Pezzo Di Cuore di Emma e Alessandra Amoroso è un ecomostro da abbattere

Una ballad piuttosto classica di una bruttezza imbarazzante, nulla a che vedere con le trovate contemporanee dell'autore Dardust


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La storiella dell’albero che cade e fa rumore, quindi tutti se ne accorgono, contrapposta a quella dell’albero che cresce in silenzio, nell’indifferenza generale, è un po’ usurata, credo. E del resto, se provassimo a ipotizzarne un mash-up, così si chiamano quelle fusioni tra canzoni diverse che ultimamente va tanto di moda, da non confondere col mix, se provassimo a ipotizzare quindi un mash-up tra la storiella dell’albero che cade e fa rumore, quindi tutti se ne accorgono, contrapposta a quella dell’albero che silenzio, nell’indifferenza generale, con la storiella dell’albero che se cade nella foresta, senza che nessuno se ne accorga è come non cadesse, e probabilmente neanche fa rumore, ecco, provassimo a ipotizzare quindi questo mash-up, credo ci troveremmo di fronte a un dilemma di quelli che non portano da nessuna parte, quindi lasciamo da parte gli alberi che cadono e quelli che crescono, e proviamo a andare altrove.

Ho una smodata passione per le notiziole, ne parlavo giorni fa, riguardo Ibrahimovic e il giocare coi guanti. Cioè per quella serie di articoli, chiamiamoli così, ma prevalentemente video, non leggo un giornale cartaceo da un tempo abbastanza lungo da permettermi di parlare di giornali solo pensando all’online, che presentano fatti, curiosità, avvenimenti di nessuna rilevanza, semplicemente andando a porre al centro della narrazione l’intrattenimento, spesso intrattenimento futile e vacuo, la bizzarria, l’eccezionalità di un qualcosa che, non fosse lì, non andremmo di certo a cercare e che comunque non ha modo di impattare sulle nostre vite, no politica, no economia, niente di rilevante.

Come dicevo appunto giorni fa, le notiziole in genere si trovano nel colonnino di destra dei siti, dei quotidiani online, in alcuni casi si trovano sotto l’homepage, li devi andare a cercare, ma sono abbastanza evidenti perché li si possa trovare con facilità.

Capita spesso, tra le notiziole, di vedere video stravaganti, anche affascinanti. Una volpe inseguita dai lupi, una balena col proprio cucciolo che passa sotto un ponte, un grattacielo che viene fatto brillare in pieno centro di una città.

Sono stanchino, lo sapete, per cui non farò finta di aver messo lì, in terza posizione, è noto che quando si fanno esempi ci si assesta sempre sul numero perfetto, il tre, quindi non farò finta di aver messo lì, in terza posizione, la conclusiva, ma anche quella più facile cui agganciarsi, il palazzo che viene fatto esplodere, ho usato il termine brillare, che ne è equivalente, perché volevo comunque dare al tutto un connotato glamour, come se una esplosione possa in qualche modo essere glitterata, brillante, non fingerò di aver messo lì il palazzo che esplode in pieno centro, spettacolarmente, per caso, perché non ce l’ho affatto messo per caso, era tutto voluto, è tutto voluto. Il fatto è che, chiunque abbia visto video del genere ben lo sa, un palazzo che esplode, verrebbe forse da dire implode, perché l’esplosivo posto nei punti giusti lo fa accasciare su se stesso, certo in una nuvola di polvere, ma evitando pioggia di detriti e mattoni intorno, siamo pur sempre in città, con gente, palazzi e tutto il resto intorno, ecco quelle immagini sono estremamente affascinanti, incredibilmente affascinanti, al punto che viene da chiedersi, e viene da chiederselo a voce altra, cercando davvero delle risposte, non solo retoricamente, come diavolo sia possibile spazzare via in pochi secondi un grattacielo alto chissà quanto, con chissà quanti piani, un luogo dove abitava qualche migliaio di persone, dove ne lavoravano altrettanti.

Visto il motivo per cui vi sto parlando alberi che cadono, no, non ne sto più parlando ma da lì sono partito, e grattacieli che implodono eviterò di citare, anche en passant, le due torri del World Trade Center che vanno letteralmente in pezzi sotto gli attacchi degli aerei, l’11 settembre, sarei assolutamente di cattivo gusto e in qualche modo, sono sì mosso dal buonsenso ma anche dall’intenzionalità di quello che scrivo, andrei assolutamente a darmi la zappa sui piedi, ma davvero una cosa difficile poi da recuperare.

