Sui social in questi giorni gira una frase di David Grossman, o a David Grossman imputata, è noto che sui social spesso e volentieri le citazioni vengano fatte a vanvera. La frase in questione dice qualcosa di buonsenso, neanche troppo alta o difficile da comprendere. Dice, in sostanza, che quando questi giorni finiranno qualcuno potrebbe non voler tornare alla vita precedente, cioè potrebbe voler lasciare il proprio coniuge che non ama, un lavoro che non avrebbe mai voluto fare, potrebbe voler fare figli, potrebbe non voler più fare figli, cambiare luogo in cui vivere, cambiare vita. Vado a memoria, non perché sia difficile da reperire, come molte delle citazioni che diventano virali mi basterebbe andare sulla mia home di Facebook e la troverei facilmente, insieme alle più volte citate pubblicità di Wish, ma non ritengo che sia una frase così importante da citare nel dettaglio, sicuramente sono più interessanti le sequele di culi che Wish propone dentro lingerie decisamente poco coprenti, e sono anche obiettivamente troppo stanco intellettualmente per fare un semplice gesto come quello.
Il senso è già tutto lì, in quel mio citarla senza citarla. Quando tutto questo sarà finito potremmo non voler essere i noi stessi che eravamo prima.
Parto da qui.
Tutto vero. David Grossman je l’ammolla. Se avessi parlato con uno dei miei due gemelli, Francesco e Chiara, otto anni, mi avrebbero potuto esprimere gli stessi concetti, per altro usando un linguaggio altrettanto semplice, e non si legga in queste mie parole un senso di superiorità nei confronti di Grossman che evidentemente non ho né potrei o dovrei avere, intendiamoci, lo si legga per quel che è, la constatazione amichevole che una frase espressa con molta semplicità che esprime un concetto elementare è diventata virale e da qui voglio partire per un mio ragionamento. Ragionamento che, non credo sia necessario specificarlo, è psichedelico seppur senza aver io assunto sostanze psichedeliche, perché la reclusione forzata, mista agli input decisamente poco rassicuranti che arrivano da fuori, costantemente, si tratti del suono delle ambulanze, dell’assenza del tipico rumore del traffico, misto al bombardamento di notizie più o meno false, si badi bene, ho detto più o meno false e non più o meno vere, le parole hanno un peso, direbbe David Grossman, più i video che arrivano costantemente sui vari canali disponibili che parlano di complotti, più le indicazioni e le suggestioni che arrivano dai mondi social, tutto questo, insomma, ha su di me e credo non solo su di me effetti psichedelici.
Comunque, provo a fare un ragionamento partendo dalla elementare frase di Grossman.
Finito tutto questo, e già si parte con una suggestione positiva, perché si pensa che tutto questo finirà, è già qualcosa, qualcuno potrebbe voler dare un taglio con il se stesso che è stato, con la vita che ha condotto fino a quel momento. Un taglio o un cambio repentino di corsia, magari anche una inversione a U.
Tutto vero e condivisibile, applausi a scena aperta.
In questi giorni psichedelici, anche in queste pagine psichedeliche, avevo più volte buttato lì la suggestione che, magari, i nostri figli, parlo per i più piccoli solo perché, in apparenza, sono quelli che stanno faticando meno a adattarsi alla contingenza, anche se suppongo la loro giovane mente potrebbe subire pressioni più difficili da gestire delle nostre, potrebbero avere difficoltà a riprendere una sorta di normalità, ormai abituati a una routine, trenta giorni e passa di clausura, credo, si possano a tutti gli effetti chiamare routine, fatta di permanenza coatta in casa, di compiti fatti a distanza, senza interfacciarsi con le insegnanti direttamente, coi genitori e i fratelli sempre a portata di mano, insomma, questa cosa qui.
Che questa situazione stia invece cambiando, almeno al momento, i nostri comportamenti è sotto gli occhi di tutti, dal già citato abbandono del pudore che ci induce, o meglio, ci ha indotto a cantare sfatti come cachi che sono caduti dall’albero sui nostri balconi, di fronte agli sguardi dei nostri vicini ugualmente sfatti come cachi che sono caduti dall’albero, alla diffidenza che abbiamo legittimamente riservato a chiunque ci è capitato di incontrare nelle rarissime sortite fuori, per fare la spesa, passando per il convivere interiormente e esteriormente, come protagonisti e spettatori, coi repentini cambi di umore che questa clausura forzata mista alla paura etc etc porta evidentemente con sé.
