Un’occasione mancata questa de Il Ladro Di Giorni. Alla base c’è un soggetto dello stesso regista Guido Lombardi che aveva vinto il premio Solinas nel 2007. Il quale, dopo molti anni e altri due film nel mezzo, il bell’esordio di Là-Bas. Educazione Criminale, Leone del Futuro a Venezia, e il curioso noir napoletano in stile Le Iene di Take Five, è riuscito a tradurlo in film, anche anticipato dal romanzo omonimo edito da Feltrinelli. A produrre sono la Indigo Film e la Figli del Bronx di Gaetano Di Vaio, insieme a Rai Cinema, col progetto sposato, ne è il protagonista, da Riccardo Scamarcio.
Scamarcio è uno dei pochi attori italiani, lo aveva già dimostrato in Pericle Il Nero e ancora meglio ne Lo Spietato, a non tirarsi indietro di fronte a parti di cattivo integrale. Ed è cattivo Vincenzo, il padre de Il Ladro Di Giorni, ex galeotto e vedovo che torna dopo sette anni di carcere a incontrare suo figlio undicenne Salvo (l’esordiente, bravo, Augusto Zazzaro), che vive nel tranquillo Trentino con gli zii. L’intrigante spunto di partenza è che Vincenzo non è esattamente un padre mosso dal desiderio di recuperare il rapporto col figlio. Uscito di galera ha immediatamente ricominciato a delinquere, ha bisogno del bambino come copertura per trasportare in automobile un carico di droga dal nord Italia fino alla natia Puglia, dove lo attendono anche conti da regolare con chi lui pensa avesse fatto la spiata che gli era costata la detenzione.
Più che per affetto filiale quindi, Salvo gli serve perché “Un bambino è meglio di una pistola”, dice, perfetto per non dare nell’occhio. Nel cinema italiano il rapporto tra padri assenti o immaturi e figli trascurati è un tema portante, ci ha costruito tutta la sua poetica un autore come Gianni Amelio, ed è rinvenibile anche nei registi della commedia all’italiana, pensiamo al notevole Il Giovedì di Dino Risi con Walter Chiari. Ed è efficace l’idea di combinare l’aspetto sentimentale e l’incontro/scontro generazionale con il noir e il road movie.
Purtroppo l’esecuzione de Il Ladro Di Giorni non è all’altezza, perché la storia, scritta da Luca De Benedittis, Marco Gianfreda e lo stesso Lombardi, si sgonfia in una narrazione da un lato prevedibile – è chiaro che in qualche modo Vincenzo e Salvo troveranno una forma di relazione –, dall’altro poco plausibile, perché è difficilmente credibile che un ragazzino ben cresciuto, pur volendo trovare in qualche modo l’affetto paterno, finisca per lambire, quasi accettate lo stile di vita irrecuperabile del genitore.
Il Ladro Di Giorni è poi appesantito da troppe metafore: il robottino con cui Salvo gioca perché gli ricorda quando fu abbandonato da Vincenzo, sorta di correlativo oggettivo della sua emotività inespressa. C’è una figura pseudogenitoriale anche per Vincenzo (ed è Massimo Popolizio) che lo attende in Puglia. Poi abbiamo L’Isola Del Tesoro di Stevenson che Salvo legge durante il viaggio, e il tesoro è sia il bottino criminale che quello perduto affettivo. C’è la processione dei battenti, questo farsi del male tra bisogno di espiazione e autolesionismo gratuito. E in chiusura c’è un simbolo visto innumerevoli volte, quello del tuffo e del coraggio che bisogna trovare per essere sé stessi.
Davvero troppo per un film esile, in cui la venatura noir è troppo diluita per creare davvero tensione. E in cui, proprio per evitare forme di identificazione troppo nette tra Salvo e Vincenzo, nel finale al ragazzino è demandata la morale didascalica del film. Così tutto quello che dovremmo intuire attraverso la visione e la messinscena lo capiamo come lo stessimo leggendo. E il film, assai promettente, purtroppo s’incaglia.