Buongiorno è il nuovo album di Gigi D’Alessio: God Save the King Gigi

L’album è un lavoro incredibile, dove la vena popolare e melodica di Gigi incontra la contemporaneità dei suoni e dei versi di tanti artisti che gli sono evidentemente figli


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Quando si scrive, specie se si scrive online, quindi in un luogo che più passano i giorni più assomiglia al Far West, magari nella versione distopica e semiincomprensibile di Westworld, tutti a farsi giustizia da sola, a proclamarsi sceriffi, e a provare a conquistare il fazzoletto di terra del vicino, sarebbe bene tenere a mente alcune regolette semplici e precise. Ricordo che, quando sei anni e mezzo fa ho ripreso a scrivere, per il Fatto Quotidiano, un ragazzo con la matita in mano che ricopriva il ruolo di esperto della rete me le spiegò in maniera piuttosto approfondita. Provo a riassumere. Scrivere pezzi brevi. Con le parole chiave, quelle che poi si agganciano alle ricerche in rete, ben evidenti sin dalla prima frase. Magari, anzi, sarebbe bene scrivere proprio delle notizie del giorno, nel senso di quelle che sono già trend topic, quindi inseguendo un flusso già esistente, o quelle che lo diventeranno, se sei un tipo intuitivo. Aiuterebbe, ovviamente, sapere eventi previsti per il giorno, magari ricorrenze e anniversari. Quindi stare sul pezzo, starlo in poche parole, non essere troppo polemici, perché poi si rischia di rimanerci sotto.

“Tutto chiaro,” gli ho risposto, e poi ho preso quelle indicazioni e le ho lasciate da parte. Scrivo pezzi molto lunghi, lunghissimi, il corrispettivo di dieci, undici, a volte anche quindici articoli “normali”. Non parlo mai dell’argomento che poi finisce nel titolo nella prima frase. Spesso neanche nella prima paginata. A volte ne parlo solo nell’ultima frase, se mi avete mai letto lo sapete. Non uso parole ricorrenti, parlo di argomenti vecchi di giorni, mi faccio i cazzi miei. Se c’è una possibilità di cadere in una polemica, a volte anche una polemica sterile, non mi scanso, perché mi piace disturbare e mettere a disagio chi legge, convinto come sono che sia nella provocazione e nel mettere in dubbio certezze anche ininfluenti che si esterni parte del mio mestiere, e perché azzuffarmi sui social, che è poi il posto dove queste polemiche vanno a finire, in fondo mi diverte, esercizio di stile scaturito da un esercizio di stile.

Questo il ragazzo con la matita non me l’ha detto, immagino lo desse per scontato non lo avrei mai fatto, perché è una delle regole base del giornalismo, finisco sempre dentro i pezzi che scrivo. Parlo di me, della mia famiglia, dei miei amici, parlo molto più di me che dei cantanti, le canzoni o gli aspetti del sistema musicale di cui dovrei parlare. Nel farlo, non me voglia il ragazzo con la matita, pratico una cifra stilistica molto riconoscibile, precisa, specifica, la mia. Se uno legge un mio pezzo, vuoi per le frasi lunghe e complesse, piene di relative, vuoi appunto per questo mio continuo aggirarmi tra le righe, vuoi perché ho un linguaggio che mischia alto e basso, capisce subito che è mio, mi odi o mi ami poco cambia.

Ovviamente, per non smentirmi, questo non è un pezzo che parla di me. Non è neanche un pezzo che parla di come si debba scrivere un articolo e come si debba scrivere un articolo online, non faccio il docente di giornalismo, e se volete che ve lo spieghi, non essendo un consulente, dovreste comunque pagarmi per farlo (qui sto giocando a fare lo stronzo, lo so che ci sono riuscito perfettamente, e stando qui a spiegarvi che avete abboccato al mio fare lo stronzo apparirò ancora più stronzo ai vostri occhi, so anche questo, amen). No, questo pezzo parla di un album, ma siccome so che parlare di questo album e parlarne nei termini che utilizzerò, soprattutto parlare dell’artista che di questo album è titolare è qualcosa che, volessi seguire le indicazioni del ragazzo con la matita, è gesto che non dovrei prendere in considerazione, volevo prima spiegarvi che a me di seguire quello che gli altri ritengono essere giusto o opportuno, in fondo, non frega un cazzo. Non è mai fregato un cazzo, a dirla tutta. Perché invece, magari, stavolta di questo album e di questo artista è la volta buona che cominceranno a parlare in tanti, non solo di facciata, perché a fare i complimenti di facciata son buoni tutti, ma dando seguito a quanto scrivono o dicono, cioè riconoscendo finalmente un grande talento e l’artista che questo grande talento possiede e pratica.

