49 anni fa usciva Sticky Fingers dei Rolling Stones, una lama affilata nel fodero di Andy Warhol

Sticky Fingers era il primo album pubblicato dopo la morte di Brian Jones. Il rock'n'roll degli Stones era sempre più inzuppato nel blues


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Sticky Fingers dei Rolling Stones aveva il difficile compito di diventare il primo capitolo del post-Brian Jones, compagno di viaggio, di musica e di rivoluzione che nel 1969 lasciò questa Terra dopo aver registrato il capolavoro Let It Bleed (1969).

Il dopo Brian Jones

Dopo la morte del chitarrista gli Stones tentarono la resilienza con il disco live Get Yer Ya-Ya’s Out! (1970) ma era il momento di tornare in studio per continuare la loro esperienza. Lo avevano già fatto in quel triste anno che chiudeva i ’60: da dicembre i Rolling Stones avevano già registrato il nuovo materiale presso i Muscle Shoals Studios in Alabama. Era il tempo, inoltre, in cui il nuovo chitarrista Mick Taylor era talmente amalgamato con il mood degli Stones che il prima e dopo Jones, fortunatamente, era rimasto un numero.

Brian Jones morì il 3 luglio 1969 e solamente 2 giorni dopo la band tenne un concerto a Londra, Hyde Park, per presentare la new entry che però aveva già fatto il suo ingresso mentre Jones era ancora in vita, per una sostituzione temporanea.

Dopo Brian Jones arrivò Sticky Fingers dei Rolling Stones, un disco che ci restituiva una band rigenerata e vigorosa, ben più sicura di sé rispetto al primo album che li aveva presentati al mondo più come una cover band che come una neonata realtà del rock britannico.

Sticky Fingers dei Rolling Stones

Complice la copertina realizzata da Andy Warhol alla modica cifra di 15mila dollari e complice l’opening Brown Sugar, Sticky Fingers dei Rolling Stones si presentò al pubblico come un album monumentale. La band puntava sempre in alto e lo fece con quel rigonfiamento sul pacco che ancora oggi scandalizza chi comunque naviga in incognito per trovare sollazzo con lo streaming a luci rosse.

Gli Stones avevano ormai affilato le loro lame: il rock’n’roll inzuppato nel blues degli esordi era sempre più rock’n’roll inzuppato nel blues, ma stavolta perfezionato nell’abbattitore dell’esperienza che li aveva resi artisti consapevoli, sicuri e con autostrade sonore figlie di scelte precise: rock d’autore, libertà creativa e quell’anima così vicina al folk da renderli finalmente un qualcosa di diverso dagli ormai sciolti Beatles. Di più: Sticky Fingers dei Rolling Stones fu l’album che determinò la seconda parte della loro carriera influenzando tutto il resto della discografia.

Brown Sugar è l’anima che nei decenni successivi ha espletato le atmosfere di Bohemian Like You dei Dandy Warhols, grazie a quel riff di quel Keith Richards talmente in forma da fare scuola. Soprattutto, Sticky Fingers dei Rolling Stones è il disco di Sister Morphine, nata dall’avvenente penna di Marianne Faithfull che era stata la fidanzata di Mick Jagger.

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Mick Taylor arrivava dalla scuderia di John Mayall e per questo l’apporto del blues si fece così presente a partire da Sticky Fingers: slide e sinuosità serpeggianti si fanno notare in You Gotta Move, dove la voce di Jagger segue all’unisono il riff proprio come fece Robert Plant per You Shook Me.

Grande è il big blues, infine, di Moonlight Mile, che chiude l’album dopo ballatone audaci (Sway), esplosioni sensuali e psichedeliche (Can’t You Hear Me Knocking), gironi blues (Wild Horses, I Got The Blues) e immancabile rock’n’roll (B*tch, Dead Flowers).

Un disco, Sticky Fingers dei Rolling Stones, che ancora oggi impera nelle classifiche del rock e dei più bei dischi del Novecento e che presentava tutto il vigore di una band iperattiva, ispirata e determinante per il rock che prendeva sempre più piede nella quotidianità.