“They Shall Not Grow Old è il primo blockbuster sulle immagini d’archivio mai prodotto”, ha scritto lo studioso dei media Pietro Masciullo. Una definizione indovinata per il film diretto da Peter Jackson, il creatore della saga de Il Signore Degli Anelli, insieme a James Cameron il maggiore responsabile della rivoluzione digitale e del cinema come lo intendiamo oggi. Con lo stesso approccio sperimentale Jackson ha affrontato una nuova missione, coinvolto nell’iniziativa decisa dal governo britannico per celebrare nel 2018 il centenario della Prima Guerra Mondiale. Il regista neozelandese, che ha un legame personale con quella vicenda perché vi combatté suo nonno, cui il film è dedicato, ha affrontato il compito con il suo piglio innovativo. Alla base c’erano centinaia di ore di girato dell’epoca, conservate all’Imperial War Museum, con in più le testimonianze audio di 120 reduci che in occasione del cinquantenario del conflitto, negli anni Sessanta, vennero intervistati dalla BBC.
A partire dai materiali d’archivo, Jackson ha costruito They Shall Not Grow Old, uscito nel 2018 e da oggi fino al 4 marzo nei cinema italiani, con il titolo ricavato da un verso di una poesia di Laurence Binyon Per i caduti, e l’aggiunta di un sottotitolo italiano, Per Sempre Giovani. È una storia dal basso, che mette da parte le complesse ragioni storico-politiche che innescarono il conflitto, focalizzandosi sulle immagini e sulle voci dei testimoni aggiungendo, per completare lo scenario, un nutrito apparato iconografico d’epoca, pubblicità riviste, illustrazioni.
Jackson fa più che selezionare e montare i materiali d’archivio. Li sottopone a un intervento digitale che, pur mosso dalla volontà di non tradirli, scava nelle immagini originarie per restituirle a un livello di dettaglio e realismo inimmaginabili. I primi 25 minuti di They Shall Not Grow Old sono in bianco e nero e in formato 4:3, muti, accompagnati da una musica di sottofondo con, sovrapposte, le testimonianze orali degli anni Sessanta. A un certo punto lo schermo si allarga fino a divenire panoramico, le immagini si colorano, anche con effetti di matte painting in 3d e, cominciano a sentirsi i suoni. Si tratta, naturalmente, non di un audio d’epoca, ma di un suono ricreato sempre con una preoccupazione di verosimiglianza, coinvolgendo anche esperti di lettura del labiale per capire cosa avessero potuto dire i soldati ripresi, poi doppiati da attori con accenti congruenti.
L’effetto è straniante, e pone sicuramente agli studiosi dei media e agli storici di professione una serie di interrogativi sulla liceità e l’attendibilità filologica dell’approccio. Sullo spettatore getta delle immagini trasfigurate e amplificate nel loro significato, incredibilmente coinvolgimenti. Opache sequenze in bianco e nero, sempre viste come brandelli di un passato lontanissimo che non ci riguarda, improvvisamente diventano presenti, capaci di scavalcare cento anni di distanza e parlarci.
Questo anche perché i racconti di They Shall Not Grow Old sono quelli della gente comune, sono le memorie di chi allora aveva poco più di diciott’anni, ragazzi con poca esperienza della vita e un sincero spirito patriottico gettati nelle trincee del fronte occidentale, alle prese con guerra, fame, bombardamenti.
Il documentario – che è difficile definire semplicemente tale – ripercorre in maniera puntuale tutti gli aspetti della vita militare, dalla scelta di arruolarsi all’addestramento. E poi la vita quotidiana al fronte, dagli aspetti conviviali – si vedono tantissime persone sorridere, con quello sguardo di sorpresa e disponibilità di fronte alla macchina da presa, un oggetto allora tutt’altro che comune – sino ai risvolti più drammatici. Un reduce ricorda “l’incredibile quantità di dolcezza” che si poteva sperimentare nel cameratismo al fronte. Ma le trincee sono “il posto più desolante del mondo”, con il “rumore snervante dei bombardamenti continui, giorno e notte, senza sosta”, durante i quali “l’aria era un inferno, e nella tua testa c’era un altro inferno“. Sopra di ogni altra cosa, c’è “l’odore della morte” che impregna il mondo. E allora “pensavi: la prossima volta toccherà a me. Ma che importa?”.
Un altro testimone di They Shall Not Grow Old dice che “quell’esperienza fece sparire completamente la mia idea romantica della guerra”. Non sparisce però, di fronte a queste immagini restituite a nuova vita, una forte empatia verso ciò che si vede e si ascolta. Le emozioni ne escono intensificate, anche se resta il problema della verosimiglianza. Questo perché sì, pur appartenendo al loro tempo, i fotogrammi hanno subito interventi e manipolazioni che, pur comprensibili nelle intenzioni, rischiano di trasformarle in qualcosa di diverso, con l’uso del ralenti e musiche drammatizzanti talvolta invasive. Ciò accade anche perché They Shall Not Grow Old è sia un documentario che un pezzo di cinema, con tutto quello che il linguaggio delle immagini comporta, sia sul piano della ricerca della massima attendibilità possibile, quanto del rischio di falsificazione. In ogni caso è una visione irripetibile, dalla quale si esce portandosi dietro sensazioni forti e durature. Ed è, senza alcun dubbio, un pezzo in anteprima del cinema di domani.