È uscito Buongiorno di Gigi D’Alessio, arriviamo al dunque.

Un album che, ci metto la faccia, in qualche modo parte da una serata dello scorso novembre, a La Spezia, dove ho avuto il piacere di prendere parte alla serata finale del Premio Lunezia che, per la prima volta, riconosceva pubblicamente Gigi come un numero uno della nostra musica, premio che da una mia precisa e personale indicazione è partito. Dico questo non per farmi il selfie con l’artista, figuriamoci, non serve a me e non serve a lui, tantomeno a lui, ma perché io il talento di Gigi l’ho incontrato, e per incontrarlo me lo ha dovuto sbattere in faccia lui, in qualche modo sfidandomi. Ho già raccontato più volte questa storia, anche in quella serata al Lunezia, non serve tornarci su. Non conoscevo Gigi e le sue canzoni se non in maniera sommaria, veloce, superficiale. Le ascoltavo e lo ascoltavo casualmente, se passava in radio o in tv, sempre con disattenzione e spocchia. Perché io ero il critico musicale e lui il cantante napoletano in odore di musica neomelodica, vuoi mai che lo ascoltassi con lo stesso orecchio che dedicavo ai suoi colleghi più nobili?

Poi Gigi mi ha appunto sfidato e io ho accettato la sfida. E ho scoperto un artista non solo dotato di una cultura musicale assai profonda e sfaccettata, grande pianista e compositore assai più dotato di tanti suoi colleghi in odor di Targhe Tenco, ma ho anche avuto modo di capire perché uno come lui ha un così profondo rapporto con il pubblico, un pubblico vastissimo, trasversale. Sono andato a sentirlo dal vivo, ho continuato a approfondire, e siamo arrivati al Premio Lunezia, cioè al cristallizzare quella presa di coscienza, ovviamente dopo aver abbattuto i pregiudizi che ovviamente in precedenza c’erano.

Buongiorno parte da lì, dicevo, e va ben oltre. Perché con questo album, nel quale Gigi D’Alessio riprende il suo repertorio napoletano e lo reinterpreta in compagnia della meglio gioventù dell’hip-hop partenopeo (e non), da Clementino a Geolier, passando per Enzo Dong, Lele Blade, LDA, MV Killa,Samurai Jay, Vale Lambo, Coco, Franco Ricciardi e gli ultra mainstream BoomDaBash e J-Ax. Tutta gente, o quasi tutta gente, perché alcuni confesso che non li conoscevo proprio, che a me presi singolarmente fanno piuttosto cagare, e magari questa sarà proprio l’occasione perché io approfondisca e, se è il caso, torni sui miei passi. Perché il risultato, questo è il nocciolo del discorso, è davvero qualcosa di sorprendente. Buongiorno, l’album, è un lavoro incredibile, dove la vena popolare e melodica di Gigi, in canzoni che hanno comunque sempre una struttura armonica e melodica assai complessa, ma che tale non sembra, questo il suo dono principale, incontra la contemporaneità dei suoni e dei versi di questi artisti che gli sono evidentemente figli, nella poetica come nello spirito, dando quindi vita a una sorta di mash-up naturalissimo, come se quelle canzoni fossero sempre state scritte e cantate così. La cifra tipicamente napoletana, ma anche molto baglioniana di Gigi si sposa alla perfezione con le barre e le produzioni dei rapper chiamati a raccolta, dando vita a qualcosa di nuovo e di assolutamente coerente. Se in America alcuni rapper, penso a Bubba Sparxxx ma anche ai Public Enemy di He Got Game, hanno avuto l’ardire di fondere le proprie rime con il country, che direi può stare pertinentemente in un discorso che tiri in ballo la canzone napoletana, traslando il discorso dalle nostre parti, da noi ci è voluto un artista apparentemente ingessato come Gigi D’Alessio, parlo della percezione generale di chi non lo conosce, per riuscire a fare qualcosa di simile. Che siate o non siate appassionati di rap, e di rap napoletano nello specifico, che siate o non siate parte del suo nutrito pubblico, parlo del pubblico di Gigi D’Alessio, se vi ponete all’ascolto di questo lavoro non potete che apprezzarne non solo la freschezza e contemporaneità dei suoni, ma anche la portata culturale, il rinverdire la tradizione partenopea passando dal rap invece che dalla world. Per questo, ma lo sto ripetendo da tempo e credo che ormai sia arrivato il momento di farlo davvero, ambirei molto a vedere e sentire un lavoro comune tra Gigi D’Alessio e Enzo Avitabile, per dire, capaci nei rispetti ambiti di un discorso che corre su binari paralleli.

