Il cast multietnico di Bridgerton, scelta voluta ma occasione sprecata: perché ignorare il peso della diversità?

Il cast multietnico di Bridgerton, tra duchi e Regine nere, è un'occasione persa per una narrativa davvero innovativa: perché scegliere tanti attori di colore per poi far finta che non lo siano?

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Nonostante sia l’adattamento di romanzi ambientati nell’aristocrazia londinese dell’era Regency, non è sfuggita a nessuno la scelta del cast multietnico di Bridgerton, in cui attori bianchi e di colore interpretano personaggi nobiliari e perfino membri della famiglia reale inglese di inizio Ottocento. Un dato che fa a pugni con l’epoca storica in cui è ambientato questo fastoso romanzo rosa in costume, una saga familiare che vede 8 fratelli e sorelle in cerca di matrimoni d’amore – ma anche socialmente accettabili – nella Londra della seconda decade dell’Ottocento.

Duchi e regine di colore animano il cast multietnico di Bridgerton e danno al format certamente una grande modernità in termini di scelte drammaturgiche, ma spingono a chiedersi quanto sia auspicabile, in nome del sacrosanto principio dell’inclusività, spingere la rappresentazione a non porsi il tema del colore della pelle anche laddove, storicamente, il colore della pelle un peso lo aveva. Al netto di alcune discendenze da matrimoni misti, immaginare una nobiltà nera nell’Ottocento inglese è decisamente una licenza creativa che gli autori hanno voluto prendersi.

E attenzione, non si tratta di blind colour casting: non si è scelto semplicemente di selezionare gli attori del cast multietnico di Bridgerton senza considerare il colore della pelle – principio che favorisce l’inclusione e la meritocrazia – ma di una volontà ben precisa. Lo showrunner della serie ha preso i romanzi di Julia Quinn, una saga che ha debuttato circa vent’anni fa e in cui tutti i protagonisti sono bianchi, e ha aperto l’adattamento alla partecipazione di attori di diverse etnie, immaginando un’Inghilterra vittoriana con la Regina di colore e dinastie nere. E anche la coppia protagonista della serie, Daphne e Simon, è una coppia interraziale. Per chi segue le produzioni di Shonda Rhimes, questa non è certo una novità: le coppie miste sono anzi una costante, in Grey’s Anatomy come in Scandal e Le Regole del Delitto Perfetto, con queste ultime che hanno due protagoniste di colore in ruoli di potere. Ma si tratta di serie ambientate nella contemporaneità del 21° secolo. Ha senso invece immaginare una nobiltà di colore laddove certamente non vi era?

Le posizioni sul tema sono diverse e rispettabili, come quella dell’attore protagonista della serie Regé Jean Page, attore britannico originario dello Zimbawe, che ha dichiarato il suo entusiasmo per il cast multietnico di Bridgerton che mette persone di colore in ruoli tradizionalmente riservati ai bianchi: “Se il contesto storico ci escludeva, possiamo almeno ridipingerci dentro l’arte“. Ma è davvero in questo modo che le persone di colore auspicano di vedersi rappresentate? In una storia che è palesemente una fantasia inverosimile? E questo ridipingersi al posto di un caucasico è davvero un’operazione che rimargina un’ingiustizia? Non si rischia solo di mettere delle bandierine laddove non ci si aspetta di vederle e sentirsi per questo un po’ più a posto con la coscienza?

Ma il dubbio più importante che questa scelta solleva sta proprio nel principio di base con cui è stata fatta: ignorare la razza laddove la razza aveva un peso importante – si pensi solo al fenomeno della schiavitù e delle tratte di esseri umani – rendendo bianchi e neri ugualmente ricchi ed aristocratici vuol dire ignorare che il multiculturalismo è una conquista dei tempi moderni, passata attraverso secoli di lotte, rivendicazioni, vittime. Cancellare questo aspetto, come se nell’Inghilterra di inizio Ottocento fosse indifferente avere un colore della pelle o l’altro, non rende un buon servizio ad alcuna giusta causa di parità, né serve a fare un passo avanti verso la parità di accesso alle opportunità professionali nel cinema e nella tv per le persone afroamericane. Insomma, a furia di voler essere inclusivi, si rischia di essere offensivi proprio nei confronti di chi si vorrebbe includere in una narrazione nuova e diversa.

La Regina Charlotte (Golda Rosheuvel) in Bridgerton

In una recente intervista con il Times , l’autrice dei romanzi Julia Quinn ha affermato di essere favorevole alla decisione di Netflix di scegliere un’attrice di colore per interpretare la Regina Charlotte (Golda Rosheuvel), sostenendo che il cast multietnico di Bridgerton sia frutto di una scelta consapevole e non di una pratica di casting a prescindere dall’etnia degli attori. “Molti storici credono che avesse un background africano. È un punto molto dibattuto e non possiamo certo farle un test del DNA, quindi non credo che ci sarà mai una risposta definitiva“, ha spiegato l’autrice dei libri da cui la serie è tratta.

Ma in una serie in cui anche altri volti aristocratici sono di colore il tema del cast multietnico di Bridgerton è un altro: anche ammesso che si voglia rappresentare una coppia mista a inizio Ottocento, perché ignorare che si tratta di appunto di una relazione interetnica in favore di una cieca normalità? Non sarebbe stato più interessante esplorare la reazione dell’aristocrazia inglese alla comparsa di questo affascinante e scontroso duca che, per giunta, è di colore? E il suo rapporto con la diafana reginetta dell’anno Daphne non avrebbe giovato di un focus sulle loro differenze anziché fare finta che queste non esistessero? Le coppie interraziali – per fortuna sempre più presenti in tv – affrontano una serie di discussioni sulle diversità che emergono di volta in volta nella loro quotidianità: se le si rappresenta in video, perché poi non sfruttare quel potenziale narrativo enorme e certamente interessante? Non che si debba necessariamente affrontare il tema del razzismo e del multiculturalismo in una serie di intrattenimento, ma se scegli di avere un cast per metà nero, perché poi fingere che non lo sia? Viene in mente la lamentela che Sandra Oh ha fatto in una recente intervista rispetto ad una trama di Grey’s Anatomy nella terza stagione: un matrimonio interraziale tra il suo personaggio – ebrea americana di origini coreane con un afroamericano – che avrebbe potuto avere implicazioni importanti dal punto di vista del confronto tra diverse etnie e culture, ma è un materiale incandescente che gli sceneggiatori si sono rifiutati di trattare, lasciando tutto sul piano della commedia sentimentale.

I protagonisti di Bridgerton

C’è chi sostiene che la vera parità sia nella normalizzazione, nel non vedere i colori, ma sappiamo che questo è un punto molto discusso: il movimento Black Lives Matter, ad esempio, non chiede affatto che i colori siano ignorati, anzi, che le vite dei neri siano viste, riconosciute come importanti, rispettate, raccontate e celebrate. Far finta che non vi siano differenze non annulla le differenze, semmai fa uno sfregio delle lotte di chi quelle diseguaglianze le ha combattute per perseguire obiettivi di parità. Non l’invisibilità dei colori, ma la loro visibilità, accettazione, inclusione, sono la chiave del progresso.