Un grattacielo che implode è spettacolare, per questo ce lo mostrano con enfasi, quando succede. Per farlo implodere e non fare a pezzi tutto quello che c’è intorno, non causare nuvole di polveri mortali, non causare morte e distruzione, occorre che la seguano e la realizzino professionisti di primo livello, gente che sa dove piazzare gli esplosivi e come gestirne la consequenzialità.

Pensate a quando fanno esplodere un ecomostro, penso a quelli di Punta Perotti, a Bari, mio tentativo un po’ goffo di recuperare all’autogol di aver tirato in ballo l’11 settembre, un ecomostro è una buona carta da esibire, credo, come il parlare di ecologia o di impatto ambientale, avrei magari potuto cercare di spostare la discussione sulla chiusura, causa minor inquinamento, del buco nell’ozono sopra il polo nord, a pensarci bene, comunque, pensate a quando hanno fatto esplodere l’ecomostro di Punta Perotti, a Bari, non è che siano arrivati lì con degli aerei militari e lo abbiano bombardato, sperando di raderlo totalmente al suolo, quando si dice radere al suolo, in genere, si intende distruggere, ma restano macerie a volte capaci di rimanere lì per anni. Io vengo da una città, Ancona, che fino a qualche anno fa mostrava ancora residui dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, certo recitanti e non raggiungibili dalla gente, ma comunque ancora lì. Alcune zone della città, penso alla Cittadella che si trova sotto forma di rocca nell’omonimo parco, è ancora inagibile, da allora, pericolante e quindi assolutamente da tenersene alla larga. La distruzione non portata avanti con oculatezza, chi bombarda vuole creare danni, mica intende eliminare magari per costruire poi qualcos’altro o semplicemente, è il caso degli ecomostri, per ridare modo alla natura di reimpossessarsi di una determinata porzione di territorio. Vi sarà capitato, immagino, viaggiando, di incappare in qualche rudere. Anche non viaggiando, io abito a Milano e ci sono, a pochi passi dal quartiere nel quale abito, dei ruderi di vecchi industrie, alcuni poi finiscono incautamente per diventare location di videoclip, perché i ruderi possono essere estremamente affascinanti, anche questo va detto, per onestà intellettuale. Prendiamo come esempio la villa Ferretti di Castelferretti, lasciatemi pascolare con la fantasia in uno di quei luoghi che sono in qualche modo iconico della mia terra natale. Villa Ferretti sorge sopra il cimitero di Castelferretti, appunto, frazione del comune di Falconara. Chiunque abbia raggiunto Ancona uscendo dall’autostrada A14 a Ancona Nord, ci è passato sotto, lì in cima a quella scalinata costellata di cipressi, sulla sinistra della superstrada, magari l’ha anche notata.

Vecchia abitazione della famiglia che ha dato nome all’intera frazione, ormai da tempo è stata abbandonata, finendo per cadere letteralmente a pezzi. Noi, da giovani, si era soliti andare lì a fare baldoria. Si lasciava la macchina al parcheggio del cimitero sottostante, si saliva su per le scale costeggiate dai cipressi, si portavano delle birre, si accendevano fuochi o si usavano torce, e si passava la serata in un luogo evocativo.

Da tempo la gente diceva che la villa fosse infestata di fantasmi, ovviamente, un rudere, sopra un cimitero, cui si accede passando in mezzo a una doppia fila di cipressi, ovvio che ci sono i fantasmi. Nei fatti i fantasmi eravamo noi, e quando non eravamo noi erano altri ragazzi della zona, stando a quel che si trovava in terra a volte anche tossici, le luci, viste dal basso, sembrano altro, spettri, fantasmi, mostri, creano suggestioni.

