Sanremo 2021, prima serata: le pagelle di Michele Monina

Il vincitore è Zlatan Ibrahimovic. Amadeus e Fiorello non raggiungono la sufficienza. I peggiori in gara sono Fedez e Michielin


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AMADEUS 4

Non deve essere facile presentare un Festival in piena era Covid. Tanto più se da mesi lo hai venduto come il Festival della Rinascita, il Festival della Ripartenza, quello che sarebbe stata l’edizione n° 70+1 e non la n° 71, e poi alla fine è tutto un fai il tampone, misura la febbre, metti la mascherina. In più senza manco uno straccio di pubblico sulle poltroncine dell’Ariston (in genere considerati sorta di morti imbalsamati, età media centocinque anni, ma quest’anno rimpianti come fossero le ballerine in perizoma del Carnevale di Rio). Non deve essere facile per niente, del resto se fosse facile non gli darebbero quella barca di soldi e lui non si potrebbe permettere di parlare manco fosse Luigi XIV qualche giorno prima che la testa finisse per rotolare sulle assi di un palco su cui qualcuno aveva montato una ghigliottina. Questo è il Festival Era Covid, e Amadeus ha deciso di presentarlo nonostante tutto, facesse almeno qualche sforzo in più per non far pagare a noi il conto della sua ostinazione, le palle sono due, una volta che si sono rotte del tutto poi è impossibile aggiustarle. Figuriamoci aggiustarle alle due di notte dopo quattro ore di spettacolo scadente e un’ora e poco più di canzoni in gara.

FIORELLO 5,5

A differenza del suo amico di gioventù, Fiorello ha capito che il fumo era girato altrove, quindi ha optato per spostare sulla musica parte dei suoi interventi, lasciando che stesse a Amadeus metterci una pezza sul fronte della conduzione e dell’intrattenimento parlato. Peccato che in gara ci siano ventisei canzoni, con poi ventisei cover e otto giovani, più i tanti, troppi ospiti, ovviamente quasi tutti targati Friends and Partners. Nel senso, è vero che Sanremo è in realtà il Festival della Canzone Italiana, ma non per questo ce le devono far sentire proprio tutte nel giro di cinque giorni. Resta l’impegno stoico, ma cinque ore non le reggerebbe neanche se a casa ci fossimo tutti drogati di brutto, tipo leccare un intero Bolaffi di LSD, che purtroppo non abbiamo avuto a disposizione.

ACHILLE LAURO 2

Non so se si usa ancora, ma quando ero giovane io, quando cioè al Festival di Sanremo cantava gente come Marco Armani o Giorgia Florio, per bollare qualcuno che era tutto fumo e niente arrosto, ma che quel fumo te lo faceva pesare come fosse marmo di Carrara, si diceva “Sei solo chiacchiere e distintivo”. Achille Lauro, mettiamola così, è l’incarnazione di questo principio, un abito senza neanche il manichino dentro. Ne parlano come fosse un artista, ma del resto c’è chi parla di Walter Veltroni come uno scrittore e regista. Zero Assoluto, ma non nel senso del duo di turuturuturu-tù. O per dirla con parole sue, no, non è il glam rock, ma è genericamente il nulla. Un’altra cosa in comune ce l’abbiamo, anche io ho sanguinato sangue dagli occhi mentre cantava, proprio come lui. E grazie a Dio che era in playback.

ZLATAN IBRAHIMOVIC 10

Questa cosa di vedere un borioso spaccone convinto di poter fare tutto quel che gli passa per la testa, uno che tratta gli altri come fossero poveri stupidi, perché lui sa di avere quel minimo di potere che gli permetterà di portare a casa i risultati sperati, uno che magari ha anche fatto qualche numero degno di nota, ma che sicuramente non è in grado di essere definito un fuoriclasse, un campione, scegliete voi la parola che meglio esprima questo semplice concetto, questa cosa di avere uno pagato e strapagato per fare cose che sì, saranno anche complicate, ma a ben vedere le fanno in tanti più bravi e più capaci di lui, gente che sicuramente verrà ricordata nel tempo, sorte che non toccherà sicuramente a lui, questa cosa, in pratica, di vedere Amadeus lì sul palco con un Dio come Zlatan è davvero fastidiosa. Dovevano affidare a lui la direzione artistica e la conduzione, e volendo anche il compito di interpretare tutte e ventisei le canzoni in gara, lo avrebbe fatto come niente fosse, sono disposto a scommetterci su quel che volete.

