Mulan, il live action Disney vive di vita propria, ed è un’ottima notizia

Il film di Niki Caro mette da parte il musical e l’ironia del cartone animato e racconta una storia di epica guerriera ed emancipazione femminile. Da oggi il film è disponibile in streaming sulla piattaforma Disney+, al costo di 21,99 euro (più abbonamento)

Mulan

Ph Jasin Boland © 2019 Disney Enterprises


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Non ci sono le canzoni nel Mulan live action, non c’è il simpatico draghetto parlante Mushu, i tocchi ironici sono ridotti al minimo. Invece il racconto vira verso l’epica guerriera, con un tono esplicitamente femminista. Anche per questo una delle poche sequenze riprese del film d’animazione originale del 1998 è quella in cui la mezzana, che sta cercando marito per Mulan, enumera le qualità che deve possedere una brava moglie. Una donna, asserisce, deve essere “taciturna composta, aggraziata, elegante, posata, educata […] la moglie serve suo marito in silenzio, deve poter essere invisibile”.

Esattamente tutto ciò che Mulan (Liu Yifei) non è e non desidera essere, sostenendo che una donna debba essere “coraggiosa, spiritosa, intelligente”. Lei che, come l’affettuoso padre (Tzi Ma) ha capito sin dalla più tenera età della sua bambina, possiede il chi, “l’energia della vita stessa che parla in ogni suo movimento”. Aggiungendo giudiziosamente però, quando la piccola è divenuta adulta, che “il chi è dote da guerrieri, non da donne, ed è tempo che tu nasconda il tuo dono”.

La versione live action di Mulan diretto da una donna, Niki Caro (reduce dall’onestamente impresentabile La Signora Dello Zoo Di Varsavia) è dunque un film nuovo e autonomo. Ed è un’ottima notizia. Certo, resta l’impianto di partenza, ispirato come il cartone animato a un’antichissima leggenda, la cui versione più nota è un poema che risale all’epoca Wei (tra il 386 e il 534 d.C.), che segue le peripezie di Hua Mulan. La quale, per salvare la vita all’ormai anziano padre, si arruola a sua insaputa al posto suo fingendosi un maschio quando l’imperatore emana un editto che obbliga ogni famiglia a fornire un combattente per la guerra contro la feroce tribù nomade dei Rouran (non gli Unni stavolta), guidati dallo spietato Böri Khan (Jason Scott Lee).

Il racconto pone con molta maggiore evidenza al centro la questione dell’emancipazione femminile, raddoppiandola attraverso un nuovo personaggio – l’innesto più importante e originale – di Xianniang (Gong Li), una strega che coi suoi malefici combatte accanto a Böri Khan. In realtà è molto più di un semplice emissario del male. Come Mulan è una diversa condannata alla discriminazione dalla sua eccezionalità – “più poteri mostravo più venivo schiacciata”, confessa –, trovando la sua vendetta, e l’unica forma di sopravvivenza, nel passaggio al lato oscuro della forza. Ed effettivamente nel rapporto tra le due donne risuona il modello del sofferto confronto tra bene e male alla Star Wars. Col chi presentato come l’energia che “pervade l’universo e tutti gli esseri viventi. Ma solo i più sinceri si connettono con il proprio chi e diventano grandi guerrieri, tranquilli come una foresta ma con il fuoco dentro”, secondo un modello vicino all’idea della forza (ed è anzi quest’ultima ad avere un debito con le filosofie orientali).

L’altra donna di Mulan, la strega Xianniang di Gong Li

Mulan è quindi, anche sotto questo profilo, un film perfettamente sincretico: un wuxia pian, il genere di cappa e spada cinese, con attori orientali e regista e sceneggiatori occidentali (Rick Jaffa, Amanda Silver, Lauren Hynek, Elizabeth Martin), che dànno vita a un dispositivo narrativo capace di intercettare il gusto di un pubblico globale, restando allo stesso tempo rispettoso della matrice orientale del racconto di partenza (superfluo sottolineare l’operazione di marketing sottesa a questo film Disney, con più di un occhio fisso sul grande mercato cinese, che in tempi pre-Covid era quasi giunto ad appaiare le dimensioni del botteghino statunitense).

Tra i film targati Disney, Mulan è anche quello meno adatto ai bambini. Nei combattimenti sono accuratamente evitati dettagli truculenti, ma allo stesso tempo la rappresentazione della morte è chiara e inequivocabile. E tutto il tono della vicenda, con le sue preoccupazioni intorno ai temi dell’onore, la lealtà e la sincerità, sembra difficilmente sintonizzato sulla sensibilità dei più piccoli. Resta, supportata da una messinscena tendente al grandioso di sequenze di massa accuratamente coreografate, il discorso centrale della presa di coscienza da parte di Mulan della sua peculiare femminilità, valore e tesoro da mostrare e non da nascondere. Perché il chi, il dono che il comandante Tung (Donnie Yen) dice a Mulan di coltivare, quel dono, è evidente, è l’essere donna.