Il musicista Yahaya Sharif-Aminu rischia di essere impiccato in Nigeria per una canzone

È assurdo che nel 2020 ci siano ancora artisti che non possono esprimere liberamente il proprio pensiero


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Si chiama Yahaya Sharif-Aminu, ha 22 anni , è detenuto  nello Stato di Kano al nord della Nigeria. E’ un musicista amante del gospel, e come milioni di altri ragazzi nel mondo ha inviato alcune sue canzoni ad amici, tramite WhatsApp, che sono suo malgrado diventate pubbliche nel marzo di quest’anno.

Nessuno avrebbe saputo della sua esistenza se in una delle sue canzoni non avesse lodato  un imam scatenando la ferocia e l’indignazione dei suoi conterranei, i quali hanno considerato blasfema la sua composizione, sebbene  questa non insulti in alcun modo la religione islamica.

Yahaya appartiene infatti all’ordine islamico sufi TIjaniyya, molto popolare nell’Africa settentrionale e occidentale, e la sua colpa è quella di aver dato lustro a un imam della confraternita (Ibrahim Niasse), elevandolo, secondo gli accusatori,   al di sopra di Maometto. Tanto è bastato perché manifestanti inferociti bruciassero la sua casa e  invocassero  a gran voce  la pena di morte per lui. Dopo un tentativo di fuga, il ragazzo è dunque finito in carcere in attesa di giudizio.

Il 10 agosto, l’Alta Corte della Shari’a lo ha condannato  alla pena di morte tramite impiccagione. Il leader della fazione che lo accusa, Idris Ibrahim, ha dichiarato alla BBC che “questo servirà da deterrente per gli altri che credono di poter insultare la nostra religione o il nostro profeta e andarsene in giro senza problemi”.

Nonostante la Costituzione nigeriana riconosca e garantisca il diritto alla libertà di pensiero, di religione e d’espressione, la condanna a morte per blasfemia è tuttora in vigore in quegli stati musulmani della Nigeria che riconoscono nella legislazione islamica Shari’a l’unica fonte normativa. Le punizioni, in caso di trasgressione,  vanno dal linciaggio, all’amputazione, fino appunto all’impiccagione.

Per aver esercitato la libertà di pensiero e d’espressione, Yahaya è quindi detenuto in carcere in attesa dell’ultimo atto, la firma del Governatore di Kano, Abdullahi Umar Ganduje, senza poter incontrare il suo avvocato, né i suoi familiari. Laddove venga ratificata la condanna del “blasfemo” ( le procedure sono peraltro sommarie, a quanto rivelano gli osservatori della realtà giudiziaria nigeriana), la condanna a morte verrà eseguita senza indugio.

È nei confronti di questo Governatore che associazioni per i diritti umani come Amnesty International stanno esercitando una pressione costante e determinata affinché non firmi il mandato di esecuzione e rimetta in libertà Yahaya, ma contestualmente il Governatore di Kano subisce eguali pressioni da parte di leader religiosi e personaggi influenti, affinché firmi subito l’esecuzione.

La vita di questo ragazzo è oggi appesa ad un filo. Chiuso in un carcere, non soltanto teme di essere impiccato, ma sa di rischiare la vita anche nell’ipotesi di una sentenza favorevole e di una sua liberazione, avendo ricevuto minacce di morte da parte di fanatici per sé e per la propria famiglia.

In un comunicato del 28 settembre, gli esperti dell’ONU  scrivono che: “l’espressione artistica di un’opinione (…) attraverso canzoni o altri mezzi (…) è protetta dalla legge Internazionale (…)”. “L’applicazione della pena di morte per espressioni artistiche – dice ancora il comunicato – è una violazione flagrante della legge Internazionale dei diritti umani.”

Non è accettabile che oggi, nel 2020, Yahaya possa essere impiccato per aver scritto e cantato una canzone, per aver espresso una sua idea, un suo pensiero dandogli voce. Non è un delinquente, non ha fatto del male a nessuno, non merita di essere trattato come il peggiore dei criminali. Non è possibile che ancora oggi fazioni religiose pretendano la pena capitale per blasfemia (al di là della inaccettabilità della pena di morte in sé); e che questo bellissimo ragazzo di 22 anni non possa tornare a cantare.