che interpreta i dettagli incongrui e le stonature di una conversazione troppo accalorata – nel frattempo padre e fidanzata si chiedono continuamente “dov’è David”, amplificando il senso di angoscia. Sotto, agisce un ulteriore livello, più nascosto, legato alla natura della relazione tra i due assassini. Il piano sequenza, insieme alle impennate dei colori saturi, i suoni che giungono dalla strada, la scenografia asfissiante d’uno spazio concentrazionario, aiutano lo spettatore a decrittare l’architettura multistrato del racconto. Mostrando ancora una volta l’incredibile capacità di Alfred Hitchcock di pensare per immagini, e di impiegare espedienti formali che non scadono mai nel formalismo.