In morte di Maradona, come Napoli nel suo sonno da Zona Rossa perse il suo sogno più grande

Pensieri sul Pibe de Oro che ha lasciato più d’un mese fa il suolo del mondo e il suolo di Napoli, che nessun altro pié mortale (come il suo) a calpestar verrà

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Scrivo di Maradona per salutarlo a più di trenta giorni dalla sua scomparsa, dopo il passaggio della tempesta mediatica, con la pace delle discussioni affievolite, con i cani rabbiosi già lontani e distratti a fiutare altre prede. Scrivo per le anime pacate e rassegnate come me, consapevoli dell’ennesimo inesorabile distacco di un altro pezzetto di bellezza dalla nostra realtà.

“..And Thankyou Diego Armando Maradona”, disse un emozionato Paolo Sorrentino sul palco degli Oscar stringendo la statuetta dorata. Stava annoverando per sempre il genio argentino tra le muse della sua vita inserendolo a sorpresa in una emozionante short-list. Great Beauty, La Grande Bellezza. Sono le due parole che sempre mi venivano in mente al pensiero di Maradona e della sua divina danza calcistica, il discorso di Sorrentino fu il sigillo definitivo per quell’equazione. Grande Bellezza del suo passaggio nel Calcio, grande bellezza delle sue elettrizzanti opere su prato e non su tela, grande bellezza del suo personaggio unico, inarrivabile, onirico, magnifico, fragile e maledetto.

What we do in life, echoes in eternity! Urlava il Massimo Decimo Meridio di Ridley Scott. E così sia. L’opera ci sopravvive, il capolavoro ignora la nostra mortalità e rimane là, per sempre.

Scrivo per i detrattori che discettano del dito perdendosi la luna, e innalzo una supplica agli Dei Dioniso, Afrodite e pure Apollo: perdonateli e rimandateli ai sacri testi degli Esteti, donate loro la comprensione di come la bellezza sia salvezza, di come ad essa tutti tendiamo e della disperata gratitudine che porgiamo ai Suoi luminosi umani ambasciatori.
Perché se la Bellezza fosse cosa comune, ne saremmo annoiati e sazi. E invece rimaniamo ogni volta folgorati dalla meraviglia della sua apparizione, vinti e svenuti come il povero Stendhal e la sua famosa sindrome.

Scrivo per i Napoletani, che tra un DPCM e una diretta di De Luca, tra una quarantena e l’altra, sono stati chiamati ad affrontare la sottrazione di Maradona, la perdita del loro supremo generatore di sogni e dispensatore di anni di pura gioia. Cammini per le strade e incroci i loro mesti occhi sopra le mascherine, fai l’esercizio mentale di completare con la fantasia quei volti millenari e cosmopoliti nascosti sotto l’odiosa pezza. Noti come la strana situazione imponga segretezza somatica al popolo più espressivo, chiusura al popolo più aperto, ritiro al popolo più sociale, distanza al popolo più vicino, stadi e teatri vuoti al popolo più tifoso e teatrale. È Napoli che fronteggia la propria antitesi. I napoletani che conoscono il loro antidoto. I napoletani che non hanno potuto salutare il loro salvatore rockstar come avrebbero voluto e meritato.

E oggi, dopo più d’un mese, mentre un anno insulso tramonta e un altro poco convincente albeggia, la perdita di Diego è un’occasione per pensare a tutti i grandi che continuano a scendere da questo treno, senza lasciare eredi, senza ricambio. Per pensare a noi del tardo ‘900 che abbiamo avuto tanto e forse troppo. E tra un augurio e l’altro su uozzapp ti domandi cosa stia rimanendo poi di bello per chi resta sul treno e per quei pochi che ancora provano ignari a salire.
Finisco, sono pensieri da fine anno, da gettare via con la roba vecchia. Ciao Diego e grazie per sempre, buon anno Napoli e buon anno mondo.