Una mia amica di gioventù, Deborah, ci ha fatto su la tesi di architettura, e, vado a memoria, ha ipotizzato che ristrutturarla, come abbatterla, ma suppongo che abbattere un rudere che è però stata una costruzione storica, non sia cosa così facile anche da un punto di vista burocratico, avrebbe avuto costi incredibilmente alti. Dicevo della burocrazia, quando ero appunto giovane, forse più giovane di quando non ho preso a frequentare il rudere di Villa Ferretti, abitavo in piazza Errico Malatesta, mi piace ricordarlo anche per quel suo omaggiare uno dei miei filosofi di riferimento. Il palazzo nel quale abitavo era sorto, grazie a una cooperativa, sopra il luogo dove era nato e cresciuto mio padre. Quel palazzo era stato rovinato dal terremoto del 1972, e dopo qualche anno abbattuto per costruirne un altro. Andando a lavorare sotto terra, per mettere mano alle fondamenta, saltarono fuori delle tombe di epoca picena. Questo causò il blocco dei lavori da parte dell’Intendenza dei Beni Culturali per anni. Se passavi di lì, da piazza Malatesta, potevi vedere una signora di una certa età china negli scavi con un pennelletto simile a quello con cui vedo mia moglie si passa, parole sue, la terra in viso, quel trucco che colora la pelle di scuro, in inverno. Un lavoro certosino, quello dell’archeologa, che però ha bloccato per anni i lavori. Finché le tombe non sono state inglobate nei palazzi, nella mia cantina, per dire, c’era una teca di vetro in terra, dalla quale si vedeva lo scheletro di una mamma, così ci avevano spiegato, con quella di un bambino piccolo. Era successo qualcosa di simile anche per il corso vecchio, Ancona ha tre corsi paralleli, Corso Mazzini, corso vecchio, appunto, Corso Garibaldi, quello della passeggiata, delle vasche, e Corso Stamira, unico dedicato a una eroina locale, quello dove passano le auto, era successo che scavando per Corso Mazzini fossero saltate fuori tutta una serie di reperti antichi, risalenti sia ai tempi dei piceni che dei dori. Questo aveva ovviamente causato un blocco dei lavori, il che, in zona commerciale, aveva comportato non pochi problemi ai tanti negozi presenti. Poi, una notte, quegli scavi sono stati coperti da un neanche troppo preciso strato di catrame, e i lavori sono ovviamente ripartiti. L’intendenza dei Beni Culturali non aiuta il progresso, questa la morale di questa piccola storia nella storia, aiuta te stesso, che il cielo eccetera eccetera.

Tornando a Villa Ferretti, non vivo più in zona da ventiquattro anni, e credo siano passati almeno ventotto anni dall’ultima volta che ci ho messo piede, ma il rudere, sempre più a pezzi, sta ancora lì.

Come stanno ancora lì i tanti ruderi che solitamente riteniamo realmente infestati da fantasmi, per tradizione reale e per iconografia, penso ai tanti che mi è capitato di visitare, non sempre nell’aveolo della legalità, in genere la legge prevede che non si possa entrare dentro ruderi pericolanti, quando per qualche anno, mentre svolgevo il mio lavoro di reporter per Gente Viaggi, ero diventato una sorta di inviato dalla Gran Bretagna. Ne ricordo alcuni, specie nei pressi del Vallo di Adriano, al confine tra Inghilterra e Scozia, di davvero assai belli.

Chiaramente, nel momento in cui un gruppo di ragazzi armati di lanterne e birre o un reporter di Gente Viaggi, che ahimè non esiste più da anni, dovesse farsi male mentre se ne sta all’interno di uno di questi ruderi, un crollo, uno sprofondamento, un qualche pezzo della struttura che ti cade in testa e ti ammazza, il tema della sicurezza dei ruderi, e quindi l’ipotesi di abbatterli diventerebbe centrale, attualissimo.

Certo, nel caso di Villa Ferretti come dei castelli inglesi ci sarebbe la faccenda del valore storico delle costruzioni in questione, torniamo alla archeologa col pennelletto dell’Intendenza dei Beni Culturali, cosa che magari capiterebbe anche con alcune strutture post-industriali, quelle nelle quali girano di straforo i video vicine a dove abito io, ma, per dire, riguardo gli ecomostri abbandonati, nessuno avrebbe dubbio che abbatterli è cosa buona e giusta, anzi dovuta. E che abbatterli è cosa buona e giusta e dovuta ma non così semplice come si potrebbe pensare, al punto che quando poi finalmente succede finiscono nei video pompati con enfasi nei colonnini di destra dei siti, roba spettacolare con la quale intrattenerci per qualche minuto.

Distruggere può essere necessario.

Distruggere può essere spettacolare, molto spettacolare.

Distruggere non è comunque facile.

Anzi.

