Festeggio il compleanno di mia moglie aspettando il nuovo album di Baglioni, suonato con strumenti reali

Che malinconia doverlo specificare quando un tempo era scontato che tutti i dischi fossero suonati davvero


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Oggi è il compleanno di mia moglie Marina. Niente di sconvolgente, quindi, ogni anno arriva il giorno in cui si festeggia il compleanno, finché si è in vita.

Marina è l’ultima a compiere gli anni, nel microcosmo della mia famiglia, parlo di quella che vede lei e me come genitori, il nostro nucleo familiare ristretto, perché altrimenti a chiudere la partita è mia madre, nata a dicembre. Siamo in sei, noi, e Marina è l’ultima. Apro la partita io, nato a giugno, poi arriva Tommaso, sempre a giugno, Lucia, a agosto, e i gemelli Francesco e Chiara, a settembre. Poi arriva Marina. Quest’anno abbiamo tutti festeggiato in maniera un filo anomala, perché la situazione generale ci ha impedito di fare cose troppo articolate. Parlo soprattutto dei gemelli, nove anni, loro in genere festeggiano coi compagni di classe, magari in un parco tematico, o in oratorio. Quest’anno hanno dovuto fare qualcosa di molto meno complicato, perché non si potevano fare assembramenti, e anche l’idea di fare qualcosa di minimo implicava appunto di stare troppo vicini.

Marina è la sola, però, che festeggia il compleanno in  lock down. Perché è vero che quello che stiamo vivendo non è esattamente un lock down vero e proprio, le scuole elementari sono rimaste aperte, si può uscire senza autocertificazione per andare a fare la spesa, ma nei fatti di lock down si tratta, siamo chiusi in casa tutto il giorno, nel suo caso specifico senza soluzione di continuità tra quando finisce di lavorare e inizia il tempo libero, in casa in tutti i casi, lei che in genere era abituata a andare in ufficio, a stare in mezzo a altra gente, lì nella multinazionale per la quale lavora da che ci siamo trasferiti a Milano dalla nostra Ancona.

Festeggeremo in famiglia, quindi, altro modo non c’è, i social ci aiuteranno a far sentire il calore delle persone che le vogliono bene, laddove non arriverà il telefono o Zoom. Alternativa non c’è, del resto.

L’anno scorso la faccenda è andata diversamente, era un compleanno importante, meritava un colpo di teatro. Capitava di giovedì, quindi lo abbiamo festeggiato di sera, in casa, a cena, poi io e lei siamo partiti per un weekend a Merano. Da qualche anno a questa parte proviamo a ritagliarci un momento di tranquillità e relax, la vita di genitori di quattro figli, genitori che lavorano, è piuttosto complessa e stancante. Siamo andati a Merano, amiamo entrambi le terme e quel tipo di relax lì. In realtà quello era un diversivo, ma lei non lo sapeva. Avevo prenotato un contesto particolare, non è importante che io condivida i dettagli, lasciando intendere che fosse quella la sorpresa che le avevo riservato per quel compleanno così importante. Lei, pochi mesi prima, abbiamo pochi mesi di differenza d’età, anche se a vederci potrebbe non sembrare, nel senso che potrebbero sembrare molti di più, mi aveva organizzato, per la medesima ricorrenza, una festa a sorpresa. Io, che in genere non abbocco mai alle sorprese o agli scherzi, ci ero cascato come un pollo. Aveva organizzato una cena fuori, preceduta da un aperitivo alla Terrazza che affaccia su Piazza Duomo. Quando ci stavamo recando poi al ristorante era arrivata una telefonata di Lucia, nostra figlia maggiore, che ci diceva che Francesco, il gemello decisamente più agitato dei due, si era chiuso in bagno a chiave e non riusciva più a aprire. Eravamo in anticipo, toccava rientrare a casa. Ho ovviamente sbroccato, perché Francesco ne combina sempre qualcuna. La scusa, perché quella era la scusa per farmi abboccare, era credibile, e va detto che Lucia ha recitato bene la sua parte. Abbiamo parcheggiato sotto casa, siamo saliti in ascensore, con me che ne dicevo di tutti i colori, poi abbiamo aperto la porta e lì c’erano tanti amici, alcuni anche di Ancona, arrivati per festeggiarmi. Una sorpresa bellissima, perché davvero inaspettata. Marina, ovviamente, si è molto vantata di avermi fatto capitolare. Succede così, quando sei uno di quelli che in genere non abboccano mai. Così ho deciso di stupirla io. Ho organizzato il weekend a Merano, location particolare, tutto organizzato nei dettagli. Niente lasciato al caso. Poi siamo rientrati. Le ho detto che avevamo una serata a teatro, a conclusione del weekend, e che non saremmo passati da casa. Sapevo che avrebbe insistito per passare, per potersi cambiare, mettere in tiro. Così è stato. Eravamo in anticipo, per cui ho fatto un giro lungo, ho preso la Be-Bre-Mi invece della solita A4, ho preso la Tangenziale esterna e sono uscito anche all’uscita sbagliata. Poi siamo arrivati, siamo saliti, e dietro la porta c’erano i nostri amici, alcuni anche da Ancona. Le è caduta la mascella, perché davvero non se lo aspettava. Io, che solitamente passo per quello poco organizzato, l’artista di casa, ero lì che gongolavo, avevo anche fatto tutta la spesa necessaria nei giorni precedenti, nascondendola in cantina, e gli amici avevano portato il resto. Lucia, in questo, mi è stata di aiuto fondamentale, perché per paura che si facesse beccare, non avevo detto nulla a mia suocera, informata della cosa solo dopo che eravamo partiti da nostra figlia. Si è molto offesa, mia suocera, ma suppongo ormai se ne sarà fatta una ragione.

