‘Genitori vs Influencer’ sembra tratto da un mio pranzo familiare tra generazioni a confronto e approccio ai nuovi media

Nello scontro generazionale con mia figlia tra catcalling e legge Zan, mi sono imbattuto nel film di Michela Andreozzi che si conferma ancora una volta una grande regista


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Partiamo dal catcalling. No, non “parliamo di catcalling”, attenzione, partiamo dal catcalling.

L’argomento, almeno per questa epoca iperveloce e frammentaria, è superato. Se ne è parlato tanto, ovunque, specie in rete. Se ne è parlato anche troppo, credo.

Di questo abbiamo parlato l’altro giorno, a tavola, finito il pranzo pasquale. E se dico abbiamo parlato non intendo tutti i commensali, che ovviamente, è la Pasqua della zona rossa, sono anche i commensali di tutti gli altri pranzi e cene da un anno e passa a questa parte, con la sola eccezione dei gemelli, loro spesso non ci sono perché, fortunatamente, le elementari non hanno chiuso che recentemente, almeno in questo anno scolastico, e loro fanno il tempo pieno. Ne abbiamo parlato i due a cui piace affrontare questi temi, io e mia figlia grande Lucia, venti anni il prossimo agosto, e ne abbiamo parlato i due che amano polemizzare fino allo sfinimento su argomenti di attualità, politica, scontri tra generazioni, femminismo e affini, sempre io e Lucia, venti anni il prossimo agosto, la nostra figlia maggiore. Colei, per capirsi, cui erano destinate le prime ventitré canzoni dell’antologia di cantautrici Anatomia Femminile, uscita dieci anni fa, quando lei stava passando dall’essere una bambina a essere una adolescente, divenendo in qualche modo donna. No, non ho detto che una bambina non è una donna, dai, non giochiamo, non è l’intento di quel lavoro, spiegare attraverso canzoni dedicate a parti del corpo femminile cosa significhi essere donna, fisicamente, certo, ma anche nella società, nella vita di tutti i giorni, in quello del lavoro, e non è mica un caso che in quell’antologia Andrea Mirò, grandissima artista, cantasse una canzone dal titolo ‘Quello che gli occhi’, scritta con me e il maestro José Orlando Luciano, nella quale si imbastiva un dialogo tra un padre e una figlia proprio sull’incapacità del padre di dire e spiegare certe cose, e della figlia di sentirsele dire.

Io e Lucia ci scontriamo su molti argomenti. Non perché ci siamo antipatici, come a volte succede, o meglio, succede ai genitori di stare antipatici ai figli, mai il contrario, credo, quanto piuttosto perché ci piace polemizzare, e su questo, almeno per quel che riguarda me, immagino saremo tutti d’accordo, e soprattutto portare avanti tesi e smontare controtesi, tirando costantemente in ballo le generazioni.

Questo è successo anche dopo il pranzo di Pasqua, una roba pantagruelica, non starò a parlare del menu perché altrimenti occuperei tutte le tante parole che seguiranno. Io ho sapientemente tirato fuori la parola catcalling, e neanche il tempo di arrivare alla doppia elle che Lucia aveva abboccato all’amo.

