Pieces Of A Woman, su Netflix il melodramma sulla maternità negata con Vanessa Kirby

Dal 7 gennaio esce direttamente sulla piattaforma il film di Kornél Mundruczó, storia d’una donna che partorisce una bimba nata morta. Un film effettistico, dal messaggio troppo esplicito. Coppa Volpi a Venezia per la Kirby

Pieces Of A Woman

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Pieces Of A Woman, da oggi su Netflix, è il primo film in lingua inglese di Kornél Mundruczó, che s’era fatto notare con un suo precedente film passato in concorso a Cannes nel 2017, il controverso Una Luna Chiamata Europa, tentativo maldestro di rideclinare un tema urgente come l’immigrazione clandestina in una chiave poetica e persino fantastica, col difetto di dire troppo e troppo didascalicamente.

Che sono più o meno i limiti anche di Pieces Of A Woman, in concorso all’ultima coraggiosa Mostra di Venezia in era Covid, nel quale ha ottenuto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione a Vanessa Kirby, la principessa Margaret della serie The Crown con, nel curriculum, anche un episodio di Mission Impossible e uno di Fast & Furious.

Qui non si potrebbe essere più lontani dall’action, in una storia che ruota intorno al tema della maternità e del lutto, scritta da Kata Wéber ispirandosi a una storia simile vissuta da lei e dall’allora marito Mundruczó. A Boston Martha (Kirby) aspetta una bambina insieme al compagno Sean (Shia LaBeouf, l’attore al centro di una bufera dopo le accuse di abusi e molestie rivoltegli da FKA Twigs e altre donne, che hanno spinto Netflix a rimuoverlo da tutti i materiali promozionali del film). La coppia ha deciso per il parto in casa. Il travaglio però si rivela complicato: l’ostetrica Eva (Molly Parker) riesce comunque a far nascere la piccola, le cui condizioni però peggiorano quasi istantaneamente, provocandone la morte.

Contrariamente a quel che potrebbe sembrare, e nonostante una fase finale da legal thriller con il processo contro l’ostetrica, Pieces Of A Woman non vuole essere un film a tesi pro o contro il parto casalingo, bensì il tentativo di ricomporre i frammenti di una donna passata attraverso un’esperienza terribilmente traumatica, che naturalmente coinvolge il mondo che ruota intorno a lei, dal compagno alla figura carismatica della madre Elizabeth (interpretata da un’attrice di gran classe come Ellen Burstyn).

Prima dell’apparizione dei titoli di testa, il prologo racconta con minuziosità quasi insostenibile il parto, in piano sequenza e con camera a mano asfissiante, vicinissima ai corpi e al loro patimento fisico ed emotivo. Nonostante la potente impennata drammatica però, Mundruczó sembra non credere fino in fondo alla forza intrinseca della vicenda, e nello svolgimento del “dopo” affastella sin troppo temi: le vecchie dipendenze del marito (ex alcolista), i suoi tradimenti, il difficile rapporto tra una madre altoborghese che sognava grandi cosa per la figlia, e Martha che l’ha delusa scegliendo un uomo rozzo di una classe sociale inferiore. Fino a un lungo, stonato monologo di Elizabeth che scava in un passato che ruota intorno alla persecuzione antiebraica nazista.

A dispetto dell’impaginazione visiva elegante, Pieces Of A Woman cerca un’alta temperatura melodrammatica, che non si risparmia situazioni a effetto e prevedibili dinamiche familiari con recriminazioni esplosive. Così il film assume una cadenza esageratamente marcata, ricorrendo inoltre continuamente a simboli e metafore che rendano il messaggio quanto più esplicito possibile. Senza alcuna ragione Sean, guardando un quadro in cui è ritratto, comincia a raccontare la storia del crollo nel 1940 del Tacoma Bridge: “Ogni solido ha una sua frequenza oscillatoria. Se combacia con la frequenza esterna c’è risonanza. A volte la risonanza è talmente forte da far crollare un ponte intero”. Ed è fin troppo ovvio che qui si sta parlando di Sean e Martha e di ciò che sta loro accadendo.

Persino una conversazione apparentemente casuale sui White Stripes, il duo musicale dei primi anni Duemila composta da un lui e una lei che erano marito e moglie fingendo però di essere fratello e sorella, rimanda ad altre finzioni familiari. Come scontata è l’improvvisa passione botanica della donna, che ha bisogno di far nascere piante dai semi che coltiva in casa. Ed è più o meno tutto così, sino alla parte processuale che, tra espedienti di sceneggiatura emotivamente ricattatori (che non riveliamo) e dichiarazioni in tribunale, tradisce il bisogno di Pieces Of A Woman di apporre etichette esemplificative dappertutto, secondo una modalità tanto stucchevole quanto poco rispettosa dell’intelligenza dello spettatore. Ne esce un film scolastico, che possiede la forma ma non la sostanza del bruciante melodramma che vorrebbe essere.