Quando è il compleanno di mia moglie, oggi pure è andata così, sono solito scrivere di lei sui social. Questa cosa, lo scrivere parole che spesso vengono identificate come romantiche, fa sempre un certo effetto. Non saprei dire se lo fa su di lei, sicuramente lo fa su chi legge. Tanto più su chi legge e mi conosce di persona, o su chi mi legge abitualmente. Il mio immaginario è molto meno romantico di così, è anzi piuttosto animalesco, sarcastico, violento. Chiaro, quando parlo della mia famiglia è tutto diverso, e il contrasto che si crea tra questo me stesso e quello che scrive di musica serve a rendere tridimensionale il mio personaggio, ma anche nella vita di tutti i giorni tendo a essere un po’ meno romantico. Il fatto è che mi piace espormi per quello che sono, almeno in questi frangenti, farlo spudoratamente. Esattamente come quando scrivo di musica, a pensarci bene, solo che si tratta di altri pudori, altre nudità emotive. Proprio come alle Terme di Merano nelle quali ci capita abbastanza spesso di andare a festeggiare il suo compleanno. Questa cosa, questo mio essere così spudoratamente sentimentale nel parlare di Marina e dei miei figli mi è spesso stato imputato, da amici e amiche, come qualcosa di pericoloso, perché gli amici non tendono a fare la medesima cosa nei confronti delle loro compagne, e perché le amiche non ricevono lo stesso tipo di parole dai loro compagni. Del resto io sono un uomo di parole, non si può mica pretendere che tutti pascolino nello stesso prato.

