Il delirio sanremese non conosce nè riposo nè coerenza e Amadeus non è più convincente

Il Festival si può fare, mentre musei, sale, teatri e concerti patiscono il veto. È il potere televisivo e politico che legittima se stesso, altro che ribellione


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Ancora su Sanremo, visto che la follia aggiunge ogni giorno nuovi capitoli. Ha ragione Marco Moledini (su Dagospia) quando osserva che non ha senso paragonare il Festival a X Factor o ad un qualunque format televisivo visto che trattasi di pubblico contenuto e pendolare mentre la cittadina ligure si gonfia per un mese di protagonisti, comparse, maestranze, fanatici di strada questi ultimi incontrollabili come sa chi Sanremo l’ha bazzicato. La kermesse canterina è un unicum in cui tutto si contamina con tutto e la pretesa di governare la Babele è realisticamente impossibile. Non ha senso neppure ipotizzare uno slittamento di qualche mese, per la semplicissima ragione che la baracca è partita mesi fa e non può arrestarsi più, le conseguenze sarebbero inenarrabili, i costi rovinosi. Dicono: ma il Festival non va proibito, va tenuto in segno di ribellione alla logica concentrazionaria. Ma il punto non è questo, il punto è perché solo il Festival mentre qualsiasi altra pubblica manifestazione deve patire il veto, musei, sale, teatri blindati e inaccessibili. È l’eccezione in questo caso arrogante, irragionevole, è il potere, televisivo, politico, che legittima se stesso, altro che ribellione.
Sono fake opinions, false ragioni e non è più convincente Amadeus che, dopo avere invitato per un anno a rispettare le regole, ad essere prudenti e, come vuole la vulgata imperante in Rai, sacrificarsi per il bene di tutti, adesso minaccia con tratto melodrammatico il ritiro se non si fa come vuole lui cioè coi figuranti all’Ariston, chissà poi perché una platea di pagati anziché paganti dovrebbe risultare più sanificata, più immunizzata. I discografici, che all’inizio sembravano indisponibili, adesso non fiatano, fanno orecchie da mercante e forte è il sospetto che anche la loro fosse pura manfrina, come quella degli stessi cantanti che dopo un anno di ortodossia nel solco dell’allarmismo sanitario di colpo non parlano più o, per usare un gergo malavitoso, non cantano. Meglio l’uovo della partecipazione oggi che la gallina dell’immunità di gregge domani.
Il delirio sanremese non conosce requie e ha le sue ragioni che la coerenza non conosce e la prudenza, volendo, nemmeno: i vaccini non arrivano, i numeri della pandemia, a quanto si sa, restano allarmanti ma non c’è niente da fare, una manciata di canzonette, di rappettari frammisti a vecchie glorie dell’altro secolo deve avere la precedenza su tutto, i 40 milioni di ricavi pubblicitari sono una spiegazione definitiva, indiscutibile; mettici poi l’indotto delle emissioni discografiche, dei concerti se mai si faranno, di un settore già in forte crisi che il Covid ha praticamente schienato.
Stando così le cose, che fare col Dpcm che fissa l’uscita dal contenimento al 5 marzo quando il Festival partirà il 2? facile: la solita soluzione all’italiana, si ritocca il decreto e si anticipa la fine del periodo all’1 di marzo. In cambio, la macchina propagandistica del Festival si sdebiterà con una campagna martellante quanto ipocrita, gli inviti a tutelarsi si sprecheranno, le raccomandazioni a non sgarrare saranno incessanti. Tutto insomma è troppo grosso per poter essere fermato e la prova è il silenzio dei non tanto innocenti politici, solitamente garruli su qualsivoglia questione. Ad eccezione dei tweet del ministro Franceschini, che però sanno tanto di coda di paglia, giusto per salvare la faccia. O magari sono siluri al Salini amministratore delegato della Rai nel segno di quelle lotte intestine e comprensibili solo agli addetti ai lavori che in politica non possono mancare. In compenso parlano i virologi come Crisanti, con poca autorevolezza però perché per questi ogni forma di vita equivale ad un attentato alla pubblica salute, dal Festival musicarello ai 4 amici al bar. Ma ci penserà il PD, cui Crisanti afferma di sentirsi contiguo, a fargli capire che non è il caso.
Parla anche il conduttore e direttore Amadeus che sui social bolla come ignoranti gli apostoli della prudenza ossessiva tra i quali lui stesso fino a ieri. “Qui se non piglio il Covid rischio l’infarto” e si dice pronto ad abbandonare la nave insieme al copilota Fiorello: brivido di terrore, ma hanno già escogitato la soluzione: arriva Conte, ormai libero da altre incombenze e non meno esperto di spettacoli televisivi.
“Resta a bordo, cazzo!”. Ma Ama a lasciare non ci pensa davvero, fa tutto parte della tradizione, Sanremo più scade nella qualità musicale e nell’impatto sugli affari della discografia e più si gonfia di polemiche, di parole, di storie maledette. Il cliché lo vuole “specchio della nazione” e il cliché ha di vero almeno questo, che il carrozzone in riviera rappresenta perfettamente il livello di confusione, di astuzie spregiudicate, di arroganza mascherata da virtù di un Paese che non sa rinunciare alle sue contraddizioni anche sciocche o penose: i più disperati, atterriti all’idea di non poter vedere Fedez e Orietta Berti, i più inferociti tifosi della immunità per il Festival, sono quelli che da un anno non si avventurano fuori casa e se lo fanno si sentono in colpa come ladri, come stragisti. Come a dire: vi alieniamo ma vi diamo la medicina, saremo anche privilegiati, diversi da voi ma lo siamo nel vostro interesse. Perché senza questa Messa cantata di una settimana voi, poveri figli, non avreste più niente, non vi resta di che vivere.