Sanremo 2021, comunque vada sarà un successo

Manca un mese al Festival e devo dire che Amadeus ce la sta mettendo tutta per rendere le proprie visioni realtà. Ci riuscirà?


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Come sempre preferisco mettere qualche giorno tra le notizie e me. Nel senso che preferisco che passi del tempo prima di esprimere una mia opinione su qualcosa che è accaduto, un parere su un fatto di cronaca, un commento su un avvenimento la cui rilevanza, magari, nel mentre è scemato, niente più prime pagine dei giornali, trend topic e affini, ma che ha avuto una certa rilevanza per me e evidentemente non solo per me.

Col che uno potrebbe dire, sticazzi, non è che sapere come la penso sull’articolo della Boralevi su Maurizio Zappalà, ex commercialista che, perso il lavoro per il Covid, si è reinventato come rider e ora guadagna tra i duemila e i quattromila euro netti al mese, facendosi una media di cento chilometri in bici al giorno, quindi mantenendosi in forma come neanche un atleta in vista delle Olimpiadi, della serie, che cavolo studi a fare quando puoi benissimo fare lo schiavo per una classe media che ormai si può concedere giusto il lusso di farsi portare spesa e cena a casa da qualche disgraziato pagato come un raccoglitore di pomodori, i rider questo sono, Maurizio Zappalà escluso, schiavi in balia di caporali, della serie, chi non ce la fa più è perché non ha la forza di volontà di Maurizio Zappalà, oltre che la tenuta fisica di Maurizio Zappalà, soprattutto, chi sta vivendo a stento non ha il conto in banca della Boralevi, oltre che la sua capacità direi unica di palesare una facciatosta senza precedenti nel pubblicare storie di fantasia spacciandole per vere, ecco, chi se ne frega di sapere cosa penso io riguardo questa faccenda, ampiamente dibattuta e ormai messa da parte, nel folder che porta il nome di “notizie inutili divenute virali e presto cestinate”. Ma in genere mi affaccio, come tutti, all’attualità per prendere spunto per andare poi, in quella maniera tortuosa che credo vi sia nel mentre divenuta familiare, e di questo mi scuso, perché immagino il disagio di non provare più fastidio nel leggere frasi lunghissime e poco scorrevoli, voi che avete appreso sin dalle elementari il sacro insegnamento che la sintesi è un valore assoluto, così come la scorrevolezza, l’idea di pensiero unico parte da lontano, quando ancora appiccicavate la gomma da masticare sotto il banco. Quindi, sì, tendo a mettere del tempo tra le notizie di attualità e me, ma se penso che siano notizie che in qualche modo esulino dal fatto in sé, finendo per diventare iconiche o sintomatiche di qualcos’altro, beh, le affronto.

Così è anche oggi.

Avrete saputo che nel 2022 la Capitale Italiana della Cultura sarà l’isola di Procida. La cultura non ti isola, questo lo slogan del progetto legato a Procida che il Ministero delle Attività Culturali e il Turismo ha premiato, eleggendo per altro per la prima volta un paese di diecimila abitanti a quel ruolo.

Nel 2021 è Parma la Capitale Italiana della Cultura, non avendo nel 2020 avuto modo di portare a termine tutti quei progetti che ne avevano decretato la vittoria. Che ci riescano quest’anno è tutto da dimostrare, ben venga comunque che ci si creda e che le venga concessa una seconda chance.

Ora, faccio un discorso delicato, provando a prenderla da lontano.

Pensiamo a Matera Capitale della Cultura Europea nel 2019. Fino al momento in cui è uscita la notizia della vittoria della città lucana nessuno, e credo proprio nessuno nessuno, fatta forse eccezione per chi ne era a conoscenza per strette ragioni di lavoro, aveva idea che esistesse una Capitale della Cultura Europea per così dire itinerante. Era già successo con l’Expo di Milano, credo, a parte quelli di Parigi, che avevano portato alla costruzione della Tour Eiffel, e di Londra, che aveva lasciato in dono il Crystal Palace, credo che nessuno sapesse che questa faccenda degli Expo, quei due casi risalivano all’inizio del Novecento, fossero ancora attivi. Poi Milano si candida, vince, e di colpo sembra che l’Expo sia sempre stata una faccenda cruciale per tutti noi, una sorta di nodo della nostra esistenza. Dicessi che l’Expo non ha avuto ottime ripercussioni per Milano, intendiamoci, mentirei sapendo di mentire, perché è evidente che se Milano, la Milano che ora piange leccandosi le ferite del Covid, è stata per qualche tempo una città viva, una metropoli di respiro internazionale, molto è dovuto ai fondi e alle iniziative giunte in città in quell’occasione. Non fosse finito a dirigere l’Expo, per altro in corsa, non avremmo mai avuto neanche Sala come sindaco, e nel bene e nel male è stato lui, più anche di Pisapia, il sindaco della svolta a sinistra, a guidare questa ascesa, peccato che poi si sia trovato al comando anche nel momento della caduta, andando a fare tutti i passi falsi che, nei mesi successivi, non ho mancato di raccontare. Ultimo, ma è faccenda estetica più che di contenuti, la foto postata sui social nei quali si fa ritrarre a tavola, pronto a un frugale pasto a base di michetta e un goccio d’olio, con un mandarino già sbucciato pronto da essere mangiato con una forchetta, debitamente appoggiata sul piatto. Il mandarino con la forchetta? Poi uno dice che non ce la possiamo fare…