Del resto, l’ho raccontato, Marina l’ho corteggiata a lungo, e in qualche modo l’ho conquistata, che brutto termine sessista, potrebbe dire qualcuno, non fosse che fa chiaro riferimento a una letteratura ben precisa, anche grazie alla musica. Ho suonato al suo diciottesimo compleanno, qualche tempo fa, ho suonato e cantato. Ero la voce di una band messa su con gli amici di quel periodo, quando si era ragazzini, io alla voce, Simone al basso, Alessandro alla batteria e Gianmarco, quello che si era fatto stempiare dal barbiere come Dodi Battaglia, alla chitarra. Suonavamo prevalentemente alle feste di Carnevale, a quelle estive. Poi Marina ci ha chiesto di farlo per il suo compleanno, una cosa che ancora molti ricordano, e per quasi quattro ore abbiamo intrattenuto i tanti amici che sono venuto a festeggiare con lei. Da quel momento, per qualche tempo, abbiamo suonato ai compleanni anche di altri amici, prevalentemente di altre amiche, le ragazze tendevano a festeggiare in maniera più spettacolare, allora come oggi. Suonavamo un repertorio da festa, grandi classici del pop e del rock, qualche canzone di quelle che trova asilo solo in quei contesti, alcune hit del momento. Non c’era internet, per cui per i testi ci si lasciava andare a una certa improvvisazione. Per dire, quando cantavo TuttiFrutti di Little Richard, sì facevamo anche quel tipo di classici, ci mettevo su parole a caso, a volte il testo di With or Without You degli U2, metricamente ci stava benissimo. Succedeva anche che ci chiedessero delle canzoni sul momento, esattamente come succede coi dj, e spesso riuscivamo a improvvisarle. Eravamo bravini, diciamolo, anche in considerazione che nei fatti eravamo quattro chitarristi che per formare una band si erano spostati su altri strumenti, io alla voce, Simone al basso e Alessandro alla batteria. La band, negli anni, ha avuto degli inserimenti, in un paio di occasioni abbiamo anche avuto due tastiere, per dire, ma nei fatti eravamo noi quattro, so che ancora circolano delle registrazioni, anche di quella festa lì.

Precedentemente, prima cioè che a Marina venisse questa idea della band per il suo diciottesimo compleanno, si andava di compilation. Per i più giovani, sarebbero il corrispettivo delle attuali playlist, e come per le playlist di Spotify, c’era qualcuno che si prendeva la briga di compilarle. Nello specifico eravamo quasi sempre io e Simone, veri e propri esperti del genere. Prendevamo alcune hit ballabili, eravamo negli anni Ottanta, avevamo davvero l’imbarazzo della scelta, e poi c’era un intero lato, le compilation si facevano su audiocassette, spesso audiocassetta da 90 minuti, così non dovevamo star lì a portarne troppe, dedicato ai lenti. Ora, pensare a una scaletta che contempli, faccio qualche nome, The final cowntdown degli Europe, Duel dei Propaganda, Dance Hall Days dei Wang Chung e Never Say Goodbye dei Bon Jovi o Still Got the Blues di Gary Moore non era faccenda da prendere poi così alla leggera, pensateci, perché, come succede per le scalette dei concerti, toccava sapere bene prima che flusso dare alla serata, quando far scatenare la gente, quando farla rallentare, dando sfogo a chi voleva approcciare qualcuna o qualcuno, chi voleva limonare (da noi non si diceva limonare, si diceva sgarbonare, ma credo che poco cambi). Un po’ come sto vedendo succedeva nei primi del Novecento, con Marina in queste sere, per rilassarci dopo lo stress del lavoro in remoto e della gestione della famiglia ci stiamo vedendo una serie ambientata nel West ai primi del secolo scorso, When Calls the Heart, una serie molto educata e di buoni sentimenti, senza mai motivi di cupezze e depressioni, caratteristica presente oggi in quasi tutte le serie tv, gli approcci non erano molto veloci e diretti. Ci si corteggiava, la si prendeva alla lunga, io, per dire, per diventare dall’essere il suo amico divertente, quello che faceva ridere la compagnia con le sue battute, all’essere il suo ragazzo ci ho messo due anni, passando anche, appunto, dall’essere quello che faceva ridere all’essere quello che cantava, fatto che ha indotto diverse altre ragazze a farsi sotto, dettaglio che suppongo, così si vede appunto in When Calls the Heart, deve averle fatto abbattere tutti gli indugi, proprio nei giorni nei quali ci siamo messi insieme c’era una ragazza che circolava col mio nome scritto a lettere maiuscole e in grassetto sui suoi jeans, a mio modo ero una rockstar nel piccolo circuito dei nostri amici.