Ci hanno ripetuto allo sfinimento, in questa comunicazione tutta sbagliata di cui spero prima o poi presenteremo il conto fatta di ammonimenti e sensi di colpa, ci hanno ripetuto allo sfinimento che dovevamo cambiare le nostre abitudini di vita, e, grazie al cazzo, le abbiamo in effetti cambiate, col risultato di esserci tutti un po’ abbruttiti, si veda il già citato fenomeno dei delatori e degli sceriffi, per fare un esempio anche più scontato della frase poetica di Grossman.
Ora, non volendo più proseguire a dileggiare Grossman, non sono Chef Rubio e confesso che di Grossman non ho mai letto nulla, neanche quando lavoravo in Mondadori e avevo i suoi libri tutti lì a disposizione, gratis, passo a dire quello che mi sta passando per la mente, e che in qualche modo riguarda il mondo della musica, perché è in fondo il mondo della musica quelle del quale ho scelto di scrivere e del quale, mio malgrado, non sto più scrivendo da giorni e giorni, settimane, ormai, essendo il mondo della musica uno dei caduti sotto questa pandemia, è evidente.
Partiamo da quel pensiero, quando tutto questo finirà qualcuno potrebbe non voler essere quello che era.
Passiamo a quel che ci hanno imposto, dandoci la colpa di quel che stava succedendo con tutti quei cazziatoni anche violenti che ci siamo sentiti ripetere al suono di “state a casa”, dobbiamo cambiare le nostre abitudini comportamentali.
Uniamo i puntini, come uno Steve Jobs lucido.
Siamo sicuri, domanda retorica che non richiede una risposta, avendola già contenuta in sé, che quando tutto questo sarà finito avremo in effetti voglia di riprendere le vecchie sane abitudini che da qualche tempo tengono in vita la musica?
Non lo dico sottintendendo che le si voglia cambiare, intendiamoci, nessuno suppongo rinneghi ora le tante ore passate ammassati sotto i palchi dei concerti, le code fatte per entrare, i viaggi in treno o in auto per arrivare a un determinato Festival, il cantare in coro fianco a fianco di sconosciuti che però erano meno sconosciuti per il semplice fatto di amare la nostra stessa musica, parlo ovviamente per voi, perché io sono un asociale che se va ai concerti se ne sta in disparte, lo sapete tutti, non lo dico quindi sottintendendo che le si voglia cambiare, quelle abitudini, ma azzardando che quelle indicazioni così pesantemente urlateci in faccia, state a casa, mantenete un metro di distanza, ricordati che devi morire, no, questa non credo ce l’abbiano detta, era lì, nell’aria, quei moniti sul come lo stare vicini, in mezzo alla gente, a ipotetici asintomatici, untori, infetti, possano in qualche modo indurci proprio a cambiare i comportamenti, a tenere le distanze, a restare a casa.
Vado giù più dritto, siamo sicuri che quando tutto questo sarà finito ci saranno di nuovo i raduni di massa?
O che se anche non di massa si stesse parlando, esistono anche i concerti che si tengono nei piccoli club, nei localini, siamo sicuri che la gente riprenderà a rinchiudersi con degli sconosciuti in luoghi chiusi, o che condivida con sconosciuti, tanti sconosciuti o pochi sconosciuti, non è che cambi molto, siamo sicuri che la gente avrà voglia di stare gomito a gomito con altri a cantare canzoni?