MATILDA DE ANGELIS 4

Non ho visto The Undoing, la serie con Hugh Grant e Nicole Kidman che ha consacrato l’attrice emiliana al ruolo di star internazionale. Ho però visto, come molti, le immagini della famosa scena negli spogliatoi tratta proprio da quella serie, facendo lo zoom con le dita. Se ora quindi io facessi apprezzamenti estetici, è ovvio, passerei per un sessista propiziatore del patriarcato, peggio, una specie di maniaco che guarda alle donne come oggetti sessuali. Invece è stata chiamata da un direttore artistico uomo che ha scelto le canzoni con una giuria artistica di tutti uomini, che presenta coadiuvato da un intrattenitore uomo, con testi scritti da un gruppo di autori tutti uomini a fare la valletta, nome frutto di decenni di patriarcato che però, temo, tuttora ben fotografi la realtà, per quella sua intervista su Micromega nella quale esterna il suo punto di vista sul pensiero meridiano di Franco Cassano, vero?

Comunque, belle tette, non c’è che dire.

LOREDANA BERTÈ 9,5

Quando ero piccolo mi hanno insegnato che non si doveva abusare della propria forza nei confronti dei più piccoli e i più deboli. Per altro inspiegabilmente, perché ero magrissimo e non particolarmente alto. Resta che ancora oggi, che qualche chilo l’ho messo su, si sarà notato, mi ripeto spesso che approfittare di chi è in evidente stato di inferiorità intellettuale, penso agli haters, è roba da bulli, salvo poi farlo. Comunque, tornando al principio che non si deve troppo approfittare della propria superiorità, esistono delle eccezioni, e grazie a Dio. Uno è Loredana Bertè, settant’anni di rock and roll e sensualità concentrati in una donna e in un repertorio. Lei bullizza i cantanti in gara, e lo fa forte del suo essere di un altro pianeta, tipo quello dal quale arrivava la Barbarella di Jane Fonda, un pianeta nel quale la musica la sanno fare dannatamente bene, ieri come oggi.

DIODATO 6

Vederlo inaugurare il Festival, là dove lo avevamo lasciato, per altro ancora in attesa di poter riscuotere quel successo meritato, ha stretto il cuore. Come ha stretto il cuore sentirlo cantare, la voce tagliente e acuta, empatica. Poi però ha fatto un balletto, solo sul palco, e la magia di colpo è morta, stramazzata a terra, si spera prima di aver visto quello scempio. Un anno fa dicevo che Diodato lo frega quel suo aspetto da prete, ecco, si attenesse a quel copione, la voce da sola basta.

ARISA – Potevi fare di più 7,5

Arisa ci ha più volte dimostrato di avere molteplici personalità artistiche. Ha esordito gioiosamente e giocosamente, con Sincerità, ha incantato con l’empatia nostalgica di La notte, ha convinto col pop d’autore di Controvento e delle belle canzoni scritte per lei da artisti in apparenza a lei poco affini, Cristina Donà in testa, ha poi provato la svolta abbana-raffaellacarrariana, col suo penultimo passaggio sanremese. Quest’anno torna a mettere l’anima a nudo, con quella che è insieme a La notte, firmata dal maestro Giuseppe Anastasi, la sua canzone più bella di sempre. A scriverla un Gigi D’Alessio molto ispirato, che per lei tratteggia un ritratto malinconico, perfetto per la grana della sua voce e per farci apprezzare anche nell’anno dello streaming e delle novità giovanilistiche, una bella canzone melodica. Lei è molto emozionata e saprà farla meglio, ma resta comunque un gigante.