La mia tesi, che per ovvi motivi sono riuscito a esporre solo dopo una mezzora in cui si parlava, tra me e Lucia funziona così, io comincio una frase, una delle mie, parlo come scrivo, tendo a produrre frasi lunghe e piene di relative, quindi a non lasciare molto spazio all’interlocutore, comincio una frase e lei, dopo poche parole, urlando, più che urlando parlando con la voce molto alta, che diventa stridula, si inserisce, interrompendomi e rispondendo a qualcosa che io non ho ancora detto. Quel che avrei voluto dire, ma ripeto, non ho alcun interesse a parlare di catcalling ora, è argomento superato dall’attualità, è che secondo me tutta questa polemica che per qualche giorno ha occupato social e media riguardo il catcalling, ricordiamolo giusto per cronaca, partito da uno sfogo, legittimo, di Aurora Ramazzotti, figlia di Eros e della Hunziker, per essere stata catcallingata per strada, per catcalling si intende quando si viene molestate da qualcuno che ti dice parole che non vorresti sentirti dire, ti provoca, ti molesta, appunto, ti fischia, ci siamo capiti, il termine è inglese e confesso che non lo conoscevo fino all’altro giorno, comunque Aurora Ramazzotti si sfoga sui social, un tipo che ha partecipato al Grande Fratello Vip, di chiare idee fasciste e comunque idiote, come se ci fosse distinzione tra le due istanze, Er Faina, fa un video di risposta che conferma come ci siano uomini scarsamente dotati di cervello e molesti, e si scatena l’inferno. Per inferno, questo era quello che avrei affrontato come preambolo, ma non ci sono neanche arrivato, una serie di post, video, tweet, foto accompagnate da testi, articoli, commenti tv, nei quali si parlava di catcalling, tantissime donne hanno testimoniato loro esperienze a riguardo, dimostrando, e questo un po’ mi ha stupito, lo confesso, che è pratica tristemente comune, quotidiana, e tanti uomini a prendere le distanze da questa pratica, a dire, io non l’ho mai fatto mai lo farei, e fin qui, ci potrebbe anche stare, andando spesso ad aggiungere quelle che sono state considerate parole di troppo, cioè un dire che comunque fischiare a una ragazza o dirgli qualche parola, anche sguaiata, ma atta a fare un complimento, non è molesta, non è equiparabile a una molestia, men che meno alla violenza. Su tutto, era ovvio, Valentina Nappi che ha in qualche modo provocato, finendo per diventare a sua volta vittima di violenza verbale, spesso da parte di donne che l’hanno insultata e minacciata, vedi a volte il mondo come è incoerente. Non era il catcalling che mi interessava, ripeto, volevo solo spiegare a mia figlia, non per mansplaining, semmai perché sono un padre, che quando si comunica, specie oggi che siamo in era social, tutto veloce, tutto dimenticabile nel giro di poco, tutto sostituibile da altro trend topic, tocca stare attenti a cosa dare attenzione, perché spesso i media, almeno quelli tradizionali, tendono a usare notizie anche importanti, ma distraenti, per non parlare di notizie, anche limitrofe, più importanti e centrali. Un pensiero semplice, che però necessitava più di tre parole, e io alla quarta parola ero già stato interrotto due volte.

Il punto di vista di Lucia, lo è spesso, è che tutti avevano sottolineato, a suo dire, il proprio punto di vista. Lucia è una ragazza molto arguta, attenta, appassionata di femminismo e di temi riguardanti il gendrismo. Vuole studiare psicologia, anche per questo, ora fa Scienze Umane, e legge tantissimo a riguardo. Solo che se mi dice “nessuno ha detto che il catcalling è una violenza”, per dire, dice una cosa che prende in considerazione solo la sua bolla, coloro che lei segue e legge e guarda. Che sono anche tanti, ma non sono tutti, quindi quel “nessuno” è ovviamente fuoriluogo. Quando provo a farglielo notare, buttando lì che sarebbe bene dare un’occhiata anche fuori dalla stessa bolla, in genere, mi risponde che dovrei farlo anche io, che guardo solo dentro la mia bolla. Al che le rispondo che nella mia bolla di certi argomenti neanche si parla tanto, e che se sono a conoscenza di certi argomenti è perché per lavoro mi occupo di comunicazione, quindi tendo a sguardi panoramici, che escano dalla mia bolla, e le faccio notare che la sua generazione, lei tende sempre a dire che i giovani sono la maggioranza, anche quando si parla di musica, che sono rilevantissimi, io le faccio notare che la sua generazione è numericamente inferiore alla mia, sono numeri, non pensieri volatili, e che quindi forse sarebbe il caso di contestualizzare. Questo più che dirlo lo penso, è difficile esprimere un pensiero compiuto, se una ragazza di quasi venti anni ti parla a voce altissima sopra. Io, poi, cinquantadue anni a giugno, sembro Mario Brega in Borotalco, affanno, ansimo, mi si rompe la voce, è davvero difficile discutere. Non sono liti, attenzione, sono chiacchierate molto interessanti, animate, ma non liti, affatto. Io amo confrontarmi con lei, anche se mi incazzo come una iena, mica è un caso che da cinque anni scriviamo insieme le pagelle Padre e Figlia su X Factor, il confronto-scontro, anche generazionale, credo sia alla base della crescita, e non intendo certo solo la sua, intendo crescita reciproca. Nei fatti, quel che volevo arrivare a dire, e qui forse sto per parlare di sfuggita di catcalling, è che nei giorni della legge Zan ferma al senato, credo che spostare di lato, la comunità di riferimento è la medesima, portare all’attenzione della massa un altro argomento è deleterio, perché di colpo si parla tutti di quello, e il vero discorso, centrale, sfugge all’attenzione. Ovviamente Lucia mi ha fatto notare che anche quello è un discorso centrale, e chi lo nega, solo che, ho ribattuto, se ogni giorno c’è un discorso centrale si tende a dare a ogni discorso il medesimo peso, e si finisce per depotenziare tutto, specie i passi concreti che si stanno facendo, la legge Zan contro la omotransfobia è un dato di fatto, concretissimo. Ho anche fatto notare come, a mio avviso, toccherebbe dare un po’ di peso a chi certi discorsi li veicola, perché il rischio che lo faccia più per tornaconto che per reale interesse è dietro l’angolo, pensiero che, giuro, non sono riuscito a esprimere in forma compiuta, sono stato interrotto credo alla prima parola, intendendo che se chi parla in genere campa sul fatto che parla, potrebbe essere suo interesse essere al centro della scena più che dare attenzione agli argomenti di cui parla, discorso che nel mio pensiero valeva per Aurora Ramazzotti quanto per Er Faina, andando poi io a dire, non ci sono arrivato, che certi personaggi, e qui parlavo solo di Er Faina, neanche andrebbero proprio visti, sono troll e non si deve dare da mangiare ai troll. Così ci siamo spostati a parlare di influencer, e anche lì, la sua visione del mondo è massimalista, e detto da un massimalista, lo so, suona buffo. Gli influencer sono seguiti da milioni e milioni di persone quindi quel che dicono diventa concreto per milioni e milioni di persone, questo il suo pensiero. Hai voglia io a far notare che spesso chi segue gli influencer non lo fa per quel che dicono, ma per quel che sono e mostrano, tempo perso, o comunque inutile, perché tanto il mio pensiero restava sempre in potenza e mai in atto. Volevo dire che se i followers di Chiara Ferragni, non era di lei che si parlava, ma è la influencer più seguita e comoda come modello, seguissero davvero quel che dice, più di quanto non facciano, traslando, quelli di Michela Murgia, che ne ha decisamente meno, ma a mio modo di vedere assai più concreti e focalizzati, vivremmo sicuramente in un mondo diverso. Invece Chiara Ferragni è seguita da tanta gente che ama la moda, il vedere i suoi figli, Fedez, mentre i seguaci di Michela Murgia, spero avrete apprezzato che io non abbia mai usato l’articolo prima del cognome, sia mai che mi si accusi di patriarcato, la seguono per quel che dice, punto. Ne facevo una questione di concretezza, non volevo dare un peso diverso a quello che le due su menzionate dicono. Poi è arrivata una telefonata di mia sorella, da Ancona, e la chiacchierata si è interrotta, senza riprendere. Capiterà chissà quante altre volte, figuriamoci.