Comunque fino a che Matera è diventata Capitale della Cultura d’Europa nessuno si era filato di pezza questo incarico, salvo poi star lì a parlarne per mesi, come se di colpo Matera dovesse diventare davvero una città centrale nella cultura del continente. Che le faccende siano andate diversamente credo lo abbiamo visto tutti, sta di fatto che anche lì sono arrivati investimenti, si sono fatte cose, si sono apportate migliorie. Sono stato a Matera a ridosso dell’inaugurazione di quell’anno speciale, ho tenuto un TedX il 14 dicembre 2018, davvero a pochi giorni dall’inizio di quella che molti pensavano sarebbe stata una incredibile avventura, e a parte l’evidente entusiasmo locale, ho visto come stessero tirando a lucido la città, ho percepito una voglia di crescita che, quando ci ero capitato in vacanza un paio di anni prima, non era neanche vagamente ipotizzabile.

Tornando alla faccenda della Capitale Italiana della Cultura, non fosse stato per il rinnovo tacito dell’incarico anche per il 2021, non avrei mai saputo che a detenere questo ruolo fosse Parma, e non ci fosse stata la mia città, Ancona, la mia città natale, sia chiaro, tra i dieci finalisti, dubito avrei saputo che era in ballo il ruolo per il 2022.

Intendiamoci, il fatto che ci fosse Ancona mi è arrivato da parte dei tanti contatti social, sindaco e assessore alla cultura compresi, non da un mio qualche coinvolgimento dalla cosa, lo dico per fugare dubbi sul fatto che il mio discorso a riguardo sia in qualche modo viziato da un qualche conflitto di interessi. Certo, il non essere coinvolto, dirà qualcuno, potrebbe a sua volta viziare il mio ragionamento, della serie “ti hanno tenuto fuori, parli per risentimento”, ma direi che se siete tra quanti mi leggono abitualmente vi sarà piuttosto chiaro come io viva la mia condizione di esilio in terra Lombarda come una condizione, appunto, di esilio, me ne sto lontano dalla terra nella quale sono nato e nella quale, grazie a Dio, ancora vivono i miei anziani genitori, i miei fratelli, i miei amici di vecchia data, impossibilitato a tornare a suo tempo perché di terra avara di possibilità si tratta, e di terra molto vittima di conventicole e nepotismi, conventicole e nepotismi che mi sono sempre rifiutato di provare a forzare, anche potendo forse farlo, e al tempo stesso conscio che una città chiusa verso che non è parte di certi giri, seppur suo figlio, cosa mai potrebbe fare per ambire a un ruolo centrale a livello nazionale o internazionale?, e io ho sempre avuto la necessità di confrontarmi con l’altro, aprire lo sguardo all’orizzonte, trovare un punto di contatto col mondo reale, non con quello che in maniera miope mi ero raccontato e mi avevano raccontato come il solo mondo possibile.

Quindi, no, non ho un conflitto di interessi con Ancona, candidata al ruolo di Capitale Italiana della Cultura 2022, sconfitta da Procida, e no, non nutro risentimenti verso la città dalla quale me ne sono dovuto andare in esilio ormai ventiquattro anni fa, terra matrigna verso la quale nutro una nostalgia forse idealizzata proprio dalla distanza che ho posto tra me e essa, ma al tempo stesso, in quanto matrigna, nei confronti della quale non ho ormai da tanto, troppo tempo nessun tipo di affetto e aspettativa.

