È nauseante, quando si tratta di dinosauri invecchiati benissimo, partire negando che si tratti del capolavoro citando le vere magnum opus di un artista o di una band: non siamo di fronte a Let It Bleed né ad altri dischi, ma Hackney Diamonds dei Rolling Stones è quella novità che oggi suona quasi anacronistica. Un blues rock così non si sentiva da anni, ma l’album è anche il frutto della straordinaria abilità di Andrew Watt nel collocare il sound degli Stones nei canoni più contemporanei, meno ciccioni e più perfettini. Watt riesce a farlo senza snaturare la lezione di una band che scrive la storia del rock da 60 anni. Riesce, eccome.
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Angry l’abbiamo già sentita, ma ecco Get Close che ci butta dritti dritti dentro il disco. Prima di passare alla non richiesta cernita dei brani di Hackney Diamonds che spiccano, va ricordato che stiamo parlando del nuovo album degli Stones dopo 18 anni di silenzio discografico. In quasi 20 anni tutto è cambiato: il mondo del rock ha perso Chris Cornell, Keith Flint, Taylor Hawkins, Andy Fletcher, Chester Bennington, Dolores O’Riordan; l’indie non più così indie, l’heavy metal sopravvive, il rap e la trap dominano e, in mezzo, ci sono gli Stones.
Che nel frattempo non sono certo rimasti a guardare: hanno girato il mondo, hanno sfornato un album di cover nel 2016 sotto il titolo di Blue & Lonesome, una trovata di tutto rispetto. Poi la tragedia del tempo ha colpito anche loro: è morto il batterista Charlie Watts, ma non abbastanza in tempo da non registrare un lascito che suonasse potente ancora una volta: in Hackney Diamonds dei Rolling Stones troviamo Mess It Up e Live By The Sword, tracce in cui il caro amico Charlie è ancora dietro le sue pelli.
Dunque, come suona il disco? Forte, viene da dire. Dopo l’apertura con Angry e Get Close, Depending On You ci riporta il romanticismo acido di Mick Jagger che canta ancora benissimo, ma in Bite My Head Off c’è tutto il rock che mancava da un po’ di anni: chitarrone e figaggine ruotano intorno al basso di Paul McCartney, distorto e più che presente. A Dreamy Skies dobbiamo rendere grazie: country blues, un paesaggio al tramonto, la giusta dose di shuffle e fratellanza.
In Driving Me Too Hard c’è tanto pop, ma con quel sapore vintage che è tutto nel delay alla voce, e lo stesso si può dire per Tell Me Straight in cui la voce è tutta di Keith Richards. Godiamoci l’adunata all star di Sweet Sounds Of Heaven con Lady Gaga e Stevie Wonder, ma non va trascurato che in questo disco è presente anche Elton John al pianoforte di Live By The Sword e Get Close.
Ora, fermiamoci su Rolling Stone Blues e godiamoci la fine del disco. Gli Stones chiudono l’album con la cover di Muddy Waters dalla quale hanno preso il nome. Che significa? Qui viene la parte difficile: trarre le conclusioni. I Rolling Stones si sono ripresi la scena, ma lo hanno fatto con pochi sforzi e con un prodotto certamente ben confezionato in termini di resa del suono. Perché loro sono gli Stones. Eppure ci dobbiamo chiedere se davvero Hackney Diamonds dei Rolling Stones sia un disco valido o se siamo sotto l’effetto della nostalgia che, in una scena rock sempre più divisa e nella quale troviamo oramai pochi nomi continuamente imposti, ci fa inciampare nel desiderio di sentire cosa abbiano da dire le vecchie glorie.
Qui le troviamo tutte: gli Stones, McCartney, Elton John e Stevie Wonder. Cos’hanno da dire? Tanto, se ci fosse qualche traccia in più e qualche altra in meno.