Wonder Woman 1984, una favoletta moraleggiante sulle insidie del desiderio

Dal 12 febbraio sulle piattaforme la nuova avventura della supereroina interpretata da Gal Gadot. Edonismo reaganiano e un cattivo che pare Trump, per un film esile che serve una risibile lezione sui valori veri

Wonder Woman 1984

INTERAZIONI: 438

Dopo una travagliata storia di rimandi – la prima data di uscita in sala era prevista addirittura il 5 giugno 2020 – giunge finalmente in Italia sulle piattaforme, dal 12 febbraio, Wonder Woman 1984, sequel del fortunato capostipite da 800 milioni al botteghino (ed esagerate esegesi del suo presunto femminismo). Squadra vincente non si cambia, per cui Gal Gadot veste nuovamente i panni della supereroina creata dalla Dc Comics e alla regia c’è Patty Jenkins, confermata pure per il terzo episodio. Improbabile che il film doppi il successo del predecessore: l’uscita natalizia nelle sale negli Stati Uniti, e pochi altri paesi, ha raggranellato 150 milioni di dollari, notevoli in tempi di Covid, ma certo non rassicuranti per la Warner Bros. che s’è arresa alla distribuzione digitale (in Italia su Amazon Prime Video, Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity).

Wonder Woman 1984 parte dal prologo “mitologico” nell’isola di Themyscira, in cui la futura eroina Diana (da bambina Lilly Aspell) partecipa a una sorta di Olimpiadi delle Amazzoni. È sul punto di vincere la gara, grazie a un piccolo e innocente sotterfugio, ma Antiope (Robin Wright) glielo impedisce, ricordandole il valore dell’onestà e la forza della verità (“Nessun vero eroe è nato dalla menzogna“).

Offerta
Wonder Woman – Gift Pack ( DVD)
  • Il regalo di Natale perfetto per gli amanti del cinema
  • Gift box e fiocco inclusi nella confezione

Quella lezione, un imprecisato numero di ere dopo, è ancora il motivo guida dell’esistenza di Diana, che dopo le peripezie del primo Wonder Woman, la guerra e la morte dell’adorato pilota Steve (Chris Pine) di cui resta eternamente innamorata, lavora allo Smithsonian a Washington. Siamo negli anni Ottanta, impossibile non accorgersene. Basta guardare il sorriso stampato sulla faccia, e ovviamente filtrato da uno schermo televisivo, di Maxwell Lord (il mandaloriano Pedro Pascal), che con le sue fattezze trumpiane promette ricchezza istantanea grazie alla sua “compagnia petrolifera della gente, per la gente”. L’offerta è invitante: “Meritate di avere tutto. Non vi serve una laurea in economia, non vi serve neanche lavorare duro”.

La felicità è a portata di mano, in un’epoca sintetizzata attraverso i simboli dell’edonismo, dove tutti sono vestiti da yuppie arrembanti e vanno in palestra per tenersi in tiro. Maxwell ha fatto i soldi col famigerato schema Ponzi (per i gonzi), però è sull’orlo della bancarotta, gli enormi uffici di rappresentanza angosciosamente vuoti. L’unica sua speranza è in un oggetto magico che, trafugato durante una rapina, è finito al museo per essere studiato. Un’iscrizione posta sulla pietra promette di esaudire il desiderio del suo possessore. Per gioco, Diana e la sua nuova collega, la timida geologa Barbara (Kristen Wiig) esprimono i loro. Diana rivuole Steve, l’imbranata Barbara vorrebbe essere bella, forte e brillante come l’amica. Entrambe le richieste saranno esaudite. Solo Maxwell però conosce il potere illimitato di quella macchina che produce sogni. E una volta impossessatosene, porterà in men che non si dica il mondo sull’orlo della distruzione.

Wonder Woman 1984 gioca sull’ambiguità di senso della data posta nel titolo. 1984 come anno simbolo del decennio che ha promesso successo e felicità, fomentando la corsa smodata verso ambizioni sempre più grandi. Il 1984 però è anche l’anno proverbiale di distopie orwelliane e di apocalissi prossime venture. E la corsa senza limiti verso il “di più sempre di più” che accomuna tutti quelli che entrano in contatto con Maxwell, da gente qualunque che sogna l’auto sportiva (“ma vogliono tutti la Porsche?”) a capi di Stato che pianificano guerre nucleari (un simil Reagan dall’aria non troppo sveglia) non può che ribaltarsi in un incubo. Cui dovrà mettere una pezza Wonder Woman, aiutata da Steve, contro Maxwell e una nuova letale Barbara, trasformatasi nella supercattiva Cheetah e inebriata da un’improvvisa onnipotenza cui non è disposta a rinunciare.

La seduzione del desiderio, e uno specchio che ci restituisce l’immagine della “versione migliore di noi stessi”

Gli anni Ottanta di Wonder Woman 1984 non sono usati come serbatoio postmoderno di citazioni d’epoca cui ammiccare nostalgicamente, quanto piuttosto come il laboratorio che ha dato origine a una filosofia plastificata, individualista e infantile dell’esistenza, in cui qualunque desiderio è legittimo e importano solo ricchezza, popolarità, apparenza (Barbara infatti si specchia continuamente, per certificare la trasformazione da brutto anatroccolo, però umanamente accogliente, a cigno in tacchi alti freddo ed egoista). Una realtà cui solo l’amore, la verità e lo spirito di sacrificio potranno evitare il peggio.

Potrebbe andare anche bene, se non fosse che la lezione morale sulle insidie del desiderio e l’importanza dei valori autentici Wonder Woman 1984 la svolge con la goffaggine di una didascalicità implacabile. Il film procede secondo il principio della massima evidenza e chiarezza, senza ambiguità possibili. Per cui dopo l’esposizione della tesi nel prologo, con la marmorea lezione sulla verità di Antiope, gli anni Ottanta si materializzano attraverso il volto di Maxwell, che ne scolpisce immediatamente l’avidità consumista. E quando appare, Barbara è fin dal primo istante riconoscibile, gli occhiali e la sbadataggine della secchiona imbranata che vorrebbe essere sicura di sé.

La narrazione procede imperterrita, una semplificazione dopo l’altra, uno spiegone dopo l’altro, sino al prevedibile sacrificio esemplare di Diana, che abdica al proprio egoismo per salvare il mondo, trasformato in un batter d’occhio in un eden soffice e beneducato, pieno di bambini che giocano a palle di neve e bellimbusti sentimentali. Wonder Woman 1984 nelle esagerate due ore e mezza di durata mostra una costruzione meccanica e opaca, le ambizioni drammaticamente al di sopra degli esili mezzi narrativi di una favoletta moraleggiante. E alla fine la lezione di buon senso sul valore del limite si trasforma in una parabola quaresimale sulla castrazione del desiderio.