Nei fatti pochi giorni fa ci sono state le audizioni con la commissione istituita dal Ministero, ognuna delle dieci città, tra le altre anche L’Aquila, Bari, Taranto e Trapani, tanto per citare le più popolose, a presentare il proprio progetto, la propria squadra di lavoro, poi la scelta finale, arrivata a distanza di un paio di giorni.

Vincitrice, ripeto, Procida.

Fino qui, direbbe la voce narrante de L’Odio di Matthieu Kassovitz, tutto bene.

Non entro nel merito dei progetti, conosco quello di Ancona, incentrato sul concetto di Altro, lo conosco perché alcuni dei miei amici di vecchia data, appunto, mi hanno mandato del materiale a riguardo, in quanto coinvolti in prima persona, e seppur io ritenga che appunto l’essere lì impedisca a molti di capire come la città venga percepita all’esterno, la sua non centralità, la sua trasparenza e invisibilità, addirittura, la sua endemica chiusura verso l’esterno, fatto che rende la scelta dell’Altro come tema portante quantomeno singolare, credo ci fossero delle buone idee. Buone idee che vedevano coinvolto un numero di persone nei confronti dei quali in parte non nutro stima, ma questa è faccenda che suppongo poco abbia a che vedere con la sconfitta nei confronti di Procida, non ero nella commissione votante, idee che, questo ho letto nei post di chi quel progetto ha presentato, dovrebbero comunque avere uno sviluppo a prescindere dalla vittoria, seppur, suppongo, con i limiti che non poter usufruire dei fondi che la vittoria avrebbe portato.

Fin qui, quindi, anche fin qui, tutto bene.

Poi però ho letto i commenti di parte dei miei ex concittadini, e soprattutto ho letto la prima pagina del giornale più diffuso localmente, quel Corriere Adriatico nei pressi della cui redazione abito nelle settimane che ogni anno passo in città, e con il quale ho più volte collaborato, scrivendo per loro articoli e trovando ospitalità per quel ruolo di intellettuale, immagino che nei fatti dovrei aggiungere la parolina pop tanto per non passarci da supponente, per quel ruolo di intellettuale pop che nel mentre sono andato a ricoprire e che per ricoprire il quale sono dovuto andarmene in esilio a Milano.

Scrivo questo, quello che avete già letto e quello che state per leggere, perché ci terrei con una certa ostinazione a chiarire che sì, sono di Ancona, lo scrivo ogni volta che posso scriverlo, parlo di Ancona assai più di quanto non parli di Milano, ci ho ambientato buona parte della mia narrativa, in Ancona, e comunque ne parlo spessissimo anche in questa sede, ma sono un anconetano in esilio, che quindi non ha evidentemente troppi punti in comune con una mentalità molto radicata in loco, perché quando ho sentito gente che si lamentava, contro Franceschini, nel caso fosse tra quanti simpatizzano col sindaco e faceva il tifo per una vittoria, contro sindaco e assessore, tra quanti invece non simpatizzano con loro e speravano in una sconfitta per potersi poi lamentare, usando come clava per colpire l’uno o gli altri, pensieri quali “come si fa a far vincere un’isoletta di diecimila abitanti contro una città come Ancona con la sua storia millenaria alle spalle?”, oppure “loro hanno vinto perché avevano Gigi D’Alessio e Toni Servillo come testimonial, noi Manuel Agnelli e qualche altro sfigato”, o anche “il Pd che ha usato il modello Ancona come esempio virtuoso nulla ha mosso in sede ministeriale per far vincere Ancona” e per chiudere, cito proprio il titolo in prima pagina del Corriere Adriatico, diventato virale sui social certo non in chiave filo-anconetana, “Battuti da Procida: si può?”, ecco, io, personalmente, ho provato una dose quasi letale di disagio e imbarazzo, rimpiangendo, è durato poco, questo mio essermi fatto cantore a distanza di quella terra. Ribadisco quanto scritto in un mio libello di qualche anno fa, Seppellite il mio cuore sul Monte Conero, quando sarò morto, da vivo preferisco starmene altrove.

Fermo un attimo questo discorso.

Ha un senso quello che faccio quando procedo con queste sterzate violente, non inarcate le sopracciglia cercando ora un senso che vi sarà chiaro solo fra poco.