La nostra canzone, quella che ballavamo sempre flirtando prima di metterci insieme, e che abbiamo continuato a ballare anche dopo esserci messi insieme, quella che, se qualcuno anche oggi dovesse chiederci “qual è la vostra canzone” entrambi sapremmo indicare senza problemi, fatto che, in una storia che va avanti da oltre trent’anni, non è da dare poi così per scontata, per dire, non siamo affatto concordi sul momento esatto e il luogo in cui, lo so, sono un sentimentale, le ho chiesto di sposarmi, ma sulla nostra canzone sì, siamo concordi, era Victims dei Culture Club. Erano gli anni Ottanta, e va detto che avevamo davvero a disposizione un mondo piuttosto articolato. La voce di Boy George, in quella canzone in modo particolare, così coperta di velluti purpurei, così calda, era qualcosa di pazzesco, e già solo per l’intro così poco sobria direi che già da giovani dimostravamo un grande gusto musicale. Poi col tempo ci siamo allontanati, parlo di gusti, io sono diventato più estremo, lei più che altro mi ha assecondato, come si fa coi matti. Del resto io assecondavo parecchio lei, quando si è giovanissimi e non troppo sicuri si tende a fare così. Per dire, mi sono sparato tutta una serie di film che, immagino, oggi non riuscirei a vedere, o magari sì, sto guardando When Calls the Heart, roba con Emma Thompson e Anthony Hopkins, Quel che resta del giorno, roba tratta da Jane Austen. Lei ha contraccambiando venendo con me a vedere al cinema Rattle and Hum, il documentario degli U2, credo sfrangendosi le palle.

Il punto di rottura, nel senso del momento nel quale i nostri gusti si sono dimostrati decisamente distanti, è avvenuto a metà degli anni Novanta, tempo dopo, quando l’ho portata a vedere film come Trainspotting o Once Were Warriors, per altro quest’ultimo nel periodo più cupo della nostra ultradecennale storia, quando cioè bivaccavo nel lato sbagliato della strada, proprio come uno dei protagonisti di quella storia lì.

So che può suonare strano. Forse può sembrare addirittura uno sfottò, come un mio volermi riposizionare come provocatore, come l’outsider con la battuta pronta che non ha rispetto per niente e nessuno, l’anarchico che parla di buchi di buchi di culo di cavalli e di zebre che si mordono le palle, ma un artista che ci ha sempre trovati d’accordo è stato Claudio Baglioni. Chiaro, il nostro primo concerto insieme è stato di Luca Carboni, pochi giorni dopo esserci messi insieme, l’artista che abbiamo visto più volte in vita nostra è Enrico Ruggeri, poi col tempo diventato un amico, non solo uno dei nostri miti personali, ma da giovani era Baglioni che metteva d’accordo tutti e due. Lo amavamo, e il fatto che io poi sia stato quello che ha innescato il delirio del conflitto di interessi al Festival diventato noto come il Festival di Salzano, quello che ha lanciato le bombe poi riprese da Dagospia e di conseguenza finito su Striscia la Notizia, sodale di Pinuccio, crea una sorta di paradosso degno di finire in un libro di fantascienza. Perché, guardando a quei giorni, parlo quelli dell’ultimo Festival diretto da Baglioni, qualcuno avrebbe potuto pensare, erroneamente, io ce l’avessi con lui, io avessi cioè un mio conto personale aperto col cantautore romano, invece, giuro, mi è costata molta fatica, quella faccenda, proprio perché ho molto amato e molto amo ancora buona parte del suo repertorio. Credo di sapere a memoria ogni singola parola di tutti i suoi album fino a Oltre, e credo di saperne parecchie anche degli album successivi, quando cioè l’amore per i giochi di parole ha preso il sopravvento, ma non aveva ancora lasciato spazio a una certa stanchezza. L’ho visto anche diverse volte dal vivo, l’ho intervistato, e come già mi è capitato di raccontare, durante quell’intervista, avvenuta ai tempi di Tutto Musica, il Tutto Musica che aveva già abbandonato il pop e sparava per due volte in un anno i Muse in copertina, io a intervistarlo in un pezzo che si intitolava, parafrasando un noto slogan legato ai Rolling Stone, “Lascereste uscire vostra madre con quest’uomo”, noi a strozzarci per i pioppi che saturavano l’aria nel giardino del bar del Majestic Hotel, a Milano, Claudio ha avuto modo di raccontarmi di questa tipa che lo ha inseguito per tutto il tempo della sua permanenza nella mia Ancona, roba che non riusciva a uscire un secondo che se la trovava dietro col motorino, non ha usato la parola stalker perché all’epoca non era ancora entrata nel nostro vocabolario, salvo poi scoprire, dalla mia viva voce, viva si fa per dire, perché appunto ci stavamo strozzando coi pioppi, un colpo di tosse dietro l’altro, all’epoca si poteva ancora tossire senza essere guardati malissimo da tutti, salvo poi scoprire dalla mia voce rauca e soffocata dai pioppi che la tipa che lo ha seguito passo passo per la sua permanenza anconetana, Claudio è stato all’epoca in città per allestire il suo tour, capitava a molti artisti ai tempi di scegliere la anonima e tranquilla provincia marchigiana per allestire i tour, salvo poi scoprire dalla mia voce ormai ridotta a un rantolo che la tipa che lo ha seguito full time era mia sorella Caterina, sei anni più di me, una delle sue più grandi fan di tutti i tempi.