La sera di Pasqua, però, in famiglia, Lucia esclusa, lei era in camera a fare una videochiamata col suo ragazzo, abbiamo visto un film che, giuro, sembrava tratto da un nostro pranzo. Intendiamoci, nulla di quello che avete letto si intravede nella trama, ma l’argomento è quello, le generazioni, l’approccio ai nuovi media, ai social, da parte delle generazioni diverse, la X Generation, rappresentata dal padre, e la Generazione Z, rappresentata dalla figlia, in mezzo l’influencer, la Millennial, e una storia che non intendo spoilerare, ma raccontata molto bene e con maestria. Il film è Genitori vs Influencer di Michela Andreozzi, con Fabio Volo, nei panni del padre, professore in una scuola privata, Ginevra Francesconi, nei panni della figlia, e Giulia De Lellis nei panni dell’influencer, una schiera di comprimari di prima grandezza a fare da contorno, Massimiliano Bruno, Nino Frassica, Emma Fasani, Paola Minaccioni, Paola Tiziana Cruciani, Massimiliano Vado e la stessa Michela Andreozzi.

Ora, difficile parlare senza spoilerare, ci provo, ma la delicatezza con cui Michela Andreozzi introduce la storia familiare dei due protagonisti, padre e figlia, senza soffermarsi troppo sul passato ma lasciando che venga fuori nei momenti giusti, con grande poesia, mista all’atmosfera da comune solidale del presente, il tutto contrapposto a un mondo che si pone come effimero, quello degli influencer, per poi aprire varchi su inaspettate profondità, è davvero unico. Contrapporre cultura a superficialità sarebbe stato un gioco facile, gioco che la mia generazione ha a disposizione ogni qual volta si provi a dire che stare attaccati allo smartphone non è dannoso, o che studiare e stare sui libri non è di aiuto per formarsi, così come, per contro, è facile addossare a noi le colpe dello sfacelo nel quale stiamo precipitando, lasciando la pandemia fuori dalla porta, intendiamoci, il film è stato girato quest’anno ma della pandemia non si fa cenno, parlo dell’inquinamento, di una costruzione di rapporti lavorativi e sociali basati sul potere e sul denaro, tutte colpe che i più giovani tendono a darci, anche a ragione. Qui però Michela Andreozzi compie un miracolo, perché rovescia in continuazione i piani prospettivi, e lo fa non appesantendo il racconto, ma giocando sempre sulla commedia, quindi sulla leggerezza, opera non semplice, il rischio di diventare prevedibili o didascalici fugato a ogni passo.

