Il Festival di Sanremo si farà, perchè per milioni di euro di pubblicità niente e nessuno potrà fermare la Rai

Lo spettacolo deve continuare, è quasi tutto pronto e tutto sa già di ridicolo, comico, assurdo ma reale


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Una delle regole del bon ton giornalistico sconsiglia di ricordare al lettore “te l’avevo detto”: per cui non gli rimembreremo che heri dicebamus del Festival di Sanremo che si farà a dispetto dei santi, degli infetti e della prudenza perché per trenta o quaranta milioni di pubblicità la Rai sfiderebbe pure la peste nera del Trecento; e poco importa se tutto il resto è noia da lockdown: la baracca in Riviera è partita da mesi e nessuno al mondo può permettersi di congelarla. Così assistiamo alle trovate più indecenti: prima la nave da diporto, ma soprattutto da deporto, deportazione del pubblico immunizzato da trasportare all’Ariston: trovata vagamente preoccupante, appassita senza spiegazioni. Ma niente paura, ce n’è subito un’altra, il pubblico dell’Ariston sostituito da figuranti (a pagamento, precisa l’organizzazione senza sospetto di ridicolo), pietosamente chiamati “claqueur”. Non che cambi granché, diciamo che stavolta le cose sono più sfacciate, più evidenti nella loro inverecondia: purché costituiti – i claqueur – da coppie stabili, insomma chi convive o almeno si spupazza abitualmente può entrarci all’Ariston, i legami da una botta e via invece no, sono banditi. Chissà come proveranno la routine di letto, quali patentini saranno richiesti, quali tamponi.
Niente galleria, solo platea piena a metà e imbavagliata tutta: sai che colpo d’occhio, il pubblico mascherinato integrale: il disgraziato regista dovrà fare miracoli per far sembrare il teatro ricolmo come non sarà. E l’orchestra? Tappezzati anche loro: violini, timpani, fiati, anche il direttore con il suo bravo lacerto di carta da parati sul muso: come si fa a suonare così, Dio solo lo sa. E i cantanti? Che fanno, arrivano sul palco e si sfilano la mascherina, finiscono, s’inchinano, se la rimettono e spariscono? O si cantano sotto? E i bravi presentatori? Amadeus col suo nasone avrà bisogno di una XXXL. E gli ospiti? Le maestranze, dietro lo show? Ne sgorga una edizione grottesca, più tragica che comica, all’insegna del motto, mai così ruffiano, “lo spettacolo deve continuare”. Ma quale, santo cielo, quale se non c’è spettacolo, solo una lugubre, tetra liturgia della paura e dell’isteria? Non si fa un Festival in queste condizioni. Non si fa niente. Ma, come dice Gordon Gekko, è sempre una questione di soldi, tutti il resto è conversazione. Anche sanitaria, ma conversazione. Per dire parole che non fanno denari, che vengon via per niente. Dicono: e se qualcuno si ammala in corso d’opera, come, dove lo facciamo cantare? Dalla stanza d’albergo, in streaming? Blocchiamo tutto? Facciamo finta di niente? I giornalisti, per l’occasione contingentati e requisiti al Palafiori? E i claqueur, perché dovrebbero essere immuni proprio loro, che cambia da un pubblico “normale”? E perché solo l’Ariston dovrebbe assumersi certi rischi mentre il resto del circuito teatrale resta ibernato?
Parole, parole, parole. Come quelle, è facile prevederlo, dei cantanti che sappiamo come sono fatti: ribelli d’ordine, rivoluzionari per la pagnotta, sovversivi coi carabinieri. Quest’anno più che mai Sanremo sarà un unico, infinito, estenuante inno al pandemicamente corretto: vaccinatevi, mascherinatevi, non uscite da casa (voi: noi possiamo, per noi e solo per noi è questione di vita o di morte, cioè soldi), non disturbate il governo che sta lavorando per noi, non siate impazienti, restate tappati a guardarci, portate pazienza, non fate pazzie. Accettiamo scommesse: non uno rinuncerà alla liturgia ipocrita con cui insaponarsi una coscienza non proprio di bucato. E si capisce: Sanremo è anche questo, è messaggio non tanto subliminale, propaganda di regime, orientamento massiccio del pensiero popolare.
Pare che quest’anno nella cittadella saranno vietati gli assembramenti, niente palco a piazza Colombo, niente fanatiche davanti al teatro 18 ore al giorno armate di telefonino, sbirraglia dura e incazzata pronta a disperdere, il raddoppio della popolazione, da cinquanta a centomila per la settimana dall’1 al 7 marzo, contenuto e disperso. Ma ci sarà, perché Sanremo attrae mosche cocchiere, parassiti, arrivisti, sono parte del circo, è l’animazione cafona e disperata che rende unico il Festival. Tutto molto squallido, a volerlo vedere, ma tutto inevitabile. Alla fine diranno che sarà stata una impresa eroica, coronata dal successo. Sarà, invece, il penoso piegarsi a logiche spregiudicate alla faccia dei minima moralia che valgono per chi guarda e paga, guarda e tace, guarda e plaude. Sarà la doppia etica di chi, dopo un anno concentrazionario per tutti, passa sopra ad ogni rispetto, scrupolo, senso di giustizia “perché Sanremo è Sanremo”. Cioè noi siamo noi, la sagra dell’Inequitalia. Sarà un Festival impossibile, ma vero. Brutto e impossibile, improbabile, assurdo, ma reale. Pare che il bando per i figuranti o claqueur sia già invaso da raccomandazioni, segnalazioni politiche, figli di un cognome o di una mignotta. Perdonateci se avremo ragione.