The Dissident, il documentario sull’omicidio Khashoggi che dobbiamo tutti vedere

Il film di Bryan Fogel ricostruisce l’efferato assassinio politico del giornalista arabo, il cui mandante è il governo saudita. Una visione irrinunciabile. Peccato per la posticcia confezione da thriller. Sulla piattaforma MioCinema

The Dissident

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L’ultima notizia è la denuncia presentata da Reporters sans frontières il primo marzo al procuratore generale della Corte federale di Karlsruhe, contro Mohammad bin Salman e altre figure di spicco del governo saudita, accusati di crimini contro l’umanità, di “persecuzione generalizzata e sistematica dei giornalisti in Arabia Saudita e in particolare dell’incarcerazione di 34 di loro e dell’assassinio di Jamal Khashoggi”.

Mohammad bin Salman, figlio del re Salman, potentissimo principe ereditario dell’Arabia Saudita, è quella stessa figura con cui Matteo Renzi, volato a Riad nel bel mezzo della crisi di governo italiana, s’intrattenne in una discutibile conversazione su improbabili rinascimenti, un caso all’origine di enormi e non sopite polemiche. Ed è quello stesso bin Salman al centro del documentario The Dissident di Bryan Fogel (già Oscar per Icarus), da febbraio disponibile in Italia sulla meritoria piattaforma MioCinema, che ricostruisce dettagliatamente il caso Khashoggi.

Jamal Khashoggi è stato per decenni un giornalista vicino al governo saudita, un “insider”, come lo definisce il direttore delle news di TRT Arabic, Serdar Ataş, uno dei tanti testimoni intervistati nel film. La primavera araba e i fatti di piazza Tahrir nel 2011 lo rendono più critico nei confronti del governo, al punto da costringerlo, diventando la sua posizione sempre più scomoda, a lasciare il suo paese, moglie e figli, riparando negli Stati Uniti. Dove viene assunto dal Washington Post di proprietà di Jeff Bezos, posizione da cui amplifica le sue denunce delle storture del governo saudita. Fino al 2 ottobre 2018, quando mette piede al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul per sbrigare le pratiche per risposarsi. Khashoggi, come è stato ampiamente dimostrato dalle indagini, viene quello stesso giorno ucciso da un commando giunto da Riad e poi fatto a pezzi dentro la villa del console saudita in Turchia per farne sparire i resti.

The Dissident racconta la vicenda seguendo il filo delle indagini della polizia e attraverso l’ausilio di numerosi testimoni, tra i quali individua due ulteriori storie e protagonisti. Una è Hatice Cengiz, giovane fidanzata e promessa sposa di Khashoggi, che aiuta a porre in luce l’aspetto umano di una figura che, accanto al suo eminente ruolo internazionale, resta un uomo costretto a reinventarsi la vita a sessant’anni, tagliando i ponti col passato e la famiglia, ritrovandosi improvvisamente solo, con questa nuova donna che gli restituisce quel sorriso “infantile” che gli amici ricordano così bene.

L’altro protagonista di The Dissident è Omar Abdulaziz Alzahrani, giornalista saudita 27enne emigrato in Canada, che conobbe Khashoggi e lo introdusse al nuovo mondo di internet e dei social, strumento fondamentale per riuscire a fare controinformazione in un paese come l’Arabia Saudita in cui non esiste una stampa libera (come sottolinea Alzahrani, Twitter, che negli Stati Uniti è usato da 2 persone su 10, in Arabia Saudita arriva a 8 su 10).

Quello della rete è un aspetto che il documentario di Fogel racconta con particolare attenzione, specchio delle contraddizioni dell’Arabia Saudita e della accorta operazione di maquillage compiuta da bin Salman. Il quale ha l’immagine pubblica di un riformatore, propugnatore di un ambizioso programma chiamato Vision 2030, inizialmente appoggiato dallo stesso Khashoggi, che ha cominciato a favorire l’emancipazione delle donne, ha introdotto nel paese cinema e musica, combattuto la corruzione.

Tutto, però, al prezzo di un’autentica liberta di informazione, come dimostra, per rintuzzare le voci libere dei giornalisti della rete, la nutrita task force di troll messa in piedi per arginare gli oppositori del governo di Riad. Con l’uso anche dello spyware, Pegasus, che tramite l’invio di messaggi consente di accedere ai dati conservati sul proprio dispositivo. Una pratica, come racconta il film, cui fu sottoposto persino Bezos, che scambiò alcuni whatsapp con bin Salman, alla base della campagna di diffamazione scatenata contro il magnate di Amazon (ed editore di Khashoggi), che portarono, con la diffusione di notizie riservate, al suo divorzio miliardario.

The Dissident ricostruisce puntualmente la natura bifronte di una leadership che sa combinare il volto apparentemente democratico di un governo moderno e tecnologicamente avanzato, con la sostanza cupa e oscurantista di un regime che zittisce violentemente le voci dissenzienti, usa quella stessa tecnologia come strumento di controllo censorio e fa agio sull’enorme potere economico e le amicizie ai massimi livelli, come l’immancabile ex presidente americano Trump.

Lo scenario ritratto da The Dissident, con al centro Khashoggi, è terribile e inquietante. Proprio per questo, pur apprezzando la scrupolosa resa del caso, lascia perplessa la confezione posticcia da thriller politico imbastita da Fogel. La sequenza d’apertura del film mostra grattacieli ripresi dall’alto, musica elettronica ritmata, una fotografia cupa e satura, brandelli di dichiarazioni sensazionalistiche di Alzahrani – “è tutta una faccenda di vendetta… se non funzionano i modi puliti useremo quelli sporchi” – intervallate da altre inquadrature di luoghi, pezzi di telegiornali, in un montaggio insinuante e allusivo.

È un armamentario da film scandalistico di seconda mano, aggravato da effettacci in computer graphic che sporcano l’austera drammaticità d’una storia che parla da sola. E che sarebbe stato meglio far parlare da sola, come dimostrano i momenti di asciutta commozione che vedono come protagonista Hatice Cengiz, obbligata contro il suo carattere riservato a trasformarsi nel simbolo vivente di una vicenda che suona come un allarme per l’intera comunità internazionale. È il limite di un documentario che resta comunque, sappiamo quanto sia abusata questa parola, “necessario”.