È vero che un albero che cade, se in presenza di spettatori, è assai più rumoroso di un albero che cresce, anch’esso in presenza di spettatori, nel caso di spettatori che non abbiano nulla da fare, perché ci mette decisamente di più, ma mentre un albero, come un palazzo, per salire su può metterci mesi, anni, a volte per cadere, scomparire del tutto, può metterci secoli, non senza mettere a repentaglio chi si trova a passare da quelle parti, chiedete a quanti si sono trovati il tetto della macchina sfondato da un albero secolare che gli ci è caduto sopra, morto da tempo ma non tagliato prontamente da chi di dovere, anche questo è un fatto che ho letto più volte nel famoso colonnino di destra dei siti.

Lo dico a ragion veduta.

Lo dico anche perché la cosa in qualche modo mi riguarda di persona.

No, non sono uso lavorare nel campo della demolizione, non in senso stretto. Non ho mai abbattuto muri, distrutto ecomostri, cavalcato palle gigantesche, indossando solo un paio di stivali da cowboy, come una Miley Cyrus particolarmente ispirata, chiunque ritenga che la Miley Cyrus di Wrecking Ball non fosse ispirata o anche solo che non sia stata una delle cose più interessanti viste in ambito pop in quegli anni, lo dico senza paura di perdere lettori, se ne vada immediatamente da qui, non prima di essersi preso a sberle da solo ripetendo come un mantra “Io non capisco una fava di musica e di cultura popolare”, tipo Bart Simpson che scrive la frase slogan alla lavagna durante la sigla dei Simpsons, comunque nessuno mi ha visto nudo a cavallo di una palla da demolizione, anche in assenza di un passato da stellina di Disney da distruggere, come capitò appunto a Miley, fino a quel momento per miliardi di persone Hannah Montana, e con in più la scomoda incertezza, parlo di me, di come appoggiare le pudenda su quella palla da demolizione, mica si può correre il rischio che restino incastrate con la catena che la regge alla gru, non ho mai demolito nulla, almeno fisicamente, ma sono anni e anni, diciamo più di venti, che mi sento dire che sono un demolitore, un distruttore, una sorta di Attila abattantuoniano che non lascia dietro di sé altro che violenza e assenza di erba, il tutto condito dalla solita frase, frase che non manca a distanza di oltre venti anni di farmi cadere le palle, fatto che almeno, mai capitasse di dover cavalcare nudo una palla da demolizione, mi faciliterebbe il compito, “è più facile distruggere che costruire”.

È più facile distruggere che costruire, vi rendete conto?

Come se le due cose dovessero necessariamente andare di pari passo.

Come se distruggere avesse meno nobiltà del costruire.

Come, soprattutto, se un lavoro, il mio nello specifico, dovesse comportare la necessità di fare la cosa più difficile, vai poi a capire perché.

È più facile distruggere che costruire, quindi. Partiamo da qui.

Provateci.

Provateci a distruggere, e a distruggere nella maniera che su descrivevo, senza lasciare traccia dei ruderi e dei detriti che quei ruderi comportano. Senza lasciare che nessuno si faccia male, che le strutture intorno subiscano danni. Permettendo, poi, che su quegli stessi ruderi di costruisca altro.

Ma più che altro, provate a spiegarmi perché chi ha demolito Punta Perotti, torno a usare quell’esempio virtuoso lì, seppur ci abbia messo meno tempo, sicuramente non meno perizia e ancora più sicuramente non meno eticità, questo è un passaggio fondamentale, l’etica che ha mosso quella rimozione, provate a spiegarmi perché chi ha demolito Punta Perotti, l’ecomostro di Bari, non sarebbe da lodare con una standing ovation solo perché ci ha messo meno di quanto non ci abbiano messo i costruttori edili a erigere quello scempio.

È una sfida, la mia, provate a spiegarmelo. Siete convincenti, però.

Perché nella narrazione di regime, quella che parte da frasi altrettanto idiote come quelle che circolano nei talent tipo Amici, roba come “la critica deve essere costruttiva”, sembra quasi che distruggere non abbia un preciso valore morale, oltre che un compito sociale di una certa rilevanza. Si costruisse e basta, converrete, verremmo sommersi di tutto, non solo di cose belle, buone o utili.

Ogni tanto qualcuno che distrugga, faccia spazio, liberi dal brutto e dall’inutile, per non dire del nocivo, è fondamentale.

Chi lo fa andrebbe quindi sostenuto, fiancheggiato, si dovrebbe fare il tifo per lui, non star lì a dirgli che distruggere è più facile di costruire. Per altro, fosse così facile, sarebbe pieno di gente che distrugge, mentre io vedo solo costruttori di roba inutile e dannosa, e un mare di lacchè, assai meno dotati di me, pronti a battere loro le mani, sempre che si possa battere le mani stando a quattro zampe.

