Ristoranti ancora chiusi tra la criminale indifferenza dei virologi e la truffa dei rimborsi

La via crucis dei ristoranti sembra non avere fine e i ristori, come i vaccini, arrivano sempre la settimana prossima


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Il ristorante per Pasqua serve cibo d’asporto ma direi che non c’è la fila; quando entro, mi accolgono come fossi il Messia. Sono tre, in mascherina tra effluvi di buone cose ma sotto la mascherina i musi sono lunghi, c’è il silenzio di chi stenta e non ha voglia di parlare. A volte capita di lavorare quando meno te lo aspetti, dentro una festa che non c’è, ma si sa com’è questo mestiere, non c’è mai e non ti lascia mai. E da cliente mi trasformo in cronista. Il capo scuote la testa, “Io come andrà a finire non lo so. Ma perché ci fanno questo, perché? Cosa vogliono raggiungere?”. Vista da un ristorante chiuso, che serve pietanze da portar via, la faccenda delle curve, degli indici di trasmissione, dei parametri esoterici, degli stregoni del CTS e “dell’agognata inoculazione” come dice il tg, “ma ora sentiamo l’ex segretario PD Zingaretti”, assume tutto un altro aspetto. “Perché ci fanno questo?”.

“Questo” non è una cosa sola, non è un problema solo. È una sagra di guai, una via crucis su per un Golgota senza fine. “Quattordici mesi che non lavoro. Che lavoro a bocconi. Marzo chiuso. Natale morto. Qui siamo in un posto piccolo. L’estate bene o male è andata, ho fatto diecimila euro ma li ho spesi subito, solo l’affitto me ne mangia millecinquecento al mese. Poi tutto il resto, poi le tasse. Quelle le pago, tutte le pago! Ma mi hanno detto che non ho diritto ai ristori, non ho perso il 30% rispetto a un anno fa. Ho perso di più in effetti, ma hanno escogitato di quelle clausole, certi modi di contare le perdite per cui non ci si rientra”. Non solo per te, amico ristoratore, questa dei rimborsi che non ci sono è la truffa del secolo e se la palleggiano di governo in governo: i soldi non si trovano e, come si dice da queste parti, “chi promette non spianta casa”. Il gestore è di queste parti e non si illude. “Sono sotto di diecimila: per ripartire, riapro fin che ho forza, ma non è questione di fare i soldi, io non li ho fatti mai i soldi, io campo con milletrecento al mese, tolte tutte le incombenze questo mi resta a meno di accidenti. Ho sanificato tutto, ho fatto tutto come dicevano, come voleva l’Europa: mi hanno fatto chiudere ancora. E i rimborsi non li vedo. Perché non ci rientro. Ma perché mi fanno questo?”.

Il ristoratore affoga nel suo mantra, ma non c’è un perché; ce ne sono mille, che è come dire nessuno: i calcoli politici, le elezioni da scongiurare, chi mettere al Colle fra un anno, chi al governo, e che vada bene all’Unione. “L’Europa, quella ci ha distrutto. Ogni anno nuove imposte, nuovi obblighi, sempre più difficoltà e impedimenti… Ma per chi continuo a vivere io? Per Renzi che va al Gran Premio del Bahrein? Io fiducia nella politica non ne ho avuta mai, ma adesso ho solo paura. Non mi sento solo ingannato, mi sento preso in giro”. Fosse solo per le arroganze, per le impunità dei politici e dei virologi, fosse solo per i falansteri di vetro di Bruxelles! Vista da qui la cosa è molto diversa, sembra di stare su un altro pianeta o forse sono loro, quelli chiusi nei falansteri che vivono altrove e non sanno cosa vuol dire per un esercente “non vivere ma almeno sopravvivere”.

C’è un’aria fredda, è tornato il freddo per questa Pasqua sotto sequestro come a voler gelare le illusioni di chi non si arrende. Da fuori piovono rintocchi di campane desolate, entrano insieme a nessuno. “Forza con quei primi” mormora il mio ristoratore, ma non saprei dire se siano per qualche fantasma di cliente, per me che aspetto e intanto lavoro mio malgrado o magari per lui e chi gli sta attorno e si dà un gran daffare dietro le mascherine inutili perché non c’è nessuno, commovente, straziante daffare di chi non si arrende. O forse si è già arreso e non lo sa. E io non so se spiegargli cosa c’è dietro, non so se illuminare il suo mantra, ‘perché mi fanno questo?’, perché la soluzione, per come l’ho capita io, potrebbe essere troppo dura: come fa uno che spignatta nella disperazione fiduciosa a rassegnarsi sapendo che lo fanno affondare perché quest’incubo conviene un po’ a tutti nel mondo di là, dove i ristori non esistono perché tutto marcia preciso e anzi volendo c’è modo di arrotondare, di là nell’altro mondo dove gli spettri della miseria ossuta non arrivano e i problemi sono di cartone, sono lunari e paranoici? E come faccio a raccontargli che proprio oggi i soliti virologi hanno buttato là, con criminale indifferenza, che “l’emergenza non potrà finire prima del 2022 e non è il caso di parlare di riaperture”?

Ho sempre lavorato, dice il ristoratore e lo dice quasi fosse un atto eroico anziché l’usuale condizione umana. Ma si va verso “una nuova normalità”, come dicono i mammasantissima per non dire una normalità anormale, una normalità feroce, dell’angoscia e dei ristori che non vengono. E non vengono per la semplicissima ragione, a farla breve che se un anno fa eri povero adesso devi dimostrare che sei più povero del 30 percento, ma se un anno fa eri già miserabile, dimostrare che sei più miserabile del 30% è impossibile. I sostegni, i ristori, più sei a fondo e più non li vedi. E dovevano partire già in aprile, ma i ristori son come i vaccini, arrivano sempre la settimana prossima.

È pesante l’atmosfera nel ristorante che si dibatte nel silenzio come un pesce in agonia e non è il caso di scomodare quella orrenda massima del mal comune mezzo gaudio, per cui come lui tutti, quasi tutti: il mal comune non è mai consolatorio, è una tragedia collettiva, una catastrofe senza superstiti. Prendo il mio pacchettino e abbozzo un saluto, ma mi viene male. Faccio per uscire ma con la coda dell’occhio non posso non vedere che il ristoratore si è seduto, si è preso la testa fra le mani, sta piangendo come un bambino.