Napoli non c’entra, il gran casino senza tempo dove luci ed ombre si combattono e nessuno vince mai veramente, anche se la tenebra è pesante, disperante, questa volta è solo quinta, è scena. Perché la brutta storia del rider aggredito, pestato da sei balordi poteva capitare in qualsiasi angolo del mondo ingiusto che i poveri li condanna sempre più al ruolo di poveri. Però con lo slang dell’inglese commerciale e ipocrita, che suona meglio. Lo chiamano rider per non dire fattorino in bicicletta e già che uno a 50 anni debba pedalare sotto le intemperie di ogni stagione, con paghe da fame nera, per mantenere una famiglia, è inverecondo. Ma Gianni Lanciano non si lamentava e non perdeva il cuore. Non lo ha perso neppure la notte lurida e tempestosa che è stato raggiunto da ragazzini tanto più fortunati e annoiati: lo hanno circondato, insultato, preso a pugni, a calci, gli hanno sottratto il motorino, unico capitale di Gianni, gli sono passati sopra con la ruota, gliel’hanno rubato.
Li offendeva troppo quell’uomo carico di fatica, di povertà e di dignità che voleva solo recapitare le cose per gli altri, durante il Natale che nessuno ha avuto ma lui meno di tutti. Correre nella sera per racimolare un pasto decente, magari un regalo per i due figli. Ha avuto ferite, dentro e fuori.
Ma Napoli non c’entra. Non vale più la solita giaculatoria, “certe cose succedono solo qua”: forse che a Belluno o New York o Sidney non li aggrediscono i poveri cristi per brevità chiamati rider, i fattorini di ogni colore che ne passano di tutti i colori e nessuno li tutela? Puoi girare la terra ma sempre li vedrai sfiorarti il finestrino o un gomito, sui loro catorci bersagliati dalla notte, dalla grandine, dall’afa che essicca e li lascerai andare al loro destino senza pietà. Perché il mondo va così, perché non puoi farci niente. Perché non vuoi pensare che basta un attimo, un manrovescio della sorte e anche tu ti ci puoi trovare su quel biciclo. I deboli sì, sono tutti uguali, tutti alla stessa mercé. E i prepotenti sono tutti idioti allo stesso modo: forse che l’arroganza giovanile conosce zone franche ormai nel mondo carogna dove ogni rispetto è divorato da uno spaventoso vuoto mentale, dove più ci riempiono di doveri, di divieti, di battaglie paritarie e più il sopruso diventa automatico, diventa un gioco da praticare senza scrupoli e senza rimorsi? Forse che sotto qualsiasi altro cielo sarebbe andata diversamente?
Forse sì. Perché a questo punto Napoli c’entra davvero: Gianni passa nu guaio e però la gente, per quelle sue misteriose antenne, fatte di esasperazione e di compassione, di ferocia e di tenerezza, la gente non ci sta; reagisce, si mette alla ricerca dei balordi e del motorino, si passa la parola sui social, qualcuno ha filmato la scena e non è basso desiderio di vendetta ma voglia sacrosanta di non accettare l’ingiustizia, è tensione comune a mettersi dalla parte del debole. La gente raccoglie settemila euro e glieli porta a Gianni; lui trova solo le parole di una risposta sublime: ma io non li voglio, io voglio solo un lavoro, il mio lavoro.
E il suo lavoro arriva, torna: perse quello da macellaio sette anni fa; senza far drammi accettò l’umiliazione dei buoni, un motorino a 50 anni per improvvisarsi fattorino nell’economia liquida degli sfruttati che scorrono via come acqua; venne rapinato, umiliato ancora; oggi un commerciante di Ottaviano, Luciano Bifulco, gli offre il bancone della macelleria e della braceria. E Gianni trova un’altra semplicità meravigliosa: “Non so che dire, sono commosso”. Napoli è qui. Due persone degne stanno qui. Sotto questo cielo, il più delle volte disgraziato. Il motorino, la polizia l’ha recuperato, gliel’hanno riportato a Gianni. In sei sono stati fermati, quattro hanno non più di 17 anni, due stanno già a 20. Inutile andargli a chiedere se si sono pentiti, per favore non prendiamoci in giro, questa è schiuma e la schiuma sgorga e non può pensarsi. Li lasceranno andare, e ricominceranno.
Ma Gianni riavrà il suo lavoro vero, un lavoro umile perché il destino degli umili e dei buoni è di restare tali. Non ha avuto parole di rabbia, di vittimismo, ha parlato di chi l’ha aggredito con la tenerezza di un padre e di un uomo che conosce il dolore e non dimentica l’amore. Un napoletano. La sua ultima corsa come rider è stata disgraziata, ma ha recapitato a tutti qualcosa di inestimabile: la dignità, il coraggio di non subire, la forza di opporsi senza violenza, l’umanità di restare uomo anche dopo una prepotenza. E la capacità grande di ringraziare, senza condannare. Non importa il lieto fine, quello che conta è che dalla violenza cialtrona di certi sia uscita la generosità non redenta di altri. Se non c’è un Natale in tutto questo, allora dove sta?