Il concetto di influencer, che era al centro del mio dibattito postprandiale, viene sviscerato bene, anche fermando su immagine certi meccanismi che ai più potrebbero sfuggire, come viene fermato su immagine la sua volatilità, ma è soprattutto come sia più semplice parlare da un podio, da uno scranno, da un piedistallo, invece che confrontarci con l’altro, che passa dal film, come a volte, se non sempre, giudicare senza conoscere sia la scelta più ovvia quanto quella più sbagliata.

Non ci ho pensato molto a proporre questo film, la sera di Pasqua, perché apprezzo molto Michela Andreozzi, come sceneggiatrice e autrice, come attrice e interprete, come regista. Ho seguito molto quello che fa, nel tempo, mai venendo deluso nelle mie aspettative, quindi non ho mai concentrato la mia attenzione sul fatto che i protagonisti del film, a parte la figlia, Ginevra Francesconi, fossero personaggi che vengono dal mondo della tv più che del cinema, Fabio Volo e Giulia De Lellis. Ma postando un commento volante sulla bellezza del film, era ovvio, non ci ho pensato forse per l’entusiasmo post visione o per la digestione rallentata dall’essermi abbuffato di pizze di formaggio marchigiane fatte da mia moglie, o dalla faraona cotta da mia suocera, non voglio star qui a vantarmi del casatiello che ho fatto io, suvvia, postando un commento volante è arrivato ovviamente il “primo coglione che passa”, cioè il commentatore che neanche è tra i miei contatti ma ci tiene a far sapere non solo il suo pensiero assoluto, ma anche che il suo pensiero assoluto sia figlio di una cultura incredibile, spesso al livello di chi cita Il profeta o Il gabbiano Jonathan Livingston, per capirsi, che ha detto che faticava a credere potesse esserci un bel film con quei due figuri lì, il tutto citando la fotografia di Almodovar e le musiche di Zimmer.

Quindi lo dico ora, passati due giorni e con l’entusiasmo per la visione ancora alto, non è che mi capiti spesso, col cinema italiano, sia messo agli atti. Fabio Volo e Giulia De Lellis, il primo lo conosco bene, la seconda, confesso, so chi è ma nulla conosco del suo curriculum, nel film sono perfetti. Brava Michela Andreozzi a dirigerli? Sicuramente sì, ma resta che loro interpretano molto bene i loro ruoli, quindi, bravi anche loro. Restano due arrivati al cinema per i motivi “sbagliati”? Che cazzo me ne frega dei motivi per cui hanno avuto quelle parti, il film è bello, molto, e racconta uno spaccato intergenerazionale in maniera molto preciso, chirurgico. Non ho mai pensato, durante film, pensa se al posto di Fabio Volo ci fosse stato, che so, Sergio Rubini, o Pierfrancesco Favino, né, pensa se ci fosse stata Alba Rohrwacher o chissà chi, loro erano perfetti nei loro ruoli, e il film era perfetto per farli uscire come bravi attori.

Col che non voglio certo dire che io e Lucia non ci troveremo, forse anche oggi, a fare discussioni lunghissime a tavola, non so perché succede sempre dopo pranzo o dopo cena, discussioni che escludono tutti gli altri, e che finiscono sempre con noi due nelle medesime posizioni da cui eravamo partiti. Ci mancherebbe altro, io continuo a pensare che parlare di catcalling settimana scorsa sia stato un errore, non perché non sia un problema, ma perché abbia distratto dal problema centrale, la legge Zan ferma al senato, e quindi sia venuta comoda a chi la voleva far stare ferma, bravo a usare i social, è evidente, lei continua a pensare che ogni problema è il problema, che la sua generazioni sia vittima dei mali perpetuati dalla mia e che loro siano il tutto, ovviamente sto ricreando qui su pagina le dinamiche di quelle discussioni, non venite a cagarmi il cazzo accusandomi di nulla. Vi consiglio sentitamente di andare a vedere il film Genitori vs Influencer, e se il caso continuare a pensare che Fabio Volo è il male della nostra editoria e Giulia De Lellis una miracolata, su un fatto dovremmo tutti comunque convenire, Michela Andreozzi è una grande regista, e questo un gran film. Così ho parlato, augh.