Perché cito Baglioni in un pezzo che ha mosso i passi dal compleanno che festeggeremo chiusi in casa di mia moglie Marina, e che poi è proseguito parlando di compilation e di altre amenità. Perché a giorni uscirà un nuovo album di Baglioni, “In questa storia, che è la mia”, anticipato da una ballad forse un po’ troppo in odore di “Mille giorni di te e di me”, ma sicuramente di livello, “Io non sono lì”, e questa cosa, in questi giorni oscuri e pandemici, mi sembra una bellissima notizia. Perché questa strana reclusione che ci vede tutti, più o meno, maledetti negazionisti, coinvolti ci sta portando, o almeno sta portando me, verso una forma di nostalgica attenzione al passato, e al passato remoto in modo particolare, perché sono convinto che, faccio mie le parole di Manuel Agnelli, e da questo potete ben capire che non sto benissimo, che stiamo andando incontro a un nuovo umanesimo, fatto di gente che suona strumenti veri e suona per urgenza, e Baglioni ci ha fatto sapere che il suo è un album tutto suonato, Dio che malinconia per il tempo in cui una affermazione del genere non sarebbe stata possibile, perché tutti i dischi erano suonati, perché, semplicemente, passati un paio d’anni da che Baglioni distruggeva camere d’albergo e sbroccava palesemente per qualcosa che avevo innescato io sapere che è tornato a occuparsi di musica mi rasserena, o se anche non mi rasserena mi fa ben pensare. Claudio, non volermene, io son qui che ti aspetto.

Chiudo, quindi, citando uno dei testi che mi ha sempre più colpito tra i tanti bellissimi scritti da Baglioni in questi oltre cinquant’anni di carriera, e lo faccio per un motivo, oggi, nel giorno in cui festeggio il compleanno di mia moglie Marina. È il testo che si appoggia sullo special del brano Le donne sono, tratto da Oltre, capolavoro assoluto uscito nel 1990. Un album di una bellezza assoluta, che a distanza di trent’anni dall’uscita non mostra una ruga, un segno di invecchiamento, e che ancora oggi, a ogni ascolto, regala sorprese, tanto è pieno e denso. Queste le parole che vorrei regalarvi: “Le pattinatrici girano nella tv/ Tagliando un’aria di ghiaccio/ Saltano su/ Appese a un braccio/ E piccoli studiati gesti/ E piroette nei costumi celesti/ E le melette delle guance prendono fiato/ e prenderanno un dì marito/ e con la stessa grazia ripiegheranno le ali giù”. Ecco, anche in un tempo cupo e oscuro come quello che stiamo vivendo, noi a festeggiare il compleanno di mia moglie Marina in casa, tra di noi, impossibilitato a farlo in presenza di amici per il lock down, sono davvero felice di aver vissuto una lunga parte della mia vita di fianco a una donna che non ha mai ripiegato le ali giù, nella speranza di passare al suo fianco ancora tanti altri.