Vicino a Milano, diciamo a un’oretta da Milano, ci sono tre posti che hanno sempre colpito la mia fantasia. Tre luoghi che chissà quando potrò andare a visitare, ahimé, discorso ancor più valido per Ancona, sia chiaro, dove ho i miei cari.  Ma di Ancona al momento non sto più parlando. Vicino a Milano, diciamo a un’oretta da Milano, ci sono tre posti che hanno sempre colpito la mia fantasia. Per sempre intendo da che io ho messo piede per la prima volta da queste parti, ventiquattro anni fa, come ho più volte avuto modo di sottolineare, mi sono trasferito quassù quando ancora non ci ero mai venuto, neanche di passaggio.

I tre luoghi sono Consonno, Crespi D’Adda e Grazzano Visconti, e mi hanno sempre colpito per ragioni che in qualche modo mi spingono a metterli nello stesso discorso, seppur abbiano tra loro differenze notevoli.

Si tratta di tre piccoli borghi, chiamiamoli così, il primo in provincia di Lecco, il secondo di Bergamo, il terzo di Piacenza, in Emilia, che in qualche modo devono molto all’azione di un singolo uomo, a loro modo tre visionari.

Nel caso di Consonno, si tratta di un paesino sulle prealpi lombarde sopra il Lago di Lecco che negli anni Sessanta tale conte Mario Bagno acquistò da due famiglie locali e, dopo aver abbattuto la quasi totalità degli edifici presenti, sul cui terreno fece costruire quello che ai suoi occhi era una specie di Paese dei Balocchi, o piccola Las Vegas che dir si voglia, un paesino, quindi, che presentava non solo un albergo di lusso, l’Hotel Plaza, e ristoranti assolutamente fuori da ogni logica, ma anche costruzioni per così dire, esotiche, come un minareto, tuttora considerato iconico del luogo, una pagoda orientaleggiante, che per altro ospitava un cannone, o un castello medievale, passando per campi sportivi, balere e altre amenità.

Una visione, quella del conte Bagno, che non ha tenuto conto delle caratteristiche geologiche del territorio, i visionari non sempre sono pragmatici, infatti due frane, a metà anni Sessanta e Settanta, ne decretarono la fine, in entrambi i casi fango e detriti distrussero la strada che portava a Consonno dal vicino paese di Olginate, a dare la mazzata finale, una volta che tutte le strutture verranno abbandonate nel 2007, ultima in ordine di tempo una casa di riposo sorta al posto dell’Hotel Plaza, arriverà un megarave con oltre mille partecipanti, con tutte le strutture coperte di graffiti.

Oggi Consonno è un paesino fantasma, non troppo diverso, per intendersi, da quella che è stata la location, anche quella frutto di una visione, però di una visione altamente artistica, di Dismaland, la Disneyland malata creata da Banksy tra l’agosto e il settembre del 2015 nel Somerset, un parco tematico non adatto ai bambini, per dirla con l’artista di Bristol, mostra dalle parvenze di Luna Park, perfetta rappresentazione di quelle che sono le storture del mondo occidentale, dai barconi radiocomandati pieni di migranti alla principessa morta su una carrozza, passando per i poliziotti in tuta antisommossa che occupano le aree nevralgiche, peccato averlo visto solo attraverso le foto, mi ripeto spesso.

Crespi D’Adda, invece, è un villaggio operaio frazione del comune di Capriate, sorto nel 1877 per volontà di Cristoforo Benigno Crespi, riconosciuto dall’Unesco come il villaggio operaio meglio conservato nell’Europa Meridionale. Ancora visitabile, a Consonno, in teoria, è fortemente sconsigliato,  camminando per Crespi D’Adda, villaggio che porta il nome del suo fondatore, visionari sì, ma anche vagamente megalomani, è un po’ come essere proiettati in certi romanzi Dickensiani, seppur in assenza di fuliggine da respirare e di operai sfiniti che tornano a casa da turni massacranti.

Grazzano Visconti, infine, è un borgo che sorge come frazione del comune di Vigolzone. Nei pressi del Castello che porta il medesimo nome, costruito nel Settecento, agli inizi del Novecento Giuseppe Visconti di Modrone fece realizzare un borgo in tutto e per tutto simile ai borghi neo-medievali, comprensivi di botteghe artigiane, abitazioni d’epoca, locande e via discorrendo. Andarci a fare una passeggiata è un’esperienza surreale, perché si è di fronte a qualcosa che si sa essere finta, ma che ai nostri occhi appare vera, come credo succeda con quei villaggi che vengono eretti per fare da sfondo ai film western.

Mario Bagno, Cristoforo Benigno Crespi, Giuseppe Viscondi di Modrone, quindi, tre visionari che hanno provato, con successi alterni, a rendere le proprie visioni realtà.