Ascoltare la versione rinata di Annarè, per dire, e lo dice uno che non ascolterebbe un lavoro solista di J-Ax neanche se gli fosse imposto per regio decreto, è qualcosa di davvero emozionante, perché le emozioni sono sempre capaci di trovare spazio, quando ci si pone all’ascolto senza paraocchi, e questa è una signora canzone che, temo, la critica musicale ha sempre snobbato, a differenza del pubblico, solo per una mera faccenda di opportunismo e convenienza.

Unico appunto, l’assenza di Anna se sposa, citata dabitamente da Rocco Hunt nella sua barra (io che parlo bene di Rocco Hunt, Madonna che sorprese ti riserva la vita…), ma assente in scaletta pur essendo, a insindacabile giudizio di chi scrive, cioè, mio, un capolavoro assoluto.

Detto questo, cioè, sottolineato per l’ultima volta, almeno per questo giro, quanto Buongiorno sia un lavoro coi controcazzi, uno dei migliori album usciti negli ultimi tempi, facendo quindi riferimento anche a quelli dell’anno scorso, visto che quest’anno il confronto è con pochi, ci terrei anche a dire come Gigi D’Alessio, la copertina e il booklet del CD in questo aiutano parecchio, sia in effetti il solo vero King di quel mondo tutto denti dorati e tagli di capelli improbabili. Se infatti questo lavoro, più che al Premio Lunezia di cui sopra, ci tenevo a ricordarlo perché credo che Gigi meriterebbe anche altri riconoscimenti, lo dico pubblicamente, deve qualcosa a un incontro, credo che sia a quello con Guè Pequeno e Shablo durante The Voice. Lì è nata l’idea, credo, e lì sono nate le prime collaborazioni, che nel precedente bellissimo album, quello è stato premiato appunto al Lunezia, Noi due, hanno visto Gigi duettare con Emis Killa e Luchè, ecco, se Gigi è entrato in contatto con quel mondo grazie a Guè è indubbio come sin da subito gli abbia chiarito che a essere il solo vero Re è lui, sia per talento che per street credibility.

Chiudo tornando al punto da cui ero partito, non per amore di circolarità, essere rassicurante non rientra esattamente nelle mie prerogative, quanto piuttosto per non passare per quel che non sono, un megalomane. Sono anni che dichiaro ai quattro venti che Gigi D’Alessio è una nostra eccellenza, un grande cantautore. Lo dichiaro perché l’ho ascoltato con attenzione, non serviva molto, solo che qualcuno mi spingesse a farlo, e a farlo è stato direttamente lui, con ostinazione, per fortuna.

Tanto Nino D’Angelo per essere sdoganato deve molto a Marco Giusti e soprattutto alla collaborazione con Roberta Torre, tanto Gigi D’Alessio deve tutto alla sua caparbietà, alla volontà, cioè, di abbattere a suon di canzoni i pregiudizi che gli sono rimasti attaccati addosso per troppo tempo, vai poi a capire perché. God Save the King, a questo punto. Applausi per Gigi.