COLAPESCE E DIMARTINO – Musica leggerissima 7,5

Entrati nel cast del Festival come una delle tante realtà da scoprire, almeno per il pubblico di Rai 1, Colapesce e Dimartino arrivano alla settimana sanremese come teste di serie, stando almeno alle principali aziende di scommesse. Questo fatto, indubbiamente, li tradisce un pochino, perché le loro canzone, decisamente di qualità, non esce benissimo dalla loro esecuzione. Ma Sanremo è Sanremo, e anche mostrarsi fragili, volendola dire tutta, è un’ottima partenza. Potrebbero in effetti vincere, nonostante il chiaro rimando a La valigia sul letto, quella di un lungo viaggio, se mi lasci non vale...

AIELLO – Ora 2

Quando ancora non ero venuto a vivere a Milano mi infastidiva molto chi, da Milano, sparava per l’etere parole appartenenti evidentemente a uno slang locale, poco sensato fuori dai confini metropolitani. Mi infastidiva pure chi, parlo di canzonette, usava un accento tipicamente lombardo, sbagliando praticamente tutte le vocali aperte e chiuse. In parole povere, non c’era volta che mi capitasse di ascoltare una canzone degli Articolo 31, ancora J Ax e DJ Jad stavano insieme, che non mi venisse l’orticaria. Cosa significava tarro o tamarro, per dire? Perché veniva citato così spesso, dando per scontato che tutti capissero? Perché metterlo addirittura nel titolo di una canzone (ahinoi, sto parlando di Funky-Tarro)? Certo, poi sono venuto a vivere in Lombardia, il milanese è stato sdoganato a lingua nazionale per chiunque praticasse prima il rap e poi la trap, e io ho iniziato mio malgrado a familiarizzare con certe parole, con certo slang. Immagino quindi non serva che io stia qui a spiegarvi che sì, Aiello, che non è di Milano, è la perfetta incarnazione di tutto ciò che si identifica con la parola tamarro, sia musicalmente che non. Per altro, stonato come una campana stonata.

FRANCESCA MICHIELIN E FEDEZ – Chiamami per nome 2

Si dice “piove sempre sul bagnato”. Si dice “cornuto e mazziato”. Si dice “non c’è due senza tre”. No, quest’ultima non c’entra nulla. Sta di fatto che mettere insieme quanto di peggio la scena pop contemporanea  ha prodotto fin qui non poteva che portare alla peggiore canzone in gara quest’anno, fatta forse la sola eccezione di Random. Fedez, che chiamo Fedez solo perché ho promesso ai miei anziani genitori di usare un linguaggio politicamente corretto e chiamarlo come faccio solitamente Stocazzetto mi farebbe violare quel patto non scritto coi miei (e del resto il titolo della canzone mi invita appunto a chiamarlo per nome), ci aveva provato a salvarci e salvarsi da questo scempio, la Amadeus non ha voluto sentire ragione, sarebbe stato in gara anche se avesse spoilerato tutta la canzone dall’inizio alla fine. Peccato, perché già è un periodo piuttosto difficile, pure una canzone così brutta proprio non ce la meritavamo.

MAX GAZZÈ E TRIFLUOPERAZINA MONSTERY BAND – Il farmacista 6,5

Può sembrare strano quel che sto per dire, ma se veramente Gazzé avesse voluto stupire si sarebbe dovuto presentare con una canzone molto sanremese, una ballata d’amore con rime baciate, il ritornello che si apre alla melodia, l’acuto che consente il cambio di tonalità prima del finale. Un tocco di originalità per uno che ci ha abituato a sorprese a ogni passo, colpi di scena su colpi di scena. Invece, anche stavolta, Max si gioca la carta dello stupore, a partire dall’intro presa da Frankenstein Jr, presentando proprio nell’anno del Covid un brano che profuma di medicinali e di laboratori farmaceutici. Una canzone perfetta per la sua faccia stralunata, incorniciata dal look alla Leonardo da Vinci, la sua zeppola e quel suo modo personalissimo di intendere la musica.