È uscito il nuovo singolo di Emma Marrone.

È uscito il nuovo singolo di Alessandra Amoroso.

Anzi, è uscito un nuovo singolo, che vede Alessandra Amoroso ospite di Emma Marrone. Produce Dardust. Il singolo si chiama Pezzo di Cuore e Dardust, al secolo Dario Faini, uno dei produttori e autori più di successo oggi come oggi, nell’Italia del pop, lo ha scritto insieme a Davide Petrella, già al fianco di Cremonini e di tanti altri artisti.

La canzone, arrivata dopo circa dieci anni delle rispettive carriere, entrambe esplose a Amici, e dopo altrettanti anni di amicizia, entrambe per altro provenienti dal Salento, lascia anche presagire un futuro tour insieme, o per meglio dire, lascerebbe presagirlo, se oggi fosse possibile ragionare di tour (a proposito, quando è che formalizzeranno il fatto che anche per il 2021 i tour estivi, almeno quelli nelle grandi arene e negli stadi, penso a Vasco, a Tiziano Ferro, a Ultimo, a Cremonini e via discorrendo, salteranno?).

Una collaborazione tra le due era nell’aria, o almeno era attesa delle rispettive fanbase, ora è arrivata. Questo dovrebbe portarle sul palco dell’Ariston come ospiti, Emma a Sanremo ci è andata in gara, due volte, una vincendola, la Amoroso solo in veste di superospite, il coraggio chi non ce l’ha non può darselo da sola, direbbe Manzoni, non Piero, sempre che poi Sanremo si faccia.

La canzone è una ballad piuttosto classica, nulla a che spartire con certe trovate contemporanee di Dardust, penso a Soldi di Mahmood ma anche a quello che ha fatto con Madame e Fibra, Il mio amico, una canzone modernista, anche piuttosto minimale nei suoni, verrebbe da dire, che si pone al servizio delle due cantanti, sarebbe potuta serenamente essere nel repertorio di entrambe anche in assenza del duetto in questione, seppur con le differenze che ne hanno caratterizzato l’evoluzione dalla vittoria di Amici fin qui.

Una ballad pianistica piuttosto piana, “ci ho provato a imparare l’amore”, vagamente federica cambiano, il punto di forza di un testo che è uno scambio tra due amiche che si ritrovano a fare il punto sulle proprie vite, specie sui sentimenti.

Una canzone di una bruttezza abbacinante, annichilente, imbarazzante, di quelle che in confronto Punta Perotti, dai, non era poi così male, è vero, era costruito praticamente direttamente in acqua, rovinava un paesaggio, era oggettivamente antiestetico e catalogabile come obbrobrio, ma mai quanto questa roba qui, una canzone che, la avesse cantata una qualsiasi cantante da Sanremo di quelle che per anni abbiamo visto affacciarsi al Festival salvo poi scomparire giustamente nel nulla, ci avrebbe spinto a chiederci “Ma perché queste si devono presentare al Festival con queste canzoni inutili? Non farebbero prima a provare a costruirsi una carriera seria, invece che provarci con la prima canzoncina che gli capita a tiro?”.

Ecco, io credo che distruggere, in questi casi, sia cosa buona e giusta.

Non solo, credo che distruggere dovrebbe essere incentivato, accompagnato con un tifo da stadio da parte di chiunque ami la musica, applaudito come gesto civile, di quelli su cui anni dopo fanno certi film vagamente epici, un uomo solo contro i mali del mondo.

Pezzo di cuore è un ecomostro.

Non è neanche un rudere pericolante, perché essere una canzone modernista non le dona i gradi di rudere storico, come la Villa Ferretti di cui sopra, non ha mai avuto un valore che ha perso per l’usura del tempo, è nata male e forse non fosse nata sarebbe stato meglio, comunque è il caso di abbatterla senza pietà.

Dubito, per altro, e per quanto io sai piuttosto veloce a scrivere, che gli autori ci abbiano nello specifico messo più di me a buttare giù questo obbrobrio, vanificando anche il dire di quegli stupidi ostinati a dire che distruggere è più facile che costruire.

Voglio vivere in un mondo migliore, e voglio vivere in un mondo migliore nel quale non ci sia spazio per ecomostri come Punta Perotti e come Pezzo di cuore, io faccio la mia parte, voi fate almeno il tifo per me.