Chiaramente non posso pensare che quello che questi tre uomini, certo non tutti baciati dalla medesima fortuna, hanno realizzato sia realizzabile anche in una città di medie dimensioni, un capoluogo di regione, per di più un capoluogo di regione che si affaccia sul mare e che ha in qualche modo anche un ruolo di porta d’Italia verso i Balcani, ma credo che quello che da troppo tempo manca nella mia città sia proprio una visione, e una guida che a una visione provi a dar seguito.

L’idea di Altro alla base del progetto proposto da Ancona per la candidatura a Capitale Italiana della Cultura 2022 sarebbe stata perfetta, non fosse che l’altro a cui hanno fatto riferimento è, come da che ne ho memoria, altro ma contiguo, strettamente legato, radicando quel senso di chiusura che all’esterno è caratteristica principale della città, invece che provando a aprirsi nuovamente per andare a riconquistare un’aura cosmopolita che non gli appartiene più da secoli. Essere chiusi a riccio, per altro dopo essersi resi irriconoscibili agli occhi altrui, e essere convinti di stare al centro dell’attenzione, rilevanti, è credo l’errore fatale che è stato commesso, a parte la scelta di un font imbarazzante per cristallizzare il tutto, lasciatemi scherzare un po’ su un tema che in fondo mi vede semplice spettatore, neanche troppo coinvolto sentimentalmente.

Certo, l’idea di essere in qualche modo a quella mentalità e anche a quelle sguaiate proteste, lo confesso, mi inquieta.

Come invece mi diverte la ciclica proposta da parte di una porzione neanche irrilevante della società civile locale, mai quella che si trova da sempre a occupare i ruoli nevralgici, va detto per onestà intellettuale, di scendere in campo per andare a proporre mie istanze riguardo alla cultura della città. Non vivo in Ancona da ventiquattro anni. Non credo tornerò mai a vivere in Ancona, almeno in questa vita. Ci passo le vacanze, ma il fatto che io sia andato più volte a Cuba non mi spingerebbe certo a candidarmi per eventuali ruoli amministrativi nell’Isla Grande. Certo, io avrei potuto chiamare il mio amico Gigi D’Alessio, soffiandolo a Procida, o Vasco, o buona parte degli artisti pop italiani, tornando in città come fossi l’Havel del post-caduta del muro di Berlino a Praga. Magari prima o poi mi candiderò, già mi immagino la campagna elettorale più glamour di sempre, tutta comizi cantati e tappeti rossi.

E a proposito di tappeti rossi e città fantasma, ormai manca circa un mese, poco più a Sanremo, città che solitamente durante il Festival diventa il corrispettivo di una bolgia infernale, quindi molto piena di gente che si diverte e si assembra, uno sull’altro come immagino si stia all’inferno, e che quest’anno credo si presenterà più come la Consonno attuale, priva di vita e con un vago retrogusto di quel che sarebbe potuto essere ma non è stato. L’idea della nave bolla è giustamente finita nel cestino della spazzatura, anche se a me l’idea di pensare al pubblico che alle tre di notte se ne ritornava a bordo, tutti assembrati e infreddoliti sulle lance che dal porticciolo si dirigevano verso la Costa Crociere faceva parecchio ridere, e tutti i capricci di Amadeus sembrano destinati a naufragare esattamente come una di quelle lance. L’idea di rinascita, ripartenza, ottimismo, onestamente, è al momento schiacciata dalle incazzature di chi non ne farà parte, dagli operatori del mondo dello spettacolo ai tanti giornalisti che non avranno asilo nel numero selezionato ammesso alla Sala Stampa, e anche quelli ammessi, penso proprio ai giornalisti, costretti a stare in una Sanremo fantasma, ristoranti e alberghi chiusi per decreto, figuriamoci se un governo serio come il nostro farà una deroga proprio per il Festival, la Sala Stampa aperta solo il tempo di fare la conferenza delle 12:30 e per il resto in camera d’albergo a fare la muffa, non credo che siano proprio felicissimi. Forse era il caso di slittare in avanti, come hanno fatto Olimpiadi e Europei, o era il caso di mettere da parte l’idea di un Festival normale e puntare decisamente altrove, non incistarsi sulla presenza del pubblico, quindi, ma trovare soluzioni originali, parliamo di spettacolo e arte, ci saranno buone idee da sviluppare, no?

Anche qui, manca proprio la volontà di lasciarsi andare a una visione, anche se almeno a megalomania Amadeus non sembra avere nulla da invidiare a Bagno, Crespi e Visconti di Modrone.