NOEMI – Glicine 7

Sono tra coloro che apprezzano particolarmente Noemi, la sua voce calda, la sua personalità spiccata nell’interpretare canzoni. Fatico e ho faticato, però, a volte, a capire la sua scelta artistica, perché ci sono canzoni che credo non coincidano perfettamente al suo stile, o che se lo fanno non sono poi così immediate. Apparentemente questo potrebbe essere il caso di Glicine, canzone che però, fidatevi, guadagnerà con gli ascolti. Solida.

MADAME – Voce 8,5

Credo che Madame sia brava. Se poi riuscisse a non mangiarsi tutte le parole, tra autotune e una dizione vagamente discutibile, potrei anche confermarvelo tipo cassazione. Si capisce comunque che ha un flow interessante, stavolta a fuoco, ai livelli delle sue canzoni migliori. Per altro, nonostante i suoi diciannove anni appena compiuti, tiene il palco e l’intonazione meglio di artisti assai più esperti di lei. Di tutti gli altri artisti, per essere chiari. Brava davvero. Un talento puro, che vista la giovane età lascia moto ben sperare per il futuro, anzi, per il presente.

MANESKIN – Zitti e buoni 4

I quattro ragazzi di Roma sono molto giovani, tra i più giovani in gara. Sta a loro portare una ventata di energia in questa serata, sono loro a incarnare lo spirito rock di questo Festival. Il che, è chiaro, mi indurrà domattina a correre in uno studio di Tatuatori per farmi incidere sulla schiena tutto il testo di Despacito, perché se questo è rock, è evidente, io mi devo votare al reggaeton e eleggere Takagi e Ketra a miei filosofi di riferimento. Nella speranza che Little Richard compaia stanotte loro in sogno e li costringa a ammettere il loro vergognoso bluff.

GHEMON – Momento perfetto 6.5

Qualcuno, per motivi che magari potrei anche capire, si è eccitato anche sessualmente per una certa nuova ondata di neo soul nel nostro paese, ondata che ha in Venerus il suo venerato maestro. Roba, per intendersi, che ha fatto saltare in piedi chi di colpo si scopriva fan della musica suonata, delle canzoni che durano più di due minuti, di certo occhieggiare alla black music, l’urban, il soul, appunto. Ghemon, che non è un ragazzino, questo lo fa da anni, passando agilmente dal rap a tutte quelle sfumature di black. Certo, se il trucco per vincere Sanremo è essere fruibile e fischiettabile già al primo ascolto, direi che il nostro se la gioca malino. Fortunatamente per noi che la musica la amiamo a prescindere da Sanremo o nonostante Sanremo.

COMA_COSE – Fiamme negli occhi 7,5

I Coma_Cose che non ti aspetti, vagamente californiani, nei suoni, intendo, con chitarre e batterie in evidenza, poco urban lì a fissarsi negli occhi, quelli contenuti nel titolo. Una canzone circolare, solare, squisitamente pop, retrò, da fischiettare domani in strada, non ci fosse la zona rossa un po’ qui e un po’ là. Una canzone che, ci metto le mani sul fuoco, sentiremo a lungo, con immutato piacere.

ANNALISA – Dieci 7

Annalisa è una delle cantanti più intonate e con la voce più educata del nostro panorama musicale. Partiamo da qui. È anche una cantante che, in genere, fatica un po’ a veicolare emozioni, il che, stando alla vulgata, sembra essere un problema di quelli che si fatica a superare senza l’aiuto di uno specialista. Io, personalmente, penso che voce e tecnica, a volte, siano più che sufficienti a fare bene, ma provo per una volta a mettere da parte le mie convinzioni radicate negli anni. Annalisa negli ultimi tempi ha provato a spostare la sua cifra su ambiti musicali decisamente più contemporanei, magari mettendo meno in risalto le sue capacità tecniche, a beneficio di un suono che nel tempo sta provando a definire come suo e suo soltanto. Il brano presentato in gara quest’anno, con quella strofa quasi rap, che lascia poi spazio al cantato cantato nel ritornello, è un gran passo avanti in questo cammino. E a parte tutti questi discorsi Annalisa è brava e la canzone ben si sposta alla sua voce. Brava.

FRANCESCO RENGA – Quando trovo te 6,5

I miei esimi colleghi hanno stroncato in coro il buon Renga, accusato essenzialmente di non essere uscito dal cliché del suo passato e anche di saper cantare bene. Ora, partendo dal presupposto che saper cantare bene dovrebbe essere criterio minimo per essere accolti nella comunità dei cantanti, direi che i miei esimi colleghi ancora una volta non hanno preso al volo l’occasione per dimostrare di essere più bravi a scambiarsi i like tra di loro e correre come ossessi ai buffet delle conferenze stampa che di capire qualcosa, anche minima, di musica. Perché Sempre di Francesco Renga, scritta con Dardust e Roberto Casalino, è tutto fuorché una canzone canonica, alla Renga. O meglio, lo è, perché è al servizio di una voce importante e educata come la sua, certo, ma lo è in maniera assai moderna, le strofe piene di parole e immagini, il ritornello, anzi, i ritornelli, perché di ritornelli ce ne sono due, alla faccia della classicità, assai più essenziali a livello di melodia e di parole, i ritmi che cambiano. Insomma, Renga fa Renga ma fa Renga oggi, nel 2021. O almeno mi auguro lo farà la prossima volta, perché dopo l’una di notte non era proprio in gran forma, va detto.

FASMA – Parlami 5

I rapper sono i nuovi cantautori. Niente disseta come l’acqua. I rapper sono i nuovi cantautori. Non ci sono più le mezze stagioni. I rapper sono i nuovi cantautori. Nessuno ti vuole bene come la mamma. I rapper sono i nuovi cantautori. Quando hai imparato a andare in bicicletta ci metti un attimo poi a ricordarsi come si fa, anche a distanza di anni. I rapper sono i nuovi cantautori. Le amicizie che ti fai da piccolo sono quelle che durano per tutta la vita. I rapper sono i nuovi cantautori, ma ci sono rapper e rapper e cantautori e cantautori. Fasma, per dire, mi sembra che faccia abbastanza cagare.

GAUDIANO 5

Nell’anno con l’età media dei concorrenti in gara più bassa di sempre, parlo dei BIG, ad aprire le danze viene chiamato un giovane vecchio. No, non sto parlando di età anagrafica. E no, non sto provando a difendere una gerontocrazia nella quale, in questo caso l’anagrafe potrebbe anche avere un suo peso, potrei serenamente essere iscritto d’ufficio. Una canzone tristanzuola, per suoni e struttura, seppur decisamente intensa. Tristanzuola non nel senso che vuole infondere malinconia. È triste e basta.

ELENA FAGGI 4

Elena Faggi è decisamente più giovane, come modo di porsi, come sound, come look. E la gioventù, è noto, non è una nota di merito. Impalpabile.

AVINCOLA 4,5

Entra SuperMario, invece è Avincola, che deve aver preso sul serio il fatto che, da Calcutta in qua, i cantanti indie devono per forza presentarsi vestiti come uno che è uscito di casa sbagliando l’accanimento dei vestiti presi evidentemente a cazzo dall’armadio. La canzoncina è carina, leggera e sospesa, un po’ come la sua voce. Ha fatto di meglio. Non che ci volesse molto.

FOLCAST  5

Un po’ di blues dopo questo primo filotto di giovani male non fa. Poi, intendiamoci, il concetto di blues è aleatorio, e comunque in un paese di nani un nano appena più alto delle due mele e poco più direi che sembra un gigante, e se non un gigante un nano più alto degli altri nani. E niente, mi tengo i boomer.

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