Perché in questi giorni se ne parla parecchio, io stesso ho contribuito col mio, andando a indicare nell’usanza dei concerti online un rischio per una sorta svilimento del concetto di musica dal vivo, per la qualità dei suddetti, certo, ma più che altro per la paura che come per la musica liquida, la gente si abitui ai concerti gratuiti, aprendo un lungo dibattito di cui, confesso, non mi interessa nulla, convinto come sono che uno non vale uno, e che se tu fan e quindi utente finale rispondi a una mia provocazione atta a indicare chi nella filiera musicale è il più debole, e parlo di professionisti, provando a tutelarlo, e tu fan e utente finale mi rispondi che la musica è vita, sogno, salvezza, in fondo, ne sono convinto, non hai capito un cazzo di cosa sto scrivendo, perché lo so benissimo che la musica è tutta quella roba lì, ma io parlavo d’altro, in questi giorni se ne parla parecchio, la musica di qua e la musica di là, ma nei fatti il continuo annuncio di mega eventi che saltano, quanto starà prima che arriverà la notizia che i tour negli stadi attesi per questa estate faranno quella fine?, ma è evidente che in questo ragionamento manca proprio quel tassello lì, non tanto attribuibile al ripristino legale di una quotidianità che al momento ci è negata essenzialmente dall’emergenza, dalla contingenza, ma anche da imposizioni d’emergenza e di contingenza che ci privano, per il nostro bene, delle nostre abituali libertà, quanto al ripristino di quelle nostre abitudini che, per quanto la musica sia vita, sogno e tutte quelle cose lì dovrà pur fare i conti con la paura e la diffidenza verso l’altro, la stessa paura e diffidenza verso l’altro che ha dato vita al fenomeno dei delatori, degli sceriffi etc etc.
Traduco per i meno svegli, siamo sicuri che voi che ora state lì aggrappati alle canzoni dei vostri idoli, spesso fatte anche dal vivo in concertini online, ma magari no, solo ascoltate come potete, è evidente dalla scelta di Youtube di abbassare gli standard qualitativi, come Netflix, che in questi giorni ascoltate più con Youtube che con Spotify, siamo sicuri che voi che ora state lì aggrappati alle canzoni dei vostri idoli, spesso fatte anche dal vivo in concertini online, ma magari no, solo ascoltate come potete, una volta che tutto questo sarà finito correrete subito a ascoltare quelle stesse canzoni fatte dal vivo dai vostri idoli in arene, piazze, palasport o stadi? Siamo sicuri, siete sicuri, che tutto tornerà come prima?
Non prendete queste mie parole come l’ennesimo atto di terrorismo psicologico, intendiamoci, io auspico un ripristino della normalità come chiunque, ho quattro figli, una moglie, genitori e fratelli lontani che ho voglia di riabbracciare, non solo virtualmente, ma proprio fisicamente, senza paura di infettarli o di esserne infettato, ho una vita che in questi giorni è una vita anomala come la vita, figuriamoci se non mi auguro che tutto questo venga cancellato in uno zot, come tutti, credo, mi sono svegliato in questo sonno di merda che stiamo facendo in questi giorni casalinghi, senza moto, senza aria aperta, mi sono svegliato come tutti pensando di aver fatto solo un brutto incubo, più di una volta, pochi secondi per realizzare che no, era tutto vero, senza neanche bisogno di darmi un pizzicotto o di dover accendere lo smartphone per controllare, la certezza stringente di trovarsi in uno stato d’emergenza a chiudere la bocca dello stomaco, non prendete queste mie parole come l’ennesimo atto di terrorismo psicologico, intendiamoci, io auspico un ripristino della normalità come chiunque, ma sarà che trentadue giorni di clausura pesano sull’umore, sarà che sono sempre stato apocalittico rispetto al mondo della musica, sarà più semplicemente che credo di avere anche da psichedelico uno sguardo comunque lucido, la visione dello scrittore di cui vi ho parlato giorni fa, non sarei così certo che il mondo dei live riprenderà così velocemente il suo iter, una volta che tutto questo sarà finito.
Non sono certo, a dirla tutta, neanche che riprenderà del tutto, e qui so che sto davvero sconfinando nel terrorismo psicologico, e quindi mentre scrivo quel che sto scrivendo sto già pensando a come buttarla in caciara, a come trovare un aneddoto buffo, magari che metta in campo qualche mia gaffe, che mi metta in ridicolo, per stemperare la pesantezza di quel che sto scrivendo, perché di tutto avete bisogno, lo so, di tutto abbiamo bisogno, lo so, tranne di uno che sta qui a fare il catastrofico ipotizzando il futuro dopo la catastrofe. Ma siccome il mio ruolo, parlo del mio ruolo professionale, è anche quello di suggestionare gli attori del mio ambito professionale, chi muove e si muove nel sistema musica, vorrei usare questa pagina di diario, oggi che non ho voglia di raccontarvi faccende interne alle dinamiche della mia famiglia al trentaduesimo giorno di contagio, per provare a lanciare qualche suggestione sul come provare poi a riorganizzare i lavori. E so che leggere questa mia ultima frase mi farà sembrare a molti se non a tutti estremamente arrogante, come se gli attori che muovono e si muovono nel sistema musica avessero bisogno delle mie suggestioni per ragionare sul proprio futuro, gente che fattura milioni e milioni di euro, che fa lavorare decine di migliaia di persone, ma, diciamolo apertamente, tanto gli attori etc etc non hanno bisogno di me che se non fossi arrivato io a rompere un po’ i coglioni, con le mie inchieste, con i miei articoli anche ironici ma comunque pesanti come colpi di maglio, col cazzo che una certa maniera di gestire la filiera non dico sarebbe cambiata, ma sarebbe stata mai messa in discussione, e parlo ovviamente dei casini fatti l’anno scorso con la vicenda Baglioni-Salzano, con quella dei finti sold-out e tutta quella gestione farlocca lì.
Ecco, quello dell’arroganza potrebbe essere un buono spunto per cambiare registro, anche per tornare a vestire i panni di quello simpatico, che di fare l’arrogante e basta non so se ho tanta voglia, in questi giorni di malinconie e coccole.
Il personaggio che anno dopo anno sono andato creando, perché di personaggio si tratta, ormai dovreste averlo capito anche voi che, notoriamente, non capite un cazzo (si scherza, eh, sto giocando a enfatizzare la faccenda dell’arroganza, seguitemi senza fare domande, please), è decisamente arrogante, ma lo è più in virtù di una palese mancanza da parte di chi, in teoria, dovrebbe (essermi?) competitor che per propria (mia?) personale volontà o attitudine. Mi spiego.
Prendete Zlatan Ibrahimovic.
Alt, mi fermo.
Forse sto esagerando, sono stanco, devo seguire i compiti dei gemelli, Tommaso mi dice che non funziona bene la piattaforma attraverso la quale dovrebbero interrogarlo, sto mentalmente stilando la lista di cose che dovrò comprare al prossimo giro di spese, è proprio l’ansia che mette a me e a mia moglie l’idea che io debba uscire per fare la spesa che mi ha fatto partire per questo ragionamento, chi cazzo se ne frega di Grossman (vi ho fregato, pappappero, ho citato mia moglie, l’ansia che proviamo l’uno per l’altro all’idea che magari, uscendo, mi possa succedere qualcosa, e, zac, di colpo il mio essere uno stronzo arrogante è caduta, almeno per qualche secondo, siete volubili anche voi come me, lo so, avete provato empatia per me, nonostante io abbia da poco tirato in ballo Ibrahimovic per spiegarvi perché sono un cazzo di fottuto genio che può permettersi di spiegare a un Roberto De Luca o a un Claudio Trotta perché la filiera della musica potrebbe non rialzarsi, e con l’aver scritto questo l’effetto placebo dell’aver citato l’ansia mia e di mia moglie per un semplice gesto come il fare la spesa, Dio cosa siamo diventati, è sparito, mi fermo, siamo in un loop, manco fossimo in una puntata di Black Mirror, serie incitabile in questi giorni al pari di Contagion, lo so, chiedo scusa, vado oltre, Marina ti amo).
Ho parlato in terza persona, come Maria Grazia Cucinotta, ho tirato in ballo Ibrahimovic, sto marcando malissimo. Chiedo una moratoria, in questi giorni di contagio e di isolamento posso azzardare più del solito, e io sono quello dei cavalli che affogano dal buco del culo, se posso azzardare di più posso praticamente fare qualsiasi cosa, proprio come Zlatan Ibrahimovic che alza la gamba a due metri e passa da terra per fare il colpo dello scorpione e eliminare l’Italia.
Ecco, questo è lo spunto che stavo cercando.
Anche se non è esattamente lo spunto per il quale avevo tirato in ballo Ibrahimovic. Cioè, avevo tirato in ballo Ibrahimovic per fare il cazzone, nel senso che volevo dire che se Ibrahimovic può permettersi di umiliare costantemente avversari e allenatori, tutti abbiamo visto lui che leggeva il nome del giocatore avversario che lo aveva contrastato, come a dire “chi cazzo sei?” o tutti lo abbiamo sentito dire a Sacchi, appena arrivato al Milan, il Sacchi che al Milan ha regalato trofei e sogni, “tu parli troppo”, con il tono di voce del pusher che ti ricorda che se non pagherai quanto devi entro una settimana ti taglierà un orecchio, tutti gesti possibili in virtù di un talento calcistico senza precedenti, Zlatan può perché è Zlatan, chi non ha adorato il suo tweet di addio ai Los Angeles Galaxy, con quel suo “Veni, vidi, vici” e quel suo “Avete voluto Zlatan, avete avuto Zlatan. Ora tornate a seguire il baseball” che è già leggenda, per questo avevo tirato in ballo Zlatan, mio modello di vita insieme a Eric Cantona e pochi altri, Roy Keane su tutti, ma proprio citando il goal di tacco di Zlatan all’Italia agli Europei del 2004, subito prima di venire a giocare in Italia, ho trovato la giusta chiusa a un pezzo che era partito da Grossman e aveva preso decisamente una brutta piega.
È il 14 novembre 2017, mia moglie Marina compie gli anni. Basta, non tiro più in ballo Marina, non serve, sto per giocarmi la carta del guascone, “se il virus non va da Zlatan, Zlatan va dal virus”, posso farcela da solo.
È il 14 novembre 2017, sono a Milano, una Milano che è piena di gente, di cosa da fare, di vita. Ecco la carta della nostalgia, siete tutti con me, lo so, eravate tutti con me, non avessi sottolineato che eravate tutti con me come un John Barth d’antan, ora poi vi sto proprio a tutti sul cazzo, intellettualone che non sono altro, bacioni.
È il 14 novembre 2017, sono a Milano, sono in Piazze Gae Aulenti, che della Milano che non si ferma è simbolo perfetto. Sono davanti all’Unicredit Pavillon, quello che oggi è diventato il centro eventi dell’IBM, azienda nella quale lavora mia moglie, ci risiamo.
Sono qui per la presentazione dell’album di Mina e Celentano, Le migliori.
Il giorno prima, il 13 novembre, ho pubblicato un articolo in cui blasto in maniera piuttosto pesante buona parte dei miei sedicenti colleghi, in un pezzo in cui parto dall’abitudine abietta del mettere i cuoricini sui social agli artisti di cui si vuole conquistare la simpatia, praticata soprattutto dai giovani blogger, in prevalenza gay, constatazione e non giudizio, sia chiaro, andando però a colpire anche i miei sedicenti colleghi coetanei, operanti soprattutto sulla carta stampata, noti più per il loro stare a quattro zampe o a bordo piscina a farsi i selfie, insomma, ne ho un po’ per tutti.
L’ho pubblicato il giorno prima di questa conferenza stampa non perché mi ricordassi che l’indomani, contravvenendo a una mia consuetudine, sarei andato appunto a una conferenza stampa, incontrandoli tutti, ma più perché l’abitudine abietta stava davvero dilagando e mi sembrava il caso di denunciare la cosa, pensa che tempi spensierati, quelli.
Nei fatti, però, avevo sganciato una sorta di bomba molotov contro buona parte della categoria dentro la quale, in teoria, anche io ero annoverato, andando non solo a rendermi odiato da un po’ tutti loro più di quanto già non fossi, il famoso pezzo sui Pool Guys era uscito esattamente un anno prima, diventando in qualche modo leggendario, almeno tra gli addetti ai lavori, ma anche andando a rinsaldare il mio ruolo di provocatore che da tempo i più mi puntavano contro come una pistola fumante, anche, va detto, per provare a sminuire la credibilità di quel che scrivevo, beati loro che ci credevano.
Non a caso, ma non è questo che vi voglio raccontare, uno di loro, uno dei Pool Guys, per altro il più atletico dei tre, mi ha affrontato, lì davanti a tutti, pensando di intimorirmi, credo. È venuto da me, mentre aspettavamo che la conferenza stampa iniziasse, davanti a tutti gli altri colleghi, intenti a rifocillarsi al catering, usando toni vagamente minatori, ma non considerando, immagino, due dettagli, uno dei quali, centrali, dovrò raccontarvi solo in conclusione.
Il primo dettaglio che non ha considerato, però, è che io sono un punk cresciuto col mito di Roy Keane, se mi minacci ti spezzo le gambe in mondovisione. Lui è venuto da me dicendo “io e te dobbiamo parlare, hai rotto i coglioni”, la voce impostata da vecchio speaker radiofonico. Io l’ho guardato, dal basso in alto, per mere questioni di altezze differenti, e con la voce calma di chi è cresciuto cantando I’m Forever Blowing Bubbles, gli ho detto, “Alt, fermati, ricomincia da capo. Dimmi, piacere di conoscerti, mi dici come ti chiami e se ritieni di dovermi dire che ho rotto i coglioni esci fuori e me lo dici in strada, come si fa tra uomini”. Un modo un po’ epico di fare, immagino, ma attinente alla situazione, due vecchi soloni del giornalismo musicale a fare da testimoni, in caso non vi fidaste di me.
Mi minacci, devo tenerti testa, questo è l’abc del ragazzo di strada.
Ovviamente il tipo si è paralizzato, incapace di credere che io, decisamente più basso di lui, gli rispondessi così di fronte ai colleghi, io anche più giovane di lui. Giuro che ha quindi detto, “Piacere, sono…” aggiungendo poi, “no, ti volevo parlare perché leggendo il tuo pezzo di ieri ci sono rimasto male”. Tutta un’altra storia.
Il dettaglio che però non vi ho ancora detto, il secondo dettaglio di cui il pool guy non ha tenuto conto, e che lo avrebbe salvato dal fare detta figura di merda è il mio look di quel giorno.
E qui devo fare un piccolissimo passo indietro, ricollegandomi a Ibra.
Il giorno prima della presentazione de Le migliori, il 13 novembre 2017, i tifosi di calcio lo ricorderanno bene, la Svezia, pareggiando zero a zero con l’Italia, ha eliminato l’Italia dai mondiali. La prima volta da non so quanti decenni, la prima, sicuramente da che io sono vivo. L’Italia non parteciperà ai mondiali di calcio 2018, Ventura e Tavecchio vergogna del calcio, e a eliminarla è stata la Svezia. Lo zero a zero di cui sopra, è ovvio, non porta la firma di Ibra, assente di lusso. Il goal di tacco cui facevo riferimento prima, entrato nell’antologia dei goal più belli di sempre, lo aveva fatto nel 2004, agli Europei, diversi anni prima, l’ho già detto.
Per quel goal, non solo per quello, ma anche per quello, quando nel 2016 siamo andati in vacanza a Stoccolma, mi sono comprato una felpa coi colori della Svezia, perché Ibrahimovic è un genio del calcio, e perché associa genialità a arroganza, come Prince, come Dylan, come tutti i geni dovrebbero fare. Quella felpa è diventata un po’ la mia divisa, o almeno quella che indosso quando devo far capire a chi mi circonda che non ho voglia che mi si rompa il cazzo. Quella felpa come quella del West Ham, squadra del campionato inglese per la quale tifo e che ha in qualche modo generato il fenomeno degli hooligans. Non sono forse io un hooligan?
Torno a quella mattina all’Unicredit Pavillon, oggi per chi legge.
Ieri la Svezia ha eliminato l’Italia. Una tragedia per i tifosi di calcio, quella parola, tragedia, era ancora spendibile a quei tempi, oggi immagino di no. Un collega ha appena provato a mettermi in un angolo, senza riuscirci. Arriva un altro collega, stavolta un collega che stimo, mi guarda, guarda la mia felpa della Svezia, quindi, quella sto indossando, e mi dice “Certo che sei proprio uno stronzo, a portare quella felpa oggi”.
Credo abbia ragione.
Arroganza.
Iconoclastia.
Provocare senza manco rendersene conto, con naturalezza.
Bei tempi quelli in cui potevo divertirmi a giocare con simboli e parole, potevo scrivere articoli irriverenti e poi dire a un collega che se voleva regolare i conti dovevamo uscire in strada.
Bei tempi quelli in cui potevo sfidare tutti i miei compatrioti, nessuno escluso, indossando la felpa della squadra che per la prima volta ci aveva negato il piacere di seguire l’Italia ai mondiali.
Bei tempi.
